Il picco di Adamo.
Alcuni luoghi al mondo sono così affascinanti e suggestivi che immediatamente stimolano l'immaginazione. Picco di Adamo in Sri Lanka è uno di questi luoghi che sta attirando l'attenzione dei cittadini dello Sri Lanka e degli altri viaggiatori internazionali da secoli. Picco di Adamo o Sri Pada è la quinta più alta vetta del paese, ed è stato a lungo un luogo di pellegrinaggio che attira migliaia di pellegrini e turisti ogni anno.
Ci sono molte leggende associate a Picco di Adamo. Una di queste leggende dice che è il luogo in cui Adamo ha messo il suo piede sulla terra dopo essere stato espulso dal cielo. Buddisti credono che le impressioni sulla roccia nuda al vertice del picco sono le impronte (Sri Pada) di Buddha. La gente crede che Buddha stesso ha lasciato la sua impronta sulla roccia in una delle sue visite alla montagna. Secondo gli indù in Sri Lanka, queste impronte sono quelli di Lord Shiva. Poi ci sono molti che dicono che le impronte appartengono a San Tommaso, primo apostolo arrivati in India. Qualunque sia la verità, Sir Pada rimane essenzialmente un luogo di pellegrinaggio buddhista, ed è stato adorato dal popolo cingalese dello Sri Lanka da secoli. Per la maggior parte dei visitatori che desiderano salire al Picco di Adamo, inizia di solito da Dalhousie, un piccolo villaggio situato nella parte nord del picco. Ratanpura usato per essere il luogo preferito per iniziare il viaggio fino alla vetta dello Sri Pada. Da Dalhousie, ci sono circa 7 km da salire fino alla cima del picco, e si impiegano circa 3-4 ore, in media, per completare il percorso. I devoti iniziano il loro viaggio nella notte in modo da raggiungere la cima del Picco di Adamo per l'alba. Ci sono innumerevoli passi (circa 5.200), e avrete bisogno di una torcia per camminare al buio. Sulla strada per la vetta, si passa attraverso un arco d'ingresso, Dagoba Amicizia, e molti negozi di tè. Mentre si sale Picco di Adamo in Sri Lanka, è possibile trovare il luogo piuttosto freddo e ventoso. I pellegrini per raggiungere la cima ed adorare la santa impronta sulla roccia affrontano anche questo quindi coprirsi adeguatamente. Tuttavia, la vista più spettacolare per godere è la "Shadow of the Peak" che è colpita dal sole che sorge. L'ombra che ne scaturisce ha la forma di un triangolo, e rimane sospeso in aria per circa 15-20 minuti. I devoti credono che questa ombra viene creato dai poteri mistici della montagna. C'è un tempio al vertice del picco d'adamo che rimane estremamente affollato durante tutta la stagione dei pellegrinaggi (da dicembre a maggio) e in particolare nei mesi di gennaio e febbraio. Pellegrini offrono preghiere al tempio e poi iniziano a muoversi verso il basso prima che diventi troppo caldo per camminare esposti ai raggi solari. Per chi desiderasse fare questa esperienza Febbraio ad Aprile è il momento migliore per salire sul Picco di Adamo. Durante questo periodo, il tempo esprime il suo meglio in questa regione. La stagione dei pellegrinaggi principali a Picco di Adamo va da dicembre ad aprile / maggio. Gennaio e febbraio sono di solito i mesi più affollati, quando migliaia di devoti affollano questo luogo sacro trasformandolo in un sito vivace e pieno di energia ed entusiasmo. Come già accennato è possibile utilizzare Dalhousie o Ratanpura come punto di partenza per la salita a Picco di Adamo. Dalhousie si trova a circa 33 km dalla città del tè di Hatton. Se state visitando Picco di Adamo tra giugno e novembre, e siete soli, è consigliabile trovare qualche guida del posto per il percorso nella notte che non è illuminato. È inoltre possibile trovare molte sanguisughe in questo percorso, quindi meglio proteggersi con un unguento deterrente per la sanguisuga prima di iniziare il vostro viaggio.
Balbeek, uno tra i luoghi più sacri ed enigmatici dell’antichità
Molti sono i siti megalitici nel mondo, ma uno in particolare risulta essere molto emblematico per la sua straordinaria complessità e sacralità: Baalbek in Libano.
Il sito di Balbeek è uno tra i luoghi più sacri ed enigmatici di tutta l’epoca antica. Con i suoi 5 mila anni di storia, Balbeek presenta le costruzioni realizzate con i più grandi blocchi di pietra mai osservati.
La sacralità del luogo era riconosciuta da tutti i popoli dell’antichità. Tant’è vero che quando i romani conquistarono la regione, vi costruirono un tempio dedicato al dio Baal-Giove, un ibrido tra l’antica divinità cananea di Baal (Signore) e Giove romano.
La sacralità del luogo era riconosciuta da tutti i popoli dell’antichità. Tant’è vero che quando i romani conquistarono la regione, vi costruirono un tempio dedicato al dio Baal-Giove, un ibrido tra l’antica divinità cananea di Baal (Signore) e Giove romano.
Il tempio è stato costruito su un ‘tel’, cioè un tumulo, segnale di un luogo ritenuto a lungo importante, anche se non si sa a cosa fosse dovuta la sua sacralità. Ad infittire il mistero c’è il fatto che la parte più antica delle rovine di Baalbek non è assolutamente riconducibile a nessuna cultura conosciuta. Inoltre, originariamente il sito è stato impiegato per scopi che attualmente rimangono avvolti nel mistero.
Le origini di Baalbek risalgono a due insediamenti cananei che gli scavi archeologici al di sotto dell tempio di Giove hanno permesso di identificare come databili all’età del bronzo antica (2900-2300 a.C.) e media (1900-1600 a.C.).
L’origine del nome è oggetto di discussione da parte degli archeologi. Il termine Baal significa semplicemente ‘Signore’ o ‘Dio’, titolo utilizzato in tutto il Medio Oriente arcaico. La parola Baalbek potrebbe significare ‘Signore della Valle’, o ‘Dio della Città’, a seconda delle diverse interpretazioni.
Nel periodo seleucida (323-64 a.C.) e romano (64-312 a.C.), la città fu conosciuta con il nome di Eliopoli, la ‘Città del Sole’. Con la costruzione del tempio, Baal-Giove divenne la divinità centrale del culto della regione. Qualunque fosse la natura del culto preromano, la costruzione del tempio creò una forma ibrida di venerazione del dio Giove, generalmente indicato come Giove Eliopolitano.
L’origine del nome è oggetto di discussione da parte degli archeologi. Il termine Baal significa semplicemente ‘Signore’ o ‘Dio’, titolo utilizzato in tutto il Medio Oriente arcaico. La parola Baalbek potrebbe significare ‘Signore della Valle’, o ‘Dio della Città’, a seconda delle diverse interpretazioni.
Nel periodo seleucida (323-64 a.C.) e romano (64-312 a.C.), la città fu conosciuta con il nome di Eliopoli, la ‘Città del Sole’. Con la costruzione del tempio, Baal-Giove divenne la divinità centrale del culto della regione. Qualunque fosse la natura del culto preromano, la costruzione del tempio creò una forma ibrida di venerazione del dio Giove, generalmente indicato come Giove Eliopolitano.
Antiche leggende affermano che Baalbek era la città natale di Baal. Altre tradizioni vogliono che Baalbek sia il luogo del primo arrivo di Baalbek, corroborando l’ipotesi avanzata dai teorici degli Antichi Astronauti, secondo la quale la parte più antica del sito era stata costruita come una piattaforma da utilizzare per permettere a Baal di ‘andare in cielo e tornare in terra’.
L’ipotesi nasce dal fatto che Eliopoli è stata costruita su un’enorme piattaforma di pietra di epoca preromana. Al di là delle teorie, lo scopo reale di questa struttura e l’identità di chi l’abbia realizzata rimangono completamente sconosciute.
Ciò che impressiona di Baalbek, e che rappresenta il suo mistero, sono i giganteschi blocchi pietra utilizzati per costruire la struttura più antica, situata sotto il tempio edificato dai romani. Alcuni di essi arrivano a pesare fino a 1000 tonnellate, parallelepipedi di pietra perfetti, i più grandi blocchi da costruzione mai esistiti in tutto il mondo.
Le eleganti ed imponenti colonne posizionate successivamente dai romani impallidiscono in confronto ai megaliti utilizzati dagli antichi. Il modo in cui queste pietre sono state tagliate e spostate ha interrogato i ricercatori per molti anni. Anche con le tecniche attualmente a nostra disposizione, avremmo grosse difficoltà a lavorare e spostare rocce di tali dimensioni.
Il cortile del Tempio di Baal-Giove poggia su una piattaforma chiamata Grand Terrace, che consiste di un enorme muro esterno realizzato con mastodontici blocchi di pietra di circa 20 metri di lunghezza e i 4 metri di profondità. Nove di questi blocchi sono visibili sul lato nord del tempio, nove a sud e sei ad ovest.
Un’altra pietra, ancora più grande, si trova in una cava di calcare a circa un quarto di miglio dal complesso di Baalbek. Il blocco pesa circa 1200 tonnellate e supera i 21 metri di lunghezza, il che la rende la più grande blocco di pietra lavorato più grande del mondo. E’ chiamata l’Hajar el Gouble e ha un angolo sollevato da terra, con la parte opposta ancora attaccata alla roccia, quasi pronto per essere completato e trasportato a destinazione.
Per quante spiegazioni si siano tentate di dare, i blocchi di Balbeek rimangono un grande enigma per gli scienziati contemporanei, così come per gli ingegneri. E’ difficile immaginare in che modo tali blocchi di roccia possano essere stati tagliati con tale precisione, trasportati e posti in opera con un precisione che va al di là delle capacità tecniche di costruttori antichi e moderni.
E’ possibile tagliare degli enormi blocchi di pietra calcarea, in maniera così perfetta, colo con degli scalpelli di bronzo? E come è stato possibile alzare e posizionare con precisione millimetrica tali blocchi?
Vari studiosi, a disagio con l’idea che una cultura del passato potesse essere in possesso di una tecnologia superiore alla nostra, hanno ipotizzato che le pietre siano state sollevate utilizzando un sofisticato sistema di ponteggi e animali, rampe e pulegge, e un gran numero di uomini.
Per fare un paragone, quando l’architetto italiano Domenico Fontana dovette ergere l’obelisco di 327 tonnellate in Piazza San Pietro, impiegò 40 enormi pulegge, 800 uomini e 140 cavalli. Quindi, in teoria, per elevare un blocco di 1200 tonnellate, si sarebbero dovuto moltiplicare per quattro l’intero armamentario. Inoltre, l’obelisco di San Pietro è stato innalzato su un grande spazio aperto che poteva facilmente ospitare tutti gli apparecchi di sollevamento, gli uomini e i cavalli.
Ma il complesso di Baalbek si trova su di una collina a 1200 metri sul livello del mare, con nessuno spazio sufficientemente ampio da poter ospitare una tale mole di strumenti, lavoratori e animali. Inoltre, posizionare una serie di pietre a diverse altezze con precisione millimetrica è molto più complesso dell’erezione di un obelisco. Il paragone, quindi, non regge.
Alcuni archeologi, incapaci di risolvere l’enigma di Balbeek, raramente hanno l’onesta intellettuale di ammettere la loro ignoranza in materia, concentrando esclusivamente la loro attenzione su innumerevoli misurazioni e impegnandosi in discussioni fuorvianti sulle stratificazioni di epoca romana.
Architetti e ingegneri, tuttavia, non avendo nessuna idea preconcetta della storia antica, affermano francamente che non esistono, attualmente, tecnologie tali da poter ripetere una simile impresa. Gli enormi blocchi di Baalbek sono semplicemente al di là delle capacità ingegneristiche di qualsiasi civiltà nota del passato e del presente.
Non si tratta di artefatti goffi e grossolani come quelli di Stonehenge, ma di una raffinata opera ingegneristica con un enorme paradosso: le pietre più gradi, invece di essere state utilizzate come fondamenta, sono state poste nei punti più in alto.
E’ evidente che Baalbek è uno dei complessi più misteriosi e controversi del pianeta. La sua origine è sconosciuta, così come i suoi costruttori. Quello che è certo è che il sito è decisamente più antico dei popoli che lo hanno utilizzato: Fenici, Egiziani, Greci e Romani.
L’unica ipotesi plausibile è che sia stato costruito da una civiltà a noi sconosciuta, esistente poco prima della comparsa delle nostre culture più antiche e in possesso di una tecnologia sofisticata e, in qualche modo, la figura di Baal è legata ad essa. Come abbiano fatto a costruire un tale monumento senza lasciare la minima traccia del loro passaggio è uno dei grandi misteri di Baalbek.
Il Monte Sinai è considerato sacro sia dagli ebrei sia dai cristiani e dai musulmani, come il luogo in cui Mosè ricevette le tavole con i Dieci Comandamenti. Secondo la tradizione, nella valle ai suoi piedi Dio gli parlò per la prima volta da un roveto ardente.
Con la sua vetta che raggiunge i 2285 m, il Monte Sinai (in arabo Gebel Musa, la montagna di Mosè) troneggia sul monastero di Santa Caterina. Si ritiene che il monte Sinai sia monte Horeb citato dalla Bibblia, su cui Mosè passò 40 giorni e 40 notti prima di ricevere i Dieci Comandamenti. Alcuni storici e archeologi dimostrano il contrario, collocando il Monte Horeb in Giordania o nell'Arabia Saudita, ma questo non scoraggia la folla di pellegrini che arrivano qui anno dopo anno.
Le gite verso la vetta non sono però solo da parte dei religiosi, venire qui dopo una visita al monastero di Santa Caternia per ammirare il sole che sorge dalla cima del Monte Sinai di solito fa parte del viaggio.
La salita sul Monte Sinai
Vi sono due sentieri che salgono sulla cima della montagna. Per chi è più in forma, ci sono i 3750 della Scala del Pentimento, scavati da un monaco penitente, e questa è la strada più diretta.
Chiamate anche Gradini della Penitenza sono un percorso più ripido disseminato di vari luoghi votivi, tra cui la Porta della Confessione, dove un tempo un monaco ascoltava le confessioni dei pellegrini, la porta di Santo Stefano e la sorgente di Mosè, che sgorga da una piccola grotta.
Di solito si usa la più facile "via dei cammelli " che parte da dietro il monastero. E' un sentiero più tortuoso, ma un po' meno pesante per i muscoli delle gambe.
La Via dei Cammelli confluisce con gli ultimi 750 gradini della scala del pentimento, nelle vicinanze della Cava di Elia, una pianura sabbiosa ornata di alcuni cipressi, tra cui uno vecchio quasi 1000 anni.
La maggior parte dei turisti sale la sera, per arrivare di notte e vedere l’alba. Se volete trascorrere la notte sulla montagna, conviene fermarsi alla Cava di Elia, dove troverete anche toilette da campo e alcuni negozietti. Fa freddo anche d’estate, conviene quindi vestirsi bene munirsi di sacco a pelo. In vetta alla montagna, dove Dio avrebbe parlato a Mosè da una nube fiammeggiante, sorge una moschea del XII secolo e la cappella della Santa Trinità, edificata nel 1934 sulle rovine di una chiesa del IV secolo. L'eccezionale veduta panoramica abbraccia i golfi di Aqaba e di Suez, i monti dell'Africa e quelli dell'Arabia Saudita.
Vivere il Monachesimo
Nel dicembre 2002, un piccolo gruppo di monaci americani, con coraggio e con fede, rifondò la vita monastica a Norcia, sul luogo natale di san Benedetto. I monaci vi erano stati espulsi nel 1810, e sarebbero trascorsi quasi due secoli prima che la Provvidenza li facesse ritornare. Ispirandosi alla Santa Regola, questi monaci-pionieri hanno fatto ritorno alle radici della tradizione benedettina. Cantando notte e giorno l'Ufficio Divino in latino, si sono ispirati allo spirito del fondatore. Così a Norcia, giovani provenienti da diversi Paesi del mondo, hanno abbracciato la vita del monastero impegnandosi alla stabilitas, ad un cambiamento radicale di vita, all'obbedienza. Obiettivo: non anteporre nulla all'amore di Cristo!
Il documentario è stato girato durante l'estate del 2011, e ti porta dentro la vita dei monaci benedettini di Norcia. In tutti i monasteri benedettini vige una precisa organizzazione della giornata, con momenti di preghiera alternati a lettura e lavoro manuale. Il monaco si alza prima dell'alba e si reca in chiesa per la recita dell'ufficio notturno, che termina con le lodi mattutine. Inizia quindi il proprio lavoro, che non interrompe più sino alla Messa conventuale. La campana dell'Angelus ricorda l'ora del pranzo: nel refettorio l'abate benedice la mensa ed il lettore che leggerà un brano della Sacra Scrittura o dei Padri durante il pasto. A tavola vige il silenzio per evitare ogni diminuzione di raccoglimento; segue un'ora di ricreazione comune, poi i monaci ritornano al loro lavoro. La campana della cena riunisce di nuovo la comunità monastica per un pasto rapido e frugale. Poi il monastero si immerge nel silenzio: è l'ora di compieta, la preghiera della sera. L'abate benedice i monaci, infine tutto tace. Nel video, la giornata delle monache dell'Abbazia di San Vincenzo al Volturno, nel Molise. Nella concezione di san Benedetto, il monastero era un luogo in cui praticare l'ascesi: per questo, ogni monastero era una "fortezza della fede" che praticava una rigida clausura nei confronti del mondo esterno. Ecco perchè la Regola di Benedetto abbinava alle pratiche religiose le attività lavorative, indispensabili affinchè il monastero fosse autosufficiente. Dal punto di vista architettonico, questa concezione si tradusse da subito in una forma che ben evidenziava la "secessione" dal mondo: un possente recinto al cui interno si addossavano gli edifici della comunità, e al cui centro stavano la chiesa e la sala capitolare. Secondo questo schema, di ispirazione orientale, sono costruiti i monasteri di Santa Scolastica e Montecassino. Quando la separazione dal mondo fosse già data dalla natura, come nel caso di grotte, era sufficiente ricavare i locali nella roccia: è ciò che è avvenuto, in modo straordinario, nel Sacro Speco di san Benedetto a Subiaco. Il canto gregoriano è considerato dalla Chiesa come “Bibbia cantata”, e nelle sue varie forme viene utilizzato nella liturgia nei monasteri benedettini. Il gregoriano è un canto a una sola voce e senza accompagnamento musicale. Gran parte del repertorio di canti venne composto durante il V e VI secolo nella schola cantorum, in cui la Chiesa formava i cantori che accompagnavano le funzioni. Durante l’VIII secolo i sovrani franchi adottarono la liturgia romana, dando vita al canto gregoriano propriamente detto, il gallico-romano. Durante il IX secolo esso si diffuse in tutto l’impero carolingio, e i monasteri benedettini divennero i punti di riferimento per la sua diffusione. In Italia, i due centri più attivi furono l’abbazia di Nonantola e quella di Montecassino. Dalla metà del XIX secolo, grazie a un lavoro di ricerca tuttora in corso, l’abbazia di Solesmes, in Francia, si è imposta come il principale centro mondiale di studio e conservazione del canto gregoriano. In Italia, vi sono ottime scuole di canto gregoriano. Nel video, la suggestiva Missa De Angelis della Schola Gregoriana Mediolanensis.
L'isola di Pasqua e il mistero dei Moai.
L'Isola di Pasqua, conosciuta anche come Rapa Nui, è immersa nell'Oceano Pacifico e si trova al largo delle coste del Cile. Il suo nome è dovuto al fatto che l'isola è stata scoperta il giorno di Pasqua del 1722 dall’esploratore Olandese Jacob Roggeveen. Il territorio dell'isola è ricoperto da quattro vulcani, Poike, Rano Kau, Rano Raraku e Terevaka. Per questo motivo l'Isola di Pasqua è molto salvaggia e non si trovano molti animali, se non cavalli, pecore, mucche e maiali importati dalla terraferma. Il mare non è caratterizzato dalla barriera corallina come altre isole del Pacifico. Tuttavia, nelle sue acque vive una grande colonia di capodogli che possono essere osservati dai visitatori dell'isola. Per chi ama praticare trekking ed escursionismo è la meta ideale.
I moai sono statue che si trovano sull'Isola di Pasqua. Nella maggior parte dei casi si tratta di statue monolitiche, cioè ricavate e scavate da un unico blocco di tufovulcanico; alcune possiedono sulla testa un tozzo cilindro (pukao) ricavato da un altro tipo di tufo di colore rossastro, interpretato come un copricapo oppure come l'acconciatura un tempo diffusa tra i maschi. I moai sono alti da 2,5 metri fino a 10 metri (ne esiste uno, peraltro incompleto, di 21 metri). Spesso, sono visibili solo le teste delle statue, ma recenti scavi hanno trovato l'evidenza di un corpo sotto di esse. Sul dorso delle statue sono incisi simboli in rongorongo, in particolare la 'falce' dettaVaka, che potrebbe rappresentare una canoa. Probabilmente questi simboli incisi sulle statue indicano l’identità dell’artista, o del gruppo, proprietario dell'opera. Quelli alti circa 10 metri hanno un peso che può variare dalle 75 alle 86 tonnellate. Venivano scolpiti direttamente nelle cave, sdraiati con la faccia in su. Successivamente venivano staccati e trasportati sino alla costa dove altri operai li rifinivano. Il viaggio poteva durare anche un anno e non è chiaro come ciò avvenisse. L'ipotesi che riscuote più favore è anche quella più suggestiva: il moai sarebbe stato trasportato in posizione eretta e questa idea rispecchia la tradizione orale che vuole che i moai raggiungessero la loro destinazione camminando. In realtà Thor Heyerdahl, nel corso di una spedizione effettuata nel 1955, dimostrò come il trasporto fosse fattibile con l'uso di corde e pali in pochi giorni ad opera di una squadra di qualche decina di persone. I moai hanno tutti un aspetto simile: le labbra serrate con il mento in alto; l'atteggiamento è ieratico e severo tale da suscitare rispetto. Oggi le orbite degli occhi sono vuote, ma un tempo avevano una pupilla di ossidiana circondata da una sclera di corallo bianco, come si può osservare nell'unico moai vedente rimasto (e restaurato). Ci sono 1000 moai conosciuti sulla superficie dell'isola. La quasi totalità di questi sono stati ricavati da un tufo basaltico del cratere Rano Raraku, dove si trovano quasi 400 statue incomplete. Questa roccia a grana eterogenea è relativamente tenera, a differenza del basalto, che deriva dalla solidificazione di un magma. I cappelli sono invece stati ricavati da un tufo rossastro proveniente dal piccolo crateredi Puna Pau, distante circa 10 chilometri da Rano Raraku. La cava di Rano Raraku sembra essere stata abbandonata all'improvviso, con alcune statue lasciate ancora incomplete nella roccia. Tra queste vi è la statua più grande, lunga 21 metri. Praticamente tutti i moai completati furono probabilmente abbattuti dagli indigeni qualche tempo dopo il periodo della costruzione, ma anche i terremoti potrebbero aver contribuito al ribaltamento delle statue. Sebbene vengano spesso identificati con leteste, molti dei moai hanno spalle, braccia, torsi, che sono stati piano piano, negli anni, sotterrati dalla terra circostante. Il significato dei moai è ancora oggi poco chiaro ed esistono ancora molte teorie a proposito. Sono stati rintracciati vari altri tipi di raffigurazioni, come ad esempio le statuette in legno di toromiro che simboleggiano, presumibilmente, gli spiriti degli antenati e le emblematiche statuette moai Kava Kava con le loro rappresentazioni di corpi umani smagriti, probabilmente a causa della scarsità di cibo.Specialmente intorno ai moai sono state spesso rinvenute delle tavolette di legno con incisi i misteriosi segni della scrittura di allora dettarongorongo, scrittura che sinora nessuno è riuscito a decifrare completamente. Si tratta di segni intagliati nel legno con stili diossidianao con denti di squalo, rappresentanti perlopiù figure umane, falci di luna, animali e piante che si succedono con ritmobustrofedico.Le antiche leggende dell'isola parlano di un capo clan in cerca di una nuova casa. Il posto che scelse è quella che noi oggi conosciamo come isola di Pasqua. Alla sua morte, l'isola venne divisa tra i suoi figli. Ogniqualvolta un capo di uno dei clan moriva, un moai veniva posto sulla tomba dei capi. Gli isolani credevano che queste statue avrebbero catturato i "mana" (poteri soprannaturali) del capo, oltre a favorire la protezione degli dèi.Credevano che mantenendo imanadei capi sull'isola, si sarebbero verificati eventi propizi, sarebbe caduta lapioggiae le coltivazioni sarebbero cresciute. Questaleggendapotrebbe essere cambiata rispetto all'originale, dal momento che si è tramandata oralmente per lungo tempo. Qualsiasi cosa potrebbe essere stata aggiunta a questa leggenda per renderla più interessante.La teoria più comune è che le statue siano state scolpite daipolinesianiabitanti a partire dall'anno1000 d.C.Il significato più comune tramandato dagli attuali discendenti maori è quello di essere monoliti augurali portatori di benessere e prosperità dove volgono lo sguardo. Per questo nell'isola di Pasqua molti di essi sono rivolti verso il mare, per auspicare sempre un'abbondante pesca. Si ritiene inoltre che i piccoli moai siano le rappresentazioni degli antenati defunti o di importanti personaggi della comunità, a cui vennero dedicate come segno di riconoscenza, mentre per quelli grandi tra le tante spiegazioni possibili vi è anche quella a sfondoreligioso.I moai sono stati probabilmente artefatti molto costosi; non solo la scultura di ogni statua avrebbe richiesto anni di lavoro, ma avrebbero dovuto anche essere trasportate per tutta l'isola fino alla loro posizione finale. Non si sa esattamente come i moai siano stati spostati, ma quasi certamente il processo ha richiesto slitte e/o rulli di legno. Si pensa che la domanda di legno necessaria a supportare la continua erezione di statue abbia portato al totaledisboscamento dell'isola. Questo spiegherebbe perché la cava sia stata abbandonata all'improvviso. Dal 26 aprile al 9 maggio 2010 un moai alto 5,20 metri e pesante 17 tonnellatedoveva essere trasportato aParigiin esposizione per alcune settimane nelPalazzo delle Tuileries, ma l'iniziativa è tramontata poiché l'89% degli abitanti dell'isola pronunciandosi tramite un referendum ha respinto l'idea. Un "moderno" moai si trova aVitorchiano, creato nel1987da undici indigenimaoridella famiglia di Juan Atan Paoa dell’Isola di Pasqua, da enorme blocco dipeperinoche gli undici nativi maori scolpirono con asce manuali e pietre taglienti. La scultura pesa quasi 30 tonnellate ed è alta circa 6 metri, in origine posta in piazza Umberto I, esterna ed adiacente alle mura castellane in seguito collocata al bordo della strada che conduce aGrotte Santo Stefano, con lo sguardo rivolto verso il paese. Nel 1999 il moai "Angelito" è stato portato dall'Isola di Pasqua adAmburgoe si trova tutt'oggi nel MichelPark nei pressi della Cattedrale di Sankt Michaelis.
Messico e il mistero dei Maya.
Per chi vuole crescere spiritualmente non può prescindere da un viaggio in Messico. E' un luogo pieno di energia che non puoi non avvertire. Lo consiglio anche personalmente perché ci sono stato nel 2005 ed è stata un 'esperienza meravigliosa che rifarei in qualsiasi momento. In modo particolare i siti archeologici emanano un 'energia incredibile tanto che ho visto sensitivi svenire.
Il periodo ideale per visitare il Messico va da ottobre a maggio, anche se il clima cambia a seconda della conformazione del territorio: più caldo e umido nelle pianure costiere, più secco e temperato nell'interno e ad altitudini più elevate. Il mese quasi certamente perfetto rimane comunque novembre quando le piogge sono finite e la stagione di punta deve ancora iniziare. L’alta stagione infatti si concentra nel periodo tra dicembre e marzo quando massima è l'affluenza nelle località balneari come Cancun o Acapulco e quando altrettanto massimi saranno i prezzi. Durante la stagione delle piogge, che va da maggio ad ottobre, bisogna fare attenzione alle previsioni in particolare se si frequentano le zone meridionali. Il mese di settembre è valutato come il più rischioso a causa degli uragani. Il Messico , ufficialmente gli Stati Uniti del Messico (spagnolo: Estados Unidos Mexicanos), è una democrazia rappresentativacomposta di31 Stati federalie unDistretto Federaleche occupa la parte meridionale dell'America Settentrionale. Secondo l'attuale costituzione, la sede dei poteri della federazione ecapitaledello Stato èCittà del Messico, il cui territorio è stato designato come il Distretto Federale. Il Messico è delimitato a nord dal confine con gliStati Uniti d'America, a est dal golfo del Messicoe dalmare Caraibico, a sud-est daBelizeeGuatemala, e a ovest dall'oceano Pacifico. Si estende su di una superficie di 1.972.550 km² (al quattordicesimo posto tra gli stati più estesi del mondo) ed è popolato da 117.409.830 persone,il che lo rende il più popoloso paese dilingua spagnola. Lo spagnolo convive in Messico con molte lingue indigene, ufficialmente riconosciute. L'insediamento umano in questo territorio risale a più di 30.000 anni fa; da allora si succedettero svariati popoli, sia agricoltori della mesoamerica sia nomadi. Dopo la conquista spagnola, il Messico cominciò la sua lotta per l'indipendenza politica nel1810. In seguito, per quasi un secolo, il paese è stato coinvolto in una serie di guerre interne e di invasioni straniere che hanno avuto un impatto forte in tutti gli ambiti della vita messicana. Per la maggior parte delXX secolo (principalmente per la prima metà) si assistette a un periodo di forte crescita economica nel contesto di una politica dominata da un unico partito politico. Per volume di prodotto interno lordo (PIL) nominale, il Messico è considerata la quattordicesima economia mondiale. Tuttavia, la distribuzione della ricchezza è così diseguale che nel paese convivono indici di sviluppo umano che possono variare fra parametri paragonabili a quelli di nazioni sviluppate come la Germania e altri più vicini a quelli del Burundi. Per una buona parte del XX secolo la principale fonte di ricchezza del paese è stato il petrolio, anche se il processo di industrializzazione del paese ha permesso il diversificare dell'economia. Le rimesse dei lavoratori all'estero sono aumentate di anno in anno, rappresentano il 3% del PIL e un'importante fonte di valuta estera per il paese, accanto ai proventi delle esportazioni di petrolio e del turismo.Il Messico è una potenza regionalee il solo paese dell'America Latinaad essere membro dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico(OCSE) sin dal1994. Il passato americio del Messico mostra una grande diversità di civiltà. Come il resto d'America, i primi abitanti del paese furono probabilmente dei cacciatori asiatici che attraversarono lo Stretto di Beringal momento delle grandi glaciazioni. Il territorio messicano fu abitato da cacciatori e raccoglitori a partire da circa 30.000 anni fa. L'agricolturainiziò a svilupparsi nel IX millennio a.C., anche se la coltivazione delmais, la più importante della regione, non iniziò fino al V millennio a.C. Il vasellame , importante segno della nascita di una società sedentaria, fu introdotto attorno al 2500 a.C., che viene accettata come data di inizio della civiltà mesoamericana. Mentre le popolazioni del deserto del nord continuarono a sopravvivere grazie a caccia e raccolta, nella parte meridionale del Messico l'agricoltura permise la transizione dalle società egalitarie del periodo preclassico antico (tra ilXXVe ilXVI secolo a.C.) - basate sulle differenze digenere,etàeparentela- alle società più complesse del periodo preclassico mediano.Dal XII secolo a.C. fino alla conquista spagnola nel 1492, il Messico fu la patria di civiltà avanzate, quali:
Gli Olmechi (apogeo dal 1200 a.C. al 500 a.C.).
La cultura e l'arte olmeca sono ancora poco conosciuti. Sebbene i loro resti siano pochi (testa olmeca di La Venta, si veda in particolare il Museo di Antropologia di Xalapa) si stima che la loro influenza sulla civiltà degli altri paesi sia stata decisiva (l'invenzione della scrittura e del calendario, il culto del giaguaro e il dio della pioggia). Tutte le civiltà della Mesoamerica pertanto fanno riferimento a quella olmeca.
La civiltà di Teotihuacán (100 a.C. al 650 d.C.)
Teotihuacan fu la più grande città-stato pre-colombiana e dominò la civiltà che porta lo stesso nome. Costituisce uno dei siti archeologici più visitati del Messico. Fece sentire la propria influenza dal Nuovo Messico al Costa Rica. Nell'VIII secolo Teotihuacan cominciò a decadere e nella regione sorsero diversi Stati ostili fra loro. Nel X secolo questi Stati avevano esaurito le proprie forze, proprio mentre dal deserto del nord giungevano le prime tribù chichimeche. Nel frattempo, nel nord-est i popoli Oasisamericani crearono una civiltà propria, le cui vestigia più importanti in territorio messicano sono localizzate a Paquimé.
Zapotechi (apogeo dal 200 al 700)
Stanziatisi prevalentemente nell'odierno Stato di Oaxaca, si costituirono in città-stato teocratiche. Oggi 400.000 persone parlano ancora lo zapoteco. Uno dei principali siti archeologici è quello di Monte Albán.
I Maya (apogeo dal 200 al 900)
Quella Maya fu una delle civiltà più evolute dell'epoca pre-colombiana, caratterizzata dallo sviluppo di importanti centri cerimoniali (il cui simbolo è il tempio a forma di piramide a gradoni). Fondarono la città di Chichén Itzá, una delle più importanti città del Messico pre-ispanico, e Palenque.
I Toltechi (apogeo dal 1000 al 1200)
I Toltechi inaugurarono l'era dei sacrifici umani, ponendo fine ai riti pacifici. La capitale tolteca fu la città di Tula.
Gli Aztechi (apogeo dal 1200 al 1500)
Questo popolo passò nel giro di poco meno di 200 anni dallo status di tribù nomade a quello di impero esteso su un vasto territorio del Messico centrale. La capitale dell'impero azteco fu Tenochtitlán, che divenne l'odierna Città del Messico dopo la sua distruzione nel 1521 ad opera dei conquistadores spagnoli. L'impero crollerà poco dopo, nel 1525. La religione predominante è la cattolica (83,9%), seguono protestanti (7,6%), religioni altre (2,5%) e atei (4,6%). Alcuni amerindi, pur dichiarandosi cattolici, praticano in realtà una religione sincretista, che mescola il cristianesimo e alcuni elementi degli antichi culti aztechi e maya. I Mormoni si stanno diffondendo in modo significativo nelle principali città presso il confine nord-orientale. L'ebraismo è presente da molti secoli in Messico e attualmente vi sono circa 100 000 ebrei nel paese.
Istanbul moschea blu.
Thailandia Tempio Pho.
La Navigazione Sul Gange
Il cammino di Santiago di Compostela.
Il Cammino di Santiago di Compostela è il lungo percorso che i pellegrini fin dal Medioevo intraprendono, attraverso la Francia e la Spagna, per giungere al santuario di Santiago di Compostela, presso cui ci sarebbe la tomba dell'apostolo Giacomo il Maggiore. Le strade francesi e spagnole che compongono l'itinerario sono state dichiarate Patrimonio dell'umanità dall'UNESCO. Il Cammino di Santiago di Compostela è intimamente legato alla presenza della tomba di Giacomo il Maggiore e al suo ritrovamento, che risale al IX secolo. Anche se Giacomo è morto in Palestina, come scritto negli Atti degli Apostoli (At12,1-2), la Legenda Aurea racconta:
« San Giacomo il Maggiore dopo l'ascesa di Gesù al cielo iniziò la sua opera di evangelizzazione della Spagna spingendosi fino in Galizia, remota regione di cultura celtica all'estremo ovest della penisola iberica. Terminata la sua opera Giacomo tornò in Palestina dove fu decapitato per ordine di Erode Agrippa nell'anno 44. I suoi discepoli, con una barca, guidata da un angelo, ne trasportarono il corpo nuovamente in Galizia per seppellirlo in un bosco vicino ad Iria Flavia, il porto romano più importante della zona. Nei secoli le persecuzioni e le proibizioni di visitare il luogo fanno sì che della tomba dell'apostolo si perdano memoria e tracce. Nell'anno 813 l'eremita Pelagio (o Pelayo), preavvertito da un angelo, vide delle strane luci simili a stelle sul monte Liberon, dove esistevano antiche fortificazioni probabilmente di un antico villaggio celtico. Il vescovo Teodomiro, interessato dallo strano fenomeno, scoprì in quel luogo una tomba, probabilmente di epoca romana, che conteneva tre corpi, uno dei tre aveva la testa mozzata ed una scritta:"Qui giace Jacobus, figlio di Zebedeo e Salomé". » |
Per questo motivo si pensa che la parola Compostela derivi da Campus Stellae (campo della stella) o da Campos Tellum (terreno di sepoltura). Alfonso II il Casto (789-842), re delle Asturie e della Galizia, ordinò la costruzione sul posto di un tempio, i monaci benedettini nell'893 vi fissarono la loro residenza. Iniziarono così i primi pellegrinaggi alla tomba dell'apostolo (Peregrinatio ad limina Sancti Jacobi), dapprima dalle Asturiee dalla Galizia, poi da tutta l'Europa. Santiago di Compostelafu distrutta nel997dall'esercitomusulmanodiAlmanzore poi ricostruita daBermudo II di León. Fu però il vescovoDiego Xelmírezad iniziare la trasformazione della città in luogo di culto e pellegrinaggio, facendo terminare la costruzione della Cattedrale, iniziata nel 1075, ed arricchendola con numerosereliquie. Nella tradizione popolare e nell'iconografia di san Giacomo – soprattutto ispanica – è potente la figura delMatamoros, alfiere celeste, intercessore e vessillo della ribellione della Spagna al dominio islamico. Profondamente intrecciata alla devozione popolare, infatti, si fece strada la particolare devozione iacobeada, principalmente sostenuta da parte dellamonachesimo cluniacensee dettagliatamente documentata nelCodex calixtinus, che faceva di Santiago il pilastro divino della riconquista dell'Europa meridionale dal dominio degli invasori musulmani – devozione che i numerosi pellegrini veicolarono in tutto il continente cristiano, facendo di san Giacomo una sorta di protettore dei cristiani dalle scorrerie ed invasioni di popoli islamici. La scena originaria della miracolosa intercessione del Santo Apostolo fu localizzata nella Rioja, attorno al castello diClavijo, dove Santiago, su un cavallo bianco, avrebbe guidato alla vittoria le armi cristiane diRamiro Id'Asturiascontro i musulmani diAl-Andalusil 23 maggio844. Della battaglia, che in epoca moderna taluni storici di tendenze ateistiche tendono a censurare proprio per la sua importanza religiosa – come del resto quella diRoncisvalle– nacque la tradizione, spinta dal desiderio popolare (tale era la devozione all'Apostolo) e successivamente asseverata da un decreto apocrifo attribuito al medesimo Ramiro I, di un tributo annuo di primizie di grano e vino, dovuto da tutta la Spagna «para el mantenimiento de los canónicos que residen en la iglesia del bienaventurado Santiago y para los ministros de la misma iglesia» al fine di magnificare e conservare la Cattedrale di Santiago in segno di profonda gratitudine e perenne devozione per la liberazione della Spagna. Storicamente, le vie degli stranieri verso Santiago furono anche marittime, soprattutto in primavera-estate, ed è anzi diffusa l'opinione che per mare fosse arrivata nella Francia carolingia la notizia della tomba dell'apostolo, e che i primi pellegrini arrivassero proprio dal mare: ci sono testimonianze di viaggi compiuti dall'Inghilterra verso La Coruña, nel XIII secolo, che duravano solamente quattro giorni, e certamente il percorso marittimo era il meno rischioso, se fatto nella buona stagione, in tempi di strade assai insicure e accidentate, di abitati scarsi e lontani tra loro. La Ruta de la Costa, cioè la via di Santiago lungo la costa cantabrica, è la principale traccia del cammino più antico, a testimoniare che i pellegrini arrivavano a Santiago da porti atlantici, anche più ad est di La Coruña (praticamente dalla Francia alla Galizia). Le principali vie di terra che convergevano verso Santiago sono descritte nelCodex calixtinus(ilLiber Sancti Jacobi) ed erano – e sono ancora:
- dall'Italia, la via Francigena (con una variante costiera che si diramava lungo la costa da Pontremoli) e poi la via Tolosana fino ai Pirenei;
- dalla Francia, le vie erano diverse; a partire dal sud si potevano percorrere:
- la via Tolosana, la più meridionale, da Arles attraversoTolosa; questo cammino era utilizzato anche dai pellegrini tedeschi provenienti dalla Oberstrasse, e passava i Pirenei sul Passo del Somport (Huesca);
- la via Podense, da Lione e Le Puy-en-Velay, che passava i Pirenei a Roncisvalle;
- la via Lemovicense , da Vézelay , a Roncisvalle;
- la via Turonense, da Tours e Roncisvalle, che raccoglieva i pellegrini che arrivavano dall'Inghilterra, dai Paesi Bassi e dalla Germania del nord lungo la Niederstrasse.
I due passi più frequentati sui Pirenei erano dunque Roncisvalle e Somport. La via che va da Roncisvalle a Estella è ancora detta, in spagnolo, Camino francés, mentre quella che passa i Pirenei a Somport si chiama Camino Aragonés.
- Lungo il Camino aragonés i principali paesi attraversati sono Jaca, Sangüesa, Enériz.
- Lungo il Camino francés si attraversa Pamplona, Logroño,Burgos e León.
Per qualunque cammino arrivassero i pellegrini comunque, il punto di raccolta era il Puente la Reina.
Le successive, necessarie tappe erano:
- Estella;
- Nájera;
- Burgos;
- Da Ista;
- Sahagún;
- Leon;
- Rabanal del Camino;
- Villafranca del Bierzo;
- Triacastela
- Palas de Rei;
e si era finalmente a Santiago. Dopodiché il pellegrino, se aveva ancora fiato, si spingeva (e arriva tutt'oggi) a guardare l'oceano Atlantico dall'estremo promontorio di Fisterra, oppure termina il suo cammino al santuario di Nosa Señora da Barca, a Muxía, sulla Costa della Morte. La chiesa sorge di fronte ad un celebre luogo di culto megalitico, centrato sullaPedra d'Abalar ("la pietra oscillante") che i pellegrini fanno oscillare in cerca del suo punto di equilibrio. Il 23 ottobre 1987 il Consiglio d'Europa ha riconosciuto l'importanza dei percorsi religiosi e culturali che attraversano l'Europa per giungere a Santiago de Compostela dichiarando la via di Santiago "itinerario culturale europeo" e finanziando adeguatamente tutte le iniziative per segnalare in modo conveniente "el camino de Santiago". Questo riconoscimento, che pone l'accento sul carattere storico e culturale del Cammino, è stato probabilmente una delle principali ragioni della forte ripresa di frequentazione del Cammino stesso, a partire dagli anni novanta, anche da parte di persone che non lo percorrono per motivi religiosi, e – in misura crescente – di nazionalità non spagnola. Per molti il cammino che viene intrapreso, non è solo quello materiale, ma quello interiore, che comporta effetti benefici sia per lo spirito e per la fede, una sorta di catarsi interiore. La maggiore presenza è quella di cristiani, ma non mancano appartenenti ad altre comunità religiose. Vi si trovano le categorie più disparate: novizi in attesa di prendere i voti; coppie in crisi, che tentano il viaggio insieme al fine di ritrovare l'equilibrio nei rapporti, fondato sui veri sentimenti; fedeli che intraprendono un pellegrinaggio, per rafforzare la propria fede. Come si vede dalla statistica che segue, attualmente il numero dei pellegrini tocca punte altissime, soprattutto negli anni cosiddetti "iacobei" (evidenziati in giallo nelle tabelle): quelli in cui il 25 luglio, festa annuale del santo, cade di domenica (anni istituiti come "giubilari" da parte di papa Callisto IInel1122). Il primo anno "iacobeo" fu il1126e l'ultimo il2010, mentre il prossimo sarà il2021. Tra gli stranieri prevalgono, nell'ordine,tedeschi,italianiefrancesi. In generale, comunque, i numeri sembrano indicare che Santiago sta diventando, conLourdeseFatima, una delle mete preferite dalturismoreligioso internazionale. Giovanni Paolo II, in occasione della Giornata mondiale della gioventù del 1989, percorse parte del cammino. Arrivati a Finisterre, termine ultimo del pellegrinaggio, un tempo considerato il termine delle terre conosciute, è tradizione, fin dall'antichità, bruciare gli abiti del pellegrinaggio stesso e immergersi nell'oceano per un bagno purificatore. I pellegrini sono condotti, attraverso un comodo, largo, lungo pontile di legno, alla bella e larga Playa de Mar de Fora, dalla impalpabile sabbia dorata. A questa ridente spiaggia si può accedere dal paese sia attraverso le basse rocce che costeggiano il mare, sia attraverso la spiaggia stessa, senza dover intraprendere un percorso obbligato. Anche questa località si caratterizza per un rapido cambio delle condizioni meteorologiche e delle condizioni del mare. Il pellegrino che si incammina lungo il pontile di legno potrà incontrare cartelli che avvisano del pericolo per la mancanza di sorveglianza; sui cartelli sono anche disegnate delle onde che richiamano l'idea del pericolo in caso di mare mosso in quanto il maggior pericolo presente in tale località è la presenza di insidiose e potenti correnti dell'oceano attive anche a pochi metri dalla riva, correnti che portano al largo, mettendo il bagnante in balia dell'oceano.
L'eremo delle carceri
L'eremo delle Carceri è il luogo in cui san Francesco d'Assisi e i suoi seguaci si ritiravano per pregare e meditare. Situato a 4 chilometri da Assisi, a 791 metri di altitudine sulle pendici del monte Subasio,l'eremo delle Carceri sorge nei pressi di alcune grotte naturali, frequentate da eremiti già in età paleocristiana. Donato dal Comune di Assisi ai benedettini, questi ultimi lo cedettero poi a san Francesco, affinché si potesse "carcerare" nella meditazione.
Ampliato nel 1400 da san Bernardino da Siena con la costruzione della chiesa di Santa Maria delle Carceri, che ha inglobato una primitiva cappella, preesistente a san Francesco, e di un piccolo convento, l'eremo è posto in un bosco di lecci secolari circondato da grotte e da piccole cappelle dove i pellegrini si ritirano ancora oggi in contemplazione. Provenendo dalla strada che risale il monte Subasio, si prosegue per un acciottolato fino ad una volta in muratura, oltrepassata la quale si trova il Chiostrino dei frati, una terrazza triangolare che si affaccia a strapiombo sul fosso delle Carceri. Alle estremità del chiostro vi sono le porte che conducono al refettorio dei frati e alla chiesa di Santa Maria delle Carceri. Al piano superiore del refettorio sono situate le celle dei frati. Scendendo una ripida scalinata, dal convento si arriva ad un bosco di faggi e alla grotta di san Francesco. Dal sentiero antistante a questa si dipartono le altre grotte dei primi compagni di Francesco: Leone, Antonio da Stroncone, Bernardo di Quintavalle, Egidio, Silvestro e Andrea da Spello. Nel bosco, appena fuori dal santuario, nei pressi del sentiero che conduce alla grotta di frate Leone, è sita la Cappella di san Barnaba, normalmente chiusa al pubblico, con al proprio interno un altare a Tau ed una pala cinquecentesca raffigurante Gesù deposto dalla Croce. L'eremo delle Carceri è un luogo immerso in un bosco di lecci. Sono molti i racconti di miracoli che si associano a questo sito:
- Nei pressi della grotta di San Francesco si trova un leccio secolare dove erroneamente molti credono ebbe luogo la predica agli uccelli di San Francesco che in realtà le fonti storiche attestano essere avvenuta fuori del comune di Assisi ed in particolare a Piandarca nel comune di Cannara a pochi chilometri dalla città serafica nella vallata sottostante.
- tradizione vuole che il burrone che si trova nei pressi del monastero sia in realtà il letto di un fiume, oggi in secca, le cui acque furono prosciugate da san Francesco poiché disturbavano la sua meditazione e quella dei suoi discepoli;
- nella grotta di san Francesco è presente un buco nel terreno dal quale si può intravedere il fondo del burrone. Si racconta che questo è stato provocato dal demonio, sprofondato nell'abisso quando fu scacciato da san Rufino;
- nel mezzo del chiostro è presente un pozzo nel punto in cui, secondo una leggenda, san Francesco, tramite un miracolo, fece sgorgare dell'acqua.
Gerusalemme: il muro occidentale
Il Muro Occidentale (ebraico: הכותל המערבי, HaKotel HaMa'aravi), o semplicemente Kotel, è un muro di cinta risalente all'epoca del secondo Tempio di Gerusalemme. È anche indicato come Muro del Pianto o, nella tradizione islamica, come Ḥā'iṭ Al-Burāq. Il Tempio era, ed è, il luogo più sacro all'Ebraismo. Erode il Grande costruì imponenti mura di contenimento intorno al Monte Moriah, allargando la piccola spianata posta sulla sua cima. Su tale cima erano stati eretti il Primo e poi il Secondo Tempio. Il Monte Moriah è detto appunto Monte del Tempio. Nelle fessure del muro, gli ebrei infilano dei foglietti con sopra scritte delle preghiere. la storia del muro occidentale è:
- Il Tempio di Salomone o Primo Tempio è stato costruito, secondo la Bibbia, dal Re Salomone nel X secolo a.C. Fu completamente distrutto da Nabucodonosor II nel 586 a.C.
- Il Secondo Tempio fu costruito al ritorno dall'esilio babilonese a partire dal 536 a.C. Fu terminato il 12 marzo del 515 a.C. Venne restaurato il 21 novembre del 164 a.C. da Giuda Maccabeo.
- Il Tempio di Erode fu un ampliamento importante del Secondo Tempio, compreso una risistemazione del Monte del Tempio. Fu iniziato da Erode il Grande verso il 19 a.C. e terminato in tutte le sue parti solo nel 64. Come raccontato dal Talmud nel trattato di Ghittin, il Secondo Tempio fu distrutto da Tito nel 70. Oggi ne resta solamente il muro occidentale di contenimento, detto comunemente Muro del Pianto. Quando le legioni di Titodistrussero il Tempio, il muro di cinta occidentale del cortile esterno rimase in piedi, parzialmente visibile e protetto dalle macerie per la maggior parte della propria estensione verticale. Tito lo lasciò come triste ricordo per gli ebrei da parte di Roma che aveva sconfitto laGiudea. Gli ebrei, comunque, attribuirono la cosa ad una promessa fatta daDio, che avrebbe lasciato in piedi alcune parti del sacro tempio, come segno del suo immutato legame con il popolo ebraico, nonostante la catastrofe che lo aveva colpito. Gli Ebrei pregano là da duemila anni, ritenendo che quel punto sia il più sacro disponibile sulla faccia della Terra (essendo molto vicino al sito del luogo Santo dei Santi) e che Dio sia lì vicino a sentire le loro preghiere (da alcuni anni un tunnel conduce dal muro occidentale alla parte nord, quindi vicinissimo al punto dove era situato il luogo del Santo dei Santi). Anche la tradizione di infilare piccoli fogli di carta recanti preghiere nelle fessure del muro è antica di centinaia di anni. Nelle preghiere ripetute per tre volte ogni giorno sono incluse le ferventi richieste a Dio per il ritorno di tutti gli ebrei esiliati nella terra di Israele e la ricostruzione del Tempio (il terzo) per arrivare all'era messianica con l'arrivo del messia (in ebraico Mashiach) degli ebrei. Il sito è importante anche per imusulmaniche ritengonoSalomoneun loro profeta. I musulmani credono cheMaometto abbia fatto un viaggio spirituale a Gerusalemme cavalcando un cavallo alato, al-Buraq, nel 620. Una volta arrivato, Maometto avrebbe legato il cavallo vicino ad un muro che alcuni musulmani ritengono essere proprio il muro occidentale. Difatti il nome arabo del sito èmuro di al-Buraq. Alcuni vedono questa come una ragione della riverenza dei musulmani nei confronti del muro, mentre altri la considerano un'azione di propaganda contro le rivendicazioni ebraiche sul muro. A causa della sacralità del luogo all'interno dell'Islamnel 687 vennero costruite laCupola della Roccia, e lamoschea al-Aqsasul monte del Tempio che sono circondate dal muro. L'accesso è sempre stato controverso, anche quando l'Impero Ottomano governò sull'area per circa 400 anni (1515-1917), seguito dalMandato Britannico(1917-1948). Nel1929vennero istigate sollevazioni Arabe con pretesti vari, come la proposta di costruzione di unasinagogao la conquista dell'area. Nel1931il governo Britannico assegnò la proprietà ai Musulmani, ponendo restrizioni alle preghiere ebraiche. Secondo molti rabbini, agliEbreiè vietato accedere a certe parti del Tempio. La definizione di queste parti differisce a seconda dell'autorità rabbinica, ma tutti concordano sul divieto di accesso alla zona dellaMoschea di Omar. Quest'area, infatti, era quella del Tempio, che era un Luogo Santo. La roccia sotto la Moschea, secondo alcunimidrashim, è la base da cui Dio creò l'universo. Secondo alcuni studi rabbinici, è la roccia cuiAbramolegòIsaccoin occasione del sacrificio. Questa è anche l'area in cui, si dice, dormìGiacobbe, sognando la scala che saliva al cielo (Genesi). Questo punto è identificato come ilSancta sanctorum. Anticamente, solo certe persone erano ammesse al Tempio. Il complesso del Tempio era formato da varie sezioni, ciascuna con il proprio valore di santità. Nell'area più santa, appunto ilSancta Sanctorum(Kodesh Hakodashim), che costituiva la parte centrale del Tempio, aveva accesso durante loYom Kippursolo ilSommo Sacerdote(Cohen Gadol). Altre aree erano accessibili solo alla casta sacerdotale, iCohanim. Altre ancora, più distanti dal Sancta Sanctorum, erano accessibili aiLeviti(anche i Cohanim erano parte dellaTribù di Levi). Oltre queste, l'accesso era libero a tutti gli Ebrei. Dal1517l'Impero ottomanoislamico sottoSelim Iprese la terra che anticamente apparteneva all'antico Israele e Giudea daiMamelucchiegiziani (1250-1517). La Turchia ebbe un atteggiamento benevolo nei confronti degli Ebrei, accogliendo migliaia di profughi ebrei che erano stati recentemente espulsi dalla Spagna daFerdinando II di AragonaeIsabella di Castiglianel1492. IlsultanoTurco,Solimano il Magnifico, era così interessato e colpito daGerusalemmee dalle sue sventure che ordinò che un magnifico muro-fortezza venisse costruito intorno all'intera città (che non era molto estesa a quei tempi.) Questo muro è ancora presente e può essere visitato da chiunque. Durante quel periodo la parte occidentale del muro fu sempre un luogo venerato dagli ebrei; molti di loro attraversarono letteralmente il mondo per trascorrere gli ultimi anni della loro vita vicino al muro di Gerusalemme, per poter pregare di fronte al muro occidentale. Le persone non ebree osservano gli ebrei piangere vicino al muro (piangendo la distruzione del Tempio di Gerusalemme) dando al luogo il nome famoso, ma errato, diMuro del pianto. C'è anche un'altra ipotesi sull'origine del nome, è legata al modo di pregare degli ebrei. Gli ebrei si recano al muro per pregare e non piangono, la loro preghiera presuppone continui movimenti della parte superiore del corpo. Ad un osservatore posto ad una certa distanza dal muro può sembrare che la persona muovendosi in questo modo si stia lamentando, stia piangendo. Quando ilRegno Unitoassunse il controllo dell'area nel1917con il GeneraleEdmund Allenby, gli Ebrei erano ancora autorizzati a recarsi al Muro per pregare. Nel corso dellaprima guerra Arabo-Israelianal'area attorno al Muro fu conquistata dallaLegione Araba dell'esercitoGiordano. Agli Ebrei venne negato l'accesso al Muro, in violazione degli accordi armistiziali, e furono costruiti edifici a pochi metri dal Muro. Nel corso dellaGuerra dei sei giorni, Israele, dopo 2000 anni, riportò il Muro in possesso Israeliano. Gli Israeliani demolirono il medievale Quartiere Marocchino e costruirono una grande piazza nello spazio di fronte al muro, utilizzato da migliaia di ebrei durante le ricorrenze ebraiche; il Muro è l'attrazione preferita dai turisti che viaggiano per il mondo e molti capi di stato stranieri, in visita in Israele, visitano il Muro come forma di rispetto per il significato che esso ha per Israele e per tutto il mondo ebraico. il Muro Occidentale continua ad esercitare un grande potere sugli ebrei di tutto il mondo. Da decenni, milioni di persone, in veste di turisti o pellegrini, si recano al muro per poterlo toccare con le loro mani.
Istanbul moschea blu.
Dopo la pace di Zsitvatorok e gli sfortunati risultati della guerra con la Persia, il sultano Ahmed I decise di costruire una grande moschea a Istanbul per placare Allah. Questa fu la prima moschea imperiale costruita ad Istanbul dopo la moschea di Solimano, eretta quarant'anni prima. Mentre i suoi predecessori innalzarono moschee con il proprio patrimonio personale, Ahmet I utilizzò denaro pubblico, dal momento che non aveva ottenuto consistenti vittorie militari, provocando il dissenso degli ulema. La moschea fu edificata su parte del sito del Gran Palazzo di Costantinopoli, di fronte ad Hagia Sophia (a quel tempo la più venerata moschea di Istanbul) e all'ippodromo, un altro sito di grande valenza simbolica. La costruzione della moschea iniziò nel 1609: lo stesso sultano diede avvio ai lavori. Era, infatti, sua intenzione che questa moschea divenisse il luogo di culto più importante dell'Impero. Scelse per sovraintendere ai lavori il suo architetto Sedefkar Mehmet Ağa, prima allievo e poi assistente di Sinan. L'organizzazione della costruzione fu meticolosamente descritta in otto volumi ora conservati nella biblioteca del Topkapi. La cerimonia di apertura avvenne nel 1617 (benché il cancello della moschea ricordi l'anno precedente) e il sultano poté pregare nel proprio spazio (hünkâr mahfil). I lavori di completamento si conclusero sotto il successore di Ahmet Mustafa I. L'immagine della moschea venne stampata sulle banconote da 500 lire in corso negli anni 1953-1976. Universalmente è conosciuta come la Moschea Blu. Il suo nome deriva dalle 21.043 piastrelle di ceramica turchese inserite nelle pareti e nella cupola. È infatti il turchese il colore dominante nel tempio. Pareti, colonne e archi sono ricoperti dalle maioliche di İznik (l'antica Nicea), decorato in toni che vanno dal blu al verde. Rischiarate dalla luce che filtra da 260 finestrelle, conferiscono alla grande sala della preghiera un'atmosfera suggestiva quanto surreale. La Moschea Blu, che risale al XVII secolo, è anche l'unica a poter vantare ben sei minareti, superata in questo solo dalla moschea della Ka'ba, alla Mecca, che ne ha sette. Tale particolarità architettonica è dovuta, secondo una storia popolare, ad un fraintendimento: l'espressione delle manie di grandezza del sultano Ahmed I, non potendo eguagliare la magnificenza della moschea di Solimano né quella di Hagia Sophia, non trovò soluzione migliore per cercare di distinguerla che i minareti in oro; L'architetto fraintese però le parole del sultano, capendo "altı" (in turco "sei") anziché "altın" (oro). Il sultano aveva una loggia privata a piano superiore, che poteva essere raggiunta direttamente a cavallo.
Thailandia Tempio Pho.
Wat Pho (TH) วัดโพธิ์, è un tempio buddhista composto da un insieme di edifici situati nel distretto Phra Nakhon nel centro di Bangkok, in Thailandia. Si trova nelle immediate vicinanze del Grande Palazzo Reale. È conosciuto anche come il Tempio del Buddha Sdraiato, il suo nome ufficiale è Wat Phra Chettuphon Wimon Mangkhalaram Ratchaworamahawihan ed è famoso, oltre che per la sua maestosa bellezza, per essere il luogo dove è nata la prima scuola di massaggio thai. Il primo tempio sorto in quest'area, il Wat Phodharam, fu costruito attorno all'anno 1700durante il regno di rePhetracha, ed era un centro per l' insegnamento della medicina thai tradizionale, al suo interno vi erano statue raffiguranti posizioni yoga. I massicci lavori di ristrutturazione iniziarono nel1788, durante i primi anni del regno diRama I, e fu allora che prese il nome di Wat Pho. Fu ampliato e restaurato durante il regno diRama IIIe in tale occasione furono fissate 1360 targhe recanti iscrizioni di testi riguardanti insegnamenti di medicina tradizionale, insegnamenti buddhisti ecc. Tali targhe il 21 febbraio del 2008 ricevettero un riconoscimento dall'Unescoper il contributo che danno alla conservazione della cultura tradizionale. La scuola dimassaggio thaie dimedicina tradizionalefu istituita nel1955ed è tuttora la più rinomata e quotata della Thailandia. Ulteriori lavori di ristrutturazione furono eseguiti nel1982. Wat Pho è uno dei più vecchi e grandi Watdi Bangkok con i suoi 80.000 m², all'interno del complesso sono conservate più di 1.000 immagini e statue di Buddha, e la più famosa, il Buddha sdraiato (Phra Buddhasaiyas,(TH) พระพุทธไสยาสน์), è una delle più grandi esistenti in Thailandia. Il complesso di Wat Pho consiste in due aree recintate divise dalla Soi (via secondaria) Chetuphon. L' area settentrionale è quella sacra, dove si trovano i templi e la scuola di massaggi. In quella meridionale, prettamente residenziale, si trova un monastero che ospita i monaci e una scuola. Si accede alla zona sacra da 16 cancelli, all'esterno dei quali sono situate delle statue in pietra in stile cinese raffiguranti giganteschi guardiani armati. I cancelli di entrata sono protetti da un tetto a forma di corona reale thailandese, finemente decorato con ceramiche cinesi multicolori, secondo una moda molto in voga ai tempi di re Rama III. Il tempio principale, come in tutti i wat thailandesi, è detto Phra Ubosot ed è il luogo dell'ordinamento monastico e delle assemblee. Fu costruito da re Rama I e riammodernato da Rama III, al suo interno si trova la statua più venerata, il Buddha seduto in posizione di meditazione chiamato Phra Buddha Deva Patimakorn, ai cui piedi sono conservate alcune ceneri di Rama I. I muri sono completamente affrescati con immagini sacre. Kampaengkaew Si tratta della doppia parete che circonda il tempio principale, rinomata per le mirabili opere in marmo che la decorano raffiguranti montagne, alberi, animali. Vi sono inoltre 152 bassorilievi con scene del Ramakien, la versione siamese del Rāmāyaṇa indiano. Nei quattro angoli del cortile all'esterno del tempio principale sorgono quattro pagode di marmo bianco costruite in stile khmer, su ognuno dei quattro lati di ciascuna pagoda vi sono statue in rame rivestito d'oro, raffiguranti delle divinità protettrici chiamate Catulokapala. È un chiostro doppio che circonda il cortile del tempio principale, sul lato interno sono dislocate 150 statue di Buddha mentre su quello esterno ce ne sono 244, tutte queste statue sono rivestite d'oro e sono protette da schermi in vetro. Su ognuno dei quattro lati vi sono cappelle di accesso al cortile interno contenenti statue sacre di BuddhaFuori dall'uscita nord del chiostro sorgono quattro pagode alte 42 m dedicate ai primi quattro sovrani Rama, in particolare il Chedi Si Rajakarn, dedicato a Rama I, contiene una statua di Buddha alta 16 metri al cui interno sono conservate delle reliquie di Buddha. Tale statua fu danneggiata durante la distruzione birmana di Ayutthaya, ma Rama I la fece restaurare e portare nel tempio. Nel cortile esterno Rama III fece costruire queste 24 piccole collinette e su ognuna fece piantare una diversa pianta decorativa, nella più grande di queste collinette, detta parco Mikasawan, è stato piantato un Fico Sacro, utilizzando una talea proveniente dall'originale Albero della Bodhi sotto il quale Buddha ricevette l'Illuminazione. Si trova all'estremità nord del complesso, vicino all'ingresso per il pubblico, ed ospita la imponente statua del Buddha sdraiato. Il colosso misura 46 m in lunghezza e 15 m in altezza. Fu costruito in occasione della ristrutturazione di Rama III. Il corpo è rivestito d' oro, gli occhi e i piedi sono decorati con madreperla, e sulle piante dei piedi sono raffigurate 108 scene augurali abbellite da conchiglie in stile cinese e indiano. Le pareti sono affrescate con scene degli annali storici di Ceylon e con ritratti di discepoli di Buddha. Vi sono inoltre dei padiglioni esterni affrescati (Sala Rai), un museo, una biblioteca (Phra Mondob), un padiglione per la meditazione e l' apprendimento risalente all'originale Wat Phodharam (Sala Karn Parien), un grande parco con piante rare ed un padiglione in stile cinese (Missakawan Park), una collinetta con piante care alla tradizione siamese (Crocodile pond), oltre ai giganti guardiani vi sono molte altre statue di provenienza cinese, tra le altre ne spiccano quattro raffiguranti Marco Polo.
Il Gange, come tutti i fiumi, è una realtà geografica fisica: delimita dei territori; separa culture e religioni; è un amico che con le sue acque aiuta la vita della gente e un nemico imprevedibile che con le sue inondazioni strappa quello che aveva donato; è una via di comunicazione che ha trasportato nuove idee, nuove filosofie e nuovi metodi di vita. Nella geografia spirituale è uno fluire incessante di nuove conoscenze- fantasiose e no-, di apprendimenti di vita e di conoscenze spirituali poco illustrabili su una mappa cartacea.
Navigando sulle acque del Gange si susseguono veloci immagini di villaggi, di delfini che saltano davanti agli occhi, di cani che sbranano qualche pezzo di cadavere in un’ansa. Ma per un devoto indù il Gange, il più importante fiume indiano, non è solamente una vasta distesa d’acqua: rappresenta l’anima della sua cultura. Infatti questo fiume, che nasce nella lontana terra del Tibet e passando sotto l’Himalaya fa la sua entrata in India a Gangotri, è da sempre stato considerato non solo come un corso d’acqua, ma soprattutto come la madre del paese, e la madre dà sostentamento attraverso l’agricoltura, e offre la purificazione dopo la morte. Il più grande desiderio di ogni indiano è morire a Kashi – la città della luce che da secoli si affaccia sulle sponde del fiume sacro- e lasciare che i suoi resti ritornino in uno degli elementi che formano il 70% del nostro corpo: l??'cqua. La navigazione sul Gange inizia ad Allahabad (Prayag), dove il fiume incontra il suo più grande affluente, lo Yamuna, insieme al fiume mistico Saraswati, e finisce alla città sacra di Varanasi.
Da Allahabad fino a Chunar, capitale dell’antico regno fondato nel 56 A.C. dal re Vikramaditya di Ujjain in onore del fratello maggiore, Bharathari, saggio esponente del Raja Yoga, il fiume si snoda costeggiando il magnifico forte e il samadhi del saggio. Durante questo viaggio si attraversa l’entroterra della piana gangetica e si ha una visione insolita della vita rurale indiana. Come disse Gandhi : ” La vera India vive nei villaggi” Da Chunar il fiume scorre velocemente fino a volgere improvvisamente verso nord, poco prima della città di Varanasi, formando così una luna crescente che bagna le rive della città di Shiva. Quest’ultima parte del viaggio svela agli occhi meravigliati del viaggiatore la spiritualità e il misticismo del popolo indiano e ci trasporta indietro nel tempo, in una dimensione sospesa: nella città sacra di Varanasi il tempo non ha inizio nè fine ma è l’espressione ciclica ed eterna dell’esistenza. La navigazione offre un'occasione eccellente per osservare la vita facendosi trasportare dalle acque; è un esperienza meravigliosa per chi non esita ad accettare qualche disagio minore a favore di una avventura che lo riporta nel grembo di Madre Natura. Oltre a godersi l'effetto rilassante di un viaggio in barca - condotto dai rematori, a vela e a remi,- comodamente coricati sui materassi e intrattenuti da occasionali brani di musica di tabla e pianola, dove altro si possono vedere le pire bruciare sulla sponda, vicino a un villaggio con la gente che accoccolata intorno parla d’altro, senza strazi, senza pianti, nella pura comprensione della morte, non come tragedia ma come cambiamento?
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