Il culto di sant'Antonio Abate, che morì nel 356, senza essersi mosso dall'Egitto, è diffuso ovunque, ed è l'esempio di come la storia di un santo non finisca con la sua vita terrena, ma continui in un rapporto attivo con gli uomini e con Dio, che lascia tracce nell'iconografia.
È uno dei fondatori del monachesimo: «monos» in greco vuol dire uno: monaco è l'uomo che appartiene a Uno solo, cioè a Dio, e vive solo. Lo vediamo perciò col saio monacale, e ha l'appellativo di abate, che vuol dire «padre»: per i monaci infatti il superiore è come un padre.
Morti i genitori, Antonio distribuì i beni ai poveri e si ritirò nella solitudine del deserto della Tebaide in Egitto.Visse secondo la regola «ora et labora» che un angelo gli aveva insegnato.
E diavolo lo tentò crudelmente nel deserto, sia con pensieri osceni che con pensieri dall'apparenza spirituale: per questo, le storie leggendarie lo vedono spesso contendere al diavolo l'anima dei cristiani appena morti, e spesso il diavolo compare nella sua iconografia.
Grazie alla preghiera resistette alle tentazioni, e il Signore gli consentì di consolare gli afflitti, liberare gli indemoniati, guarire i malati e istruire quanti volevano dedicarsi alla vita ascetica.
Una simpatica leggenda dice che si recò all'inferno per rubare il fuoco al diavolo, e che mentre lui lo distraeva, il suo maialino corse dentro l'inferno, rubò un tizzone, e lo portò fuori per donarlo agli uomini.
La sua fama di guaritore dell'«herpes zoster», che perciò è detto «fuoco di sant'Antonio», fece accorrere i malati al villaggio francese, che da lui prese il nome di Saint-Antoíne de Viennois, dove erano giunte le sue reliquie, e dove si costruì un ospedale, retto da una confraternita di religiosi che sarebbero divenuti l'Ordine Ospedaliero degli Antoniani, che prese come insegna la T, la «tau», che è tradizionale attributo del santo.
La T è antichissimo segno sacro, simbolo del centro del mondo, ultima lettera dell'alfabeto ebraico e quindi allusione alle cose ultime e al destino: ai bastoni dei monaci venne data questa forma.
I religiosi allevavano maiali che, distinguibili per un campanello, avevano il privilegio di pascolare liberamente nel paese.
È patrono degli eremiti. Poiché, con l'aiuto di un leone, diede sepoltura all'eremita san Paolo nel deserto della Tebalde, è patrono anche dei becchini.
Per il tramite del maiale, non solo il campanello è entrato nell'iconografia del santo, detto anche «sant'Antonio dal campanello», ma anche il santo è divenuto protettore dei porci e dei loro guardiani,nonché degli animali domestici e in particolare di quelli delle stalle, nonché patrono di molti mestieri che avevano a che fare col maiale e la lavorazione del suo corpo.
La tradizione vuole che la notte della vigilia del 17 gennaio nella stalla si sentano gli animali parlare, e la benedizione delle state in questo giorno è tradizione radicata e ben viva: nelle città si portano a benedire gli animali da compagnia, dai grossi cani ai piccoli pesci.
Sempre per il tramite del maialino protegge macellai e salumieri, tosatori e fabbricanti di spazzole che si facevano con le setole del porco, tessitori e commercianti di tessuti, conciatori, guantai; è patrono dei panierai perché nel deserto intrecciava canestri; poiché guarisce dal fuoco dell'«herpes», è patrono dei pompieri: è invocato contro le fiamme dell'inferno e gli incendi, e contro ogni tipo di contagio e in particolare contro tutte le malattie della pelle quali rogna, prurito, scabbia, scorbuto, lebbra, sifilide e malattie veneree, e anche i semplici foruncoli e le varici; per il campanello del porcellino, è patrono dei suonatori di campane.
Per quanto riguarda la peste, è invocato anche perché il bastone a «tau» ricorda gli Ebrei risparmiati quando fu elevato il serpente per combattere l'epidemia diffusasi tra il popolo: chiunque vi volgesse gli occhi era salvo. Questa croce è chiara immagine di Cristo.
Viene rappresentato sia in veste di monaco ed eremita, sia in veste di abate mitrato, in abiti vescovili.
Suoi attributi principali sono il bastone a tau, il porcellino, il fuoco; secondari sono il campanellino, gli animali delle stalle, cavalli, cani, porci.
Biografia di S. Antonio da Padova

Antonio nasce a Lisbona nel 1195, da nobili e virtuosi genitori. Al fonte battesimale gli viene imposto il nome di Fernando. Cresce in un ambiente sereno e sano, dove il timor di Dio regna sovrano. La preghiera quotidina alimenta e fortifica la sua fanciullezza. Ama il silenzio in modo particolare, per poter ascoltare la parola di Dio. Giovane di 15 anni, ma ben presto maturo nelle cose spirituali, tra la sorpresa dei suoi familiari e dei suoi amici, si ritira nell'abbazia agostiniana di S. Vincenzo, alla periferia di Lisbona. Le visite continue dei parenti e degli amici, fatte di proposito per distrarre il giovane Antonio dalla sua vocazione e, naturalmente, dallo studio e dalla preghiera, lo costringono a chiedere ai suoi superiori di essere trasferito in un convento di una sede lontana. Gli viene accordata la nuova sede di Coimbra. Nel convento agostiniano di questa città ora piò dedicarsi con maggiore tranquillità di mente e di spirito agli studi teologici che lo attendono per raggiungere la meta agognata del sacerdozio. Quando nel gennaio 1220 assiste a Coimbra al ritorno in patria delle salme di cinque frati francescani, massacrati in Marocco (sono i primi martiri dell'Ordine Francescano), con fervoroso e sincero slancio di apostolo e di missionario decide di abbracciarre l'ideale francescano. Ammesso a far parte delle nuova famiglia religiosa, in poco tempo recepisce con tanta profondità lo spirito di quest'Ordine che, avendo avanti a sé la prospettiva del martirio, chiede per sé la missione in Marocco. Cambiato anche il nome, Antonio in luogo di Fernando, in un ardente slancio di rigenerazione completa, dopo aver trascorso alcuni mesi nel nuovo convento si prepara, nell'autunno del 1220 a partire per il duro apostolato in Marocco. Ma il Signore ha concepito per lui ben altri disegni. Appena giunto sul lido africano Antonio si ammala di febbri malariche. Tutti i suoi ideali s'infrangono sul nascere. Le prediche preparate con tanto fervore, per condurre a Dio tante anime, il desiderio sempre vivo del martirio, si vestono di oblio mentre egli si prepara a tornare in patria
Ma la volontà di Dio anche questa volta interviene e fa si che i venti contrari sospingano la nave sulle coste della Sicilia.
Giunto a Messina Antonio vi si ferma per alcuni mesi fino a quando sente parlare di un grande Capitolo indetto ad Assisi per la Pentecoste del 1221. Questa è per lui la grande occasione di vedere oltre le migliaia di frati del nascente Ordine Francescana, anche il loro serafico fondatore: Francesco d'Assisi.
Antonio vi partecipa con entusiasmo.
Dopo la conclusione del Capitolo a lui viene assegnato, come sede conventuale, l'eremo di Montepaolo, nei pressi di Forlì.
L'umile seppur dotto Frate Antonio si rivela inaspettatamente affascinato predicatore della parola di Dio, a Forlì, nella circostanza dell'assenza temporanea di un oratore ufficiale.
Le sue predicazioni hanno così inizio e, a queste si alternano le conversioni singole e di massa.
È rimasta celebre, nella vita di Antonio, la sua predica ai pesci, sul litorale di Rimini, città dominata, in quel tempo, dagli eretici. Non meno celebre è il miracolo della mula tenuta digiuna per tre giorni e, che, messa alla prova dopo una sfida lanciata dal suo padrone ateo, invece di prendere il fieno, s'inginocchia davanti all'Ostensorio. Il padrone della mula si converte all'istante.
La vita del nostro santo, seppur caratterizzata da ispiratissime prediche, è anche, però, intessuta di preghiera, di sacrifici, di mortificazioni e di penitenze di ogni genere.
Da questa meravigliosa costellazione di episodi ascetici sbocciano, come fiori, gli strepitosi miracoli operati nel nome di Dio.
Quando gli viene ordinato di predicare durante i funerali di uno strozzino egli rivela agli astanti che il cuore di quell'uomo trovasi nello scrigno dove sono custoditi i suoi tesori, cosa, questa, immediatamente constatata da tutti.
Non si può tacere il suo incontro con il tiranno Ezzelino da Romano, nella città di Verona.
Tanto lungo e vario è l'elenco dei prodigi operati da Frate Antonio che occorrerebbero molte pagineper la descrizione anche sommaria di tanti episodi clamorosi.
Uomo di cultura straordinaria,Antonio è il primo dei Frati Minori che insegna teologia all'Università di Bologna, su espresso desiderio di Francesco.
Dopo i lunghi ed apostolici viaggi in Italia e in Francia, ormai stanco e malato d'idropisia si ritira nel Veneto, nei pressi di Padova, in una località denominata Camposampiero. Qui avvenne uno strepitoso miracolo visto e descritto dal Conte Tiso, suo amico.
Dalla celletta accupata da Frate Antonio, con la porta socchiusa, il Conte vede una gran luce; temendo un incendio egli spinge la porta e, con grande stupore, vede il Bambino Gesù tra le braccia di Antonio.
Il Santo si ferma ancora alcuni Giorni a Camposanpiero, fino a quando, cioè, accortosi che le forze gli venivano meno, chiede al suo amico Tiso di condirlo a Padova, ma lungo il penoso e disagiato tragitto un nuovo attacco d'idripisia costringe il corteo a fermarsi nei pressi del conventino francescano dell'Arcella,
a poca distaza da Padova. Il male si aggrava rapidamente. Antonio chiede ed ottiene i santi sacramenti e prima di addormentarsi in Cristo mormora lentamente: "Vedo il mio Signore".
Ha 36 anni. La sua giovane vita, come un fiore profumato viene trapiantata nei giardini celesti.
Ed ecco che al momento del suo trapasso, per le vie di Padova, tanti fanciulli gridano: "È morto il Santo!"
In poco meno di un anno, il Pontefice Gregorio IX dalla sua sede di Spoleto lo proclamerà santo. Da quel giorno è il Santo universalmente conosciuto col nome di Antonio da Padova.
Il Santo dei miracoli, per eccellenza. Nel 1946, S.S. Pio XII lo proclama Dottore della Chiesa.
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