Ora parliamo della religione della paura. Questa, anche se non creata, si trova ad un livello elevato reso stabile dalla formazione di una speciale casta sacerdotale che si definisce mediatore tra la gente e gli esseri che teme, e su queste basi erige una egemonia. In molti casi il leader o il sovrano, la cui posizione dipenda da altri fattori, o una classe privilegiata, unisce funzioni sacerdotali alla sua autorità temporale, al fine di rendere quest'ultima più sicura; oppure i capi politici e la casta sacerdotale fanno causa comune per i loro interessi.
I sentimenti sociali sono un'altra fonte di cristallizzazione della religione. Padri, madri e leader di grandi comunità sono mortali e inclini agli errori. Il desiderio di orientamento, amore, e sostegno, spinge gli uomini a dare forma alla concezione sociale e morale di Dio. Questo è il Dio della Provvidenza che protegge, dispone, premia e punisce, il Dio che, a seconda dell'ampiezza di vedute del credente, ama e nutre la vita della tribù o della razza umana, o addirittura la vita in quanto tale, il consolatore nel dolore e nel desiderio insoddisfatto, che protegge le anime dei morti. Questa è la concezione sociale o morale di Dio.
Le scritture del popolo ebraico illustrano in modo eccellente lo sviluppo dalla religione della paura a quella morale, mantenuta poi nel Nuovo Testamento. Le dottrine di tutti i popoli civilizzati, specialmente quelli orientali, sono principalmente morali. Lo sviluppo dalla religione della paura a quella morale costituisce un grande passo nella vita di una nazione. Il fatto che le religioni primitive siano basate interamente sulla paura e che quelle dei popoli civilizzati unicamente sulla moralità, è un pregiudizio contro cui dobbiamo stare in guardia. La verità è che sono tutte tipologie intermedie, con la riserva che ai livelli più elevati della vita sociale la religione morale predomina.
Comune a tutte queste tipologie è il carattere antropomorfo della loro concezione di Dio. Solo gli individui con doti eccezionali e le comunità di animo eccezionalmente elevato, come regola generale, arrivano al senso reale che sta al di là di di questa definizione. Ma c'è un terzo stato di esperienza religiosa che appartiene a tutti loro, anche se raramente si trova in una forma pura, e che chiamerò sentimento religioso cosmico. E' molto difficile spiegare questo sentimento a chiunque ne sia totalmente privo, tanto più che non vi è alcuna concezione antropomorfa di Dio a corrispondergli.
L'individuo percepisce l'inconsistenza dei desideri e obiettivi umani, e il sublime, e l'ordine meraviglioso che si rivelano nella natura e nel mondo del pensiero. Egli considera l'esistenza individuale come una sorta di prigione e vuole sperimentare l'universo come un significativo unico insieme. L'origine del sentimento religioso cosmico appare già negli stadi iniziali dello sviluppo - ad es., in molti dei Salmi di Davide e in alcuni dei Profeti. Il Buddismo, come abbiamo appreso particolarmente dai meravigliosi scritti di Schopenhauer, ne contiene una componente molto forte.
I geni religiosi di ogni epoca si sono distinti per questo tipo di sentimento religioso, che non conosce dogmi né Dio concepito a immagine umana; così che non possa esistere alcuna Chiesa i cui insegnamenti centrali siano basati su di esso. Quindi è precisamente tra gli eretici di ogni tempo che troviamo uomini pervasi dal più elevato tipo di sentimento religioso, che in molti casi venivano considerati dai loro contemporanei come atei, e in alcuni come santi. Visti sotto questa luce, uomini come Democrito, Francesco d'Assisi, e Spinoza sono l'un l'altro affini.
Come può il sentimento religioso essere comunicato da una persona all'altra, se non fornisce un concetto definito di Dio e una forma di teologia? Secondo il mio punto di vista, la funzione principale dell'arte e della scienza è quella di risvegliare questo sentimento e tenerlo vivo in coloro che sono in grado di farlo. Arriviamo così a concepire una relazione tra scienza e religione molto diversa da quella solita. Guardando la questione storicamente, si è inclini a vedere scienza e religione come antagonisti irriconciliabili, e per un'ovvia ragione. L'uomo che è estremamente convinto dell'operazione universale della legge di causalità non può per un attimo contemplare l'idea di un essere che interferisca sul corso degli eventi – questo avviene se prende l'ipotesi di causalità davvero seriamente. Egli non è di alcuna utilità per la religione della paura, e di ben poca per quella sociale e morale. Un Dio che premia e punisce è per lui inconcepibile per la semplice ragione che le azioni di un uomo sono determinate dalla necessità, esterna ed interna, sicché agli occhi di Dio egli non può essere responsabile, non più di quanto un oggetto inanimato lo sia dei movimenti che si trova a compiere. Dunque la scienza è stata accusata di minare la moralità, ma l'accusa è ingiusta. Il comportamento etico di un uomo dovrebbe essere effettivamente basato sulla comprensione, sull'educazione e sui legami sociali; non è necessaria alcuna base religiosa. L'uomo si troverebbe in una posizione ben infelice se dovesse esser vincolato dalla paura, dalla punizione, e dalla speranza di una ricompensa dopo la sua morte.
E' perciò facile vedere perché le Chiese abbiano sempre combattuto la scienza e perseguitato i suoi devoti. Dall'altro lato, io sostengo che il sentimento cosmico religioso sia il più forte e nobile incitamento alla ricerca scientifica. Solo coloro che comprendono gli immensi sforzi e, soprattutto, la devozione che il pionieristico lavoro della scienza teorica richiede, possono arrivare a capire la forza dell'emozione che soltanto da tale attività, così remota dalle immediate realtà della vita, può derivare. Quale profonda convinzione della razionalità dell'universo e quale desiderio di conoscere, ma altro non erano che un debole riflesso della grande mente rivelata in questo mondo, e Keplero e Newton si saranno trovati a doverle mantenere vive per riuscire a passare anni di lavoro solitario a districare i princìpi delle meccaniche celesti!
Coloro la cui conoscenza della ricerca scientifica derivi prevalentemente da risultati pratici, sviluppano facilmente un concetto completamente falso della mentalità degli uomini che, circondati da un mondo scettico, hanno mostrato la via a quelli con opinioni a loro simili, sparsi sulla terra e nei secoli. Solo chi ha votato la sua vita a fini simili può avere una realizzazione vivida di cosa ha ispirato questi uomini e dato loro la forza di rimanere fedeli al loro proposito a dispetto degli innumerevoli fallimenti. E' il sentimento cosmico religioso che dona all'uomo una forza di questo tipo. Un contemporaneo ha detto, non ingiustamente, che in questa nostra era materialista i seri lavoratori scientifici sono le uniche persone profondamente religiose.
Difficilmente potrete trovare una tra le varie profonde menti scientifiche senza un proprio senso religioso peculiare. Ma è una religione diversa da quella dell'uomo sprovveduto. Per quest'ultimo Dio è un essere della cui attenzione ognuno spera di beneficiare e la cui punizione si teme; una sublimazione di un sentimento simile a quello di un figlio per il padre, un essere col quale si intrattiene una relazione personale fino ad un certo punto, per quanto profondo possa essere il livello di devozione.
Ma lo scienziato è posseduto da un senso di causalità universale. Nel futuro, per lui, qualsiasi inezia è tanto necessaria e determinata quanto nel passato. Non c'è nulla di divino riguardo alla moralità, è una questione puramente umana. Il suo sentimento religioso prende la forma di un'estatica eccitazione per l'armonia della legge naturale, che rivela un'intelligenza di tale superiorità che, paragonata ad essa, tutto il pensiero e l'agire sistematico degli esseri umani appare un riflesso del tutto insignificante. Questo sentimento è il principio guida della sua vita e del suo lavoro, fin quando egli riuscirà a resistere alle catene del desiderio egoista. Il porsi al di sopra di simili questioni ha caratterizzato i geni religiosi di tutte le epoche.
Fonte: Albert Einstein, "Il mondo come lo vedo io", Secaucus, New Jersy: The Citadel Press, 1999
L'analisi dell'ipotesi del disegno intelligente ci suggerisce alcune considerazioni sul travagliato rapporto tra scienza e religione.
Poiche' la religione e la filosofia naturale precedono la scienza, almeno nella sua accezione moderna, post-rinascimentale, le radici del rapporto tra fede e scienza devono essere ricercate molto all'indietro nel tempo; ed e' importante capirle perche' vengono oggi frequentemente fraintese, grazie al fatto che l'evoluzione concettuale di questo rapporto e' spesso interessatamente ignorata. Tutti sanno che molti grandi scienziati furono uomini di fede, basti ricordare che Einstein non esitava a citare Dio nella sua critica della meccanica quantistica; per capire queste posizioni bisogna pero' ricostruire ed interpretare correttamente la storia delle teorie filosofiche che ipotizzano un rapporto tra fede e scienza, ed il pensiero di questi scienziati.
Nell'eta' classica la visione predominante della relazione tra religione e filosofia naturale e' in qualche modo derivata dalla filosofia naturale di Platone e la definiremo Platonica, anche se in maggiore o minore misura e' condivisa da molti autori; l'adattamento del platonismo alla religione cristiana e' di Plotino. In sostanza e con una certa approssimazione, l'ipotesi di Platone e' la seguente: le regolarita' della natura sono dovute al fatto che l'esistente e' una copia imperfetta di una Idea trascendente. Il filosofo della natura anziche' indagare l'esistente (o attraverso l'indagine dell'esistente) deve ricostruire l'Idea, vero e proprio progetto e modello dell'esistente.
L'investigazione della natura e' resa difficile da due ostacoli: in primo luogo l'esistente e' una copia imperfetta dell'Idea; in secondo luogo i nostri sensi e i nostri strumenti di misura sono imperfetti e ci restituiscono una immagine deformata dell'esistente. Pertanto, dice Platone, lo strumento principale di investigazione deve essere la nostra ragione che puo' immaginare e ricostruire le Idee. Due fondamenti di questa visione del mondo, impliciti in Platone ed espliciti negli scritti molti pensatori successivi, sono i seguenti: 1) l'uomo ha in se' una scintilla della luce divina e la sua ragione e' piu' vicina al progetto di quanto i suoi sensi siano vicini all'esistente; 2) in caso di contrasto tra l'esperienza dell'esistente e il ragionamento sull'Idea il secondo deve prevalere sulla prima.
L'epistemologia Platonica fu smussata e ammorbidita da molti filosofi successivi; ad esempio Aristotele chiedeva alla filosofia naturale coerenza logica e riscontro empirico e per questo era piu' attento del suo maestro ai risultati dell'investigazione dell'esistente. Nonostante (o forse grazie a) queste correzioni, il modello Platonico rimase in auge fino alla rivoluzione scientifica del Rinascimento e non fu abbandonato completamente neppure dopo: infatti in modo parziale ed incompletamente consapevole si riaffaccio' ancora, ad esempio, nella visione romantica della scienza. Non e' questa la sede per discutere ulteriormente questo punto, che richiederebbe ben altro spazio, ma il lettore interessato puo' trovare ulteriori informazioni e riferimenti in vari testi, tra i quali un mio recente saggio sulla "scienza" Freudiana ("Logica e fatti nelle teorie Freudiane", Antigone edizioni, 2007).
Con la rivoluzione scientifica del Rinascimento divenne chiaro che la filosofia naturale di epoca classica, soprattutto Aristotelica, era gravemente in contrasto con l'osservazione empirica della realta', e che era possibile formulare modelli ed ipotesi alternative altrettanto razionali. Veniva scalzato quindi il presupposto che la briciola divina contenuta nella ragione umana fornisse un accesso privilegiato al progetto dell'universo. I principali fallimenti delle ipotesi Aristoteliche si registrarono inizialmente nel campo della cosmologia, con la teoria di Copernico (Commentariolus, 1514; De revolutionibus orbium coelestium, 1543), e dell'anatomia, con le dissezioni di molti anatomici, tra i quali spicca il nome di Andrea Vesalio (De humani corporis fabrica, 1543). Il caso della cosmologia copernicana e' forse il piu' evidente: Copernico spiegava le stesse osservazioni sul moto degli astri che erano state spiegate da Tolomeo e da Aristotele con una teoria diversa ma altrettanto coerente: ne' la coerenza logica, ne' l'oservazione empirica erano all'epoca discriminanti. Quando Galileo accerto', con le sue osservazioni, che le lune di Giove obbedivano alle leggi di Copernico anziche' a quelle di Tolomeo, egli fece di piu' che risolvere un problema scientifico: dimostro' che l'esperimento decide tra due ipotesi teoriche egualmente plausibili e subordino' quindi la ragione all'osservazione. Cadevano cosi' i presupposti metodologici della scienza Platonica.
La caduta del paradigma Platonico, ormai assorbito all'interno della dottrina cattolica grazie alle rielaborazioni di innumerevoli filosofi e sugellato dalla grande autorita' morale e intellettuale di San Tommaso d'Aquino, richiedeva l'elaborazione di un nuovo paradigma. Anche questa impresa ha molti padri, ma se la si vuole riferire ad un rappresentante principale la si deve a mio parere chiamare Cartesiana. Infatti, se prima di Cartesio la religione garantiva la conformita' dell'esistente al progetto divino ed incoraggiava lo scienziato ad usare la sua ragione per intuire quest'ultimo, con Cartesio si afferma un diverso ruolo del Creatore. Il Dio di Cartesio continua ad il garante della coerenza del mondo, ma l'uomo cartesiano non ha piu', attraverso la sua ragione, un accesso privilegiato al progetto dell'esistente. La scienza e' ormai sperimentale, e in caso di contrasto tra un dato ed una ipotesi e' l'ipotesi a soccombere. Cartesio accetta che il progetto divino sia imperscrutabile e che la realta' debba essere indagata con l'osservazione e l'esperimento; ma aggiunge una garanzia epistemica che i greci non avevano postulato: che il risultato dell'osservazione e dell'esperimento non sara' fallace perche' Dio non permette che l'universo si manifesti in modo incoerente. In ultima analisi, e semplificando alquanto, Tommaso aveva invocato Dio come garante della ragione e Cartesio lo invoca come garante dell'osservazione.
L'ipotesi Cartesiana ebbe grande successo e ampia diffusione; abbiamo visto ad esempio nelle pagine di questo sito web dedicate all'omeopatia che Hahnemann invocava la coerenza logica e morale del Creatore a sostegno dell'ipotesi che tutte le malattie si curassero con il metodo omeopatico e che esistesse sempre un rimedio per qualunque malattia. Di fatto, la posizione di Cartesio e' inattaccabile perche' collega Dio (che non conosciamo) alla natura (che vorremmo conoscere) e non vi puo' essere contraddizione tra questi due enti; la contraddizione infatti e' tra le nostre ipotesi e le nostre osservazioni. Per contro la posizione Platonica aveva fallito perche' aveva collegato Dio alla ragione umana e questa si era rivelata perdente nel confronto con l'osservazione empirica. Dopo Cartesio, il vescovo Berkeley (1685-1753) radicalizzo' questa posizione, chiamando Iddio a garantire non soltanto la coerenza ma l'esistenza stessa del creato: se esistere e' essere percepiti, cio' che non e' percepito dall'uomo deve la sua esistenza all'essere percepito da Dio.
Una applicazione semplificata dell'epistemologia Cartesiana alla scienza e' dovuta a vari scienziati, tra i quali il chimico G.E. Stahl, che videro Dio soprattutto nel ruolo di Creatore: l'universo esiste secondo le sue leggi, che lo scienziato indaga, e non richiede l'intervento di Dio; ma Dio ne e' stato in origine il Creatore e il Legislatore. Questa ipotesi fu presentata con la fortunata metafora dell'orologio, che funziona anche in assenza dell'orologiaio al quale deve la sua esistenza, e ne esegue il progetto.
L'ipotesi Cartesiana e', come abbiamo detto, logicamente inattaccabile, ma e' stata ritenuta sostanzialmente inutile da molti filosofi e scienziati moderni che hanno elaborato una epistemologia atea: le leggi della natura non richiedono nessun garante, tanto piu' che la garanzia Cartesiana e' soltanto teorica e non conoscibile. Un punto a favore di questa critica e' l'esistenza di eventi (apparentemente) casuali, sui quali evidentemente il Creatore non offre garanzie. All'epoca di Cartesio, e ancora molti anni dopo, si riteneva che l'universo fosse rigorosamente deterministico e che quindi la sua regolarita' fosse un dato incontrovertibile; la scoperta della natura probabilistica di alcuni eventi non contraddice l'ipotesi di Cartesio (Dio potrebbe essere autore di leggi probabilistiche anziche' deterministiche) ma la rende meno appetibile.
Quanto detto ci porta a riconoscere tre diverse teorie sulla relazione tra fede e scienza: quella Platonica per cui la ragione prevale sull'esperimento, cristianizzata grazie alla subordinazione della retta ragione alla fede; quella Cartesiana che permette il prevalere dell'esperimento sulla ragione svincolando quest'ultima dalla fede, invocata ora solo come garante della coerenza dell'universo e delle sue leggi; e quella atea che non solo fa prevalere l'esperimento sulla ragione ma nega qualunque ruolo alla fede e rinuncia a qualunque garanzia trascendente.
Nessuno scienziato e' oggi uomo di fede nel senso Platonico, semplicemente perche' l'accezione Platonica del rapporto tra fede e filosofia della natura e' totalmente incompatibile con la metodologia della scienza post-Rinascimentale. Alcuni scienziati sono uomini di fede nel senso Cartesiano, mentre altri sono atei e non v'e' nessun contrasto tra queste due visioni della scienza perche' non comportano discrepanze metodologiche; ovvero la fede dello scienziato Cartesiano e' essenzialmente esterna alla sua pratica scientifica.
Siamo in grado ora di fare una osservazione sulla teoria del disegno intelligente o su altre possibili ipotesi che cercano di collegare fede e scienza. Il Disegno Intelligente e' una ipotesi Platonica, quindi metodologicamente inaccettabile: infatti cerca di trarre conclusioni positive con un ragionamento basato sulla presunta insufficienza dei dati sperimentali. Il teorico del disegno intelligente sostiene che l'esistente e' troppo complesso e organizzato per essere frutto del caso e pertanto implica un progetto trascendente: cio' che si presume non spiegabile (la complessita') anziche' essere un limite della nostra capacita' di comprendere diventa una dimostrazione dell'Idea Platonica. Ma argomentare qualcosa di positivo basandolo sull'insufficienza (presunta) di cio' che abbiamo capito e' un passo piu' lungo della gamba: cio' che non sappiamo non e' un fondamento su cui costruire. L'ipotesi del disegno intelligente utilizza implicitamente i postulati del Platonismo cristianizzato: ipotizza un progetto trascendente, e poiche' questo non si rivela nell'osservazione se non in forma negativa, di complessita' non spiegata, afferma che e' lecito intuirlo e postularlo col ragionamento. Il teorico del disegno intelligente vorrebbe essere scienziato e uomo di fede ma fallisce in entrambi i ruoli perche' sovrainterpreta i suoi dati e perche' la sua pretesa di "mettersi nei panni di Dio" e ricostruirne le intenzioni e' blasfema.
Le alte gerarchie della Chiesa Cattolica attuale sembrano prediligere una visione Platonica del rapporto tra fede e scienza non soltanto nel loro appoggio all'ipotesi del disegno intelligente: si vorrebbe, col tramite dell'etica cristiana, indicare la direzione della ricerca medica e i risultati da ricercare in molti campi che vanno dallo studio delle cellule staminali embrionali alla diagnostica e terapia prenatale o alla nosologia delle perversioni sessuali. Molto chiaramente, le alte gerarchie ecclesiastiche hanno in mente nelle sue grandi linee il progetto trascendente dell'universo e si sentono in dovere di indicare quali linee di ricerca siano con esso eticamente coerenti e quali siano invece empie. Se questo atteggiamento e' in fondo coerente con il ruolo morale della religione, e quindi non criticabile, sono pero' criticabili i sotterfugi logici di cui si serve quando chiama in sua difesa la testimonianza di famosi scienziati cattolici. Infatti, come abbiamo visto, nessuno scienziato che possa dirsi tale e' cattolico o religioso secondo l'accezione Platonica del termine, che e' pero' la sola a giustificare le pretese di egemonia e morale del cattolicesimo oltranzista.
Sul versante opposto, la scienza ha oggi qualcosa da dire sulla religione? Io credo che qui sia il nocciolo del contrasto tra scienza e religione, perche' alcune scoperte scientifiche mettono gravemente in crisi alcuni fondamenti della dottrina Cattolica. A costo di essere banale, provero' ad elencarne alcuni. La cosmologia e la biologia descritte nel Pentateuco sono cosi' ovviamente inammissibili dal punto di vista scientifico che neppure la Chiesa assegna loro piu' che un valore simbolico o allegorico; ma naturalmente non era cosi' all'epoca di Galileo (costretto all'abiura formale delle sue posizioni) e di Giordano Bruno (che fini' sul rogo). L'immortalita' dell'anima e' un problema piu' scottante: la medicina ha descritto (e talvolta curato) molte malattie neurologiche che compromettono funzioni tradizionalmente assegnate all'anima; e la neurofisiologia ha assegnato queste funzioni ad aree specifiche del cervello. Ad esempio le quattro virtu' cardinali (prudenza, giustizia, fortezza e temperanza) sono connesse a funzioni cognitive superiori, assegnabili alle aree associative della corteccia cerebrale e sono certamente alterate dalle malattie neurodegenerative quali il morbo di Alzheimer o la demenza aterosclerotica; questo rende molto difficile credere ad un'anima immortale, svincolata dal supporto materiale del cervello.
C'e' inoltre una generica ingenuita' nelle religioni rivelate, che si basano su libri profetici di presunta ispirazione divina, quali la Bibbia o il Vangelo, perche' tutte le scienze, dalla storiografia all'astronomia, dimostrano che il profeta non ha rivelato che nozioni comuni della sua epoca. Provate a leggere la Bibbia: ci troverete la storia delle vicende politiche e militari relative ad un certo periodo della storia una tribu' seminomade che abitava una piccola regione del vicino oriente. Non vi si parla della storia di altri popoli e di altre regioni, note forse al Creatore ma certamente non al profeta. Se questo non basta a dimostrare che il Libro non sia l'oggetto di una rivelazione trascendente, dimostra pero' che la rivelazione e' "locale" e quindi relativa. La Chiesa si pretende portatrice di una morale assoluta, di origine trascendente e nota per rivelazione divina; ma tutta la nostra conoscenza ci dimostra invece che la rivelazione nota e' relativa e incompleta. A riprova di questo considerate come la morale Cristiana si sia evoluta nella storia: oggi le crociate o l'inquisizione sono empie e inammissibili ma prima erano pietose e necessarie.
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