venerdì 18 marzo 2016

musicoterapia


La musicoterapia è l'uso della musica e/o degli elementi musicali (suono, ritmo, melodia e armonia) da parte di un musicoterapeuta qualificato, con un utente o un gruppo, in un processo atto a facilitare e favorire la comunicazione, la relazione, l'apprendimento, la motricità, l'espressione, l'organizzazione e altri rilevanti obiettivi terapeutici al fine di soddisfare le necessità fisiche, emozionali, mentali, sociali e cognitive. La musicoterapia mira a sviluppare le funzioni potenziali e/o residue dell'individuo in modo tale che questi possa meglio realizzare l'integrazione intra- e interpersonale e consequenzialmente possa migliorare la qualità della vita grazie a un processo preventivo, riabilitativo o terapeutico. Da un punto di vista scientifico, la musicoterapia è un ramo della scienza che tratta lo studio e la ricerca del complesso suono-uomo, sia il suono musicale o no, per scoprire gli elementi diagnostici e i metodi terapeutici ad esso inerenti. Da un punto di vista terapeutico, la musicoterapia è una disciplina paramedica che usa il suono, la musica e il movimento per produrre effetti regressivi e per aprire canali di comunicazione che ci mettano in grado di iniziare il processo di preparazione e di recupero del paziente per la società. I principi base della pratica musicoterapeutica sono:

  1. il paziente è parte attiva della terapia;
  2. la centralità del rapporto di fiducia e l'accettazione incondizionata rispetto al paziente;
  3. l'adattamento e la personalizzazione della tecnica volta per volta;
  4. scambio reciproco di proposte tra paziente e musicoterapeuta;
  5. stabilimento di un legame tra il musicoterapeuta e il paziente grazie al suono.
Il musicoterapeuta è quindi un mezzo attraverso il quale un paziente si apre e "tira fuori" le proprie emozioni. La musica dà alla persona malata la possibilità di esprimere e percepire le proprie emozioni, di mostrare o comunicare i propri sentimenti o stati d'animo attraverso il linguaggio non-verbale. Tipico è il caso degli individui affetti da autismo, cioè individui che sono in una condizione patologica, per cui tendono a rinchiudersi in sé stessi rifiutando ogni comunicazione con l'esterno. La musica dunque permette al mondo esterno di entrare in comunicazione con il malato, favorendo l'inizio di un processo di apertura. Il tecnico di musicoterapia deve prestare attenzione a non sovrapporsi con il suo operato ad altre figure professionali al fine di evitare conflittualità operative nell'equipe; in particolare il tecnico di musicoterapia non possiede gli elementi formativi per interpretare la comunicazione sonora sotto il profilo psicoterapico, ma essenzialmente sotto il profilo cognitivo-parametrico. Per quanto riguarda l'aspetto riabilitativo il tecnico di musicoterapia può operare all'interno di una equipe nella quale siano presenti le figure sanitarie responsabili. La musicoterapia può essere utilizzata a vari livelli, quali l'insegnamento, la riabilitazione o la terapia. Per quanto riguarda la terapia e la riabilitazione, gli ambiti di intervento riguardano preminentemente la neurologia e la psichiatria:
  • autismo infantile
  • ritardo mentale
  • disabilità motorie
  • morbo di Alzheimer ed altre demenze
  • psicosi
  • disturbi dell'umore
  • disturbi somatoformi (in particolare sindromi da dolore cronico)
  • disturbi del comportamento alimentare (anoressia nervosa)
  • morbo di Parkinson
In ogni caso, gli interventi di tipo clinico rimangono di esclusiva competenza degli esercenti le professioni sanitarie. Dobbiamo pensare che da ancor prima della nascita si sedimentano in noi dei suoni che costituiranno poi il nostro “Io sonoro”. La musicoterapia tradizionale, che è quella di tipo psicoterapico, utilizza un codice alternativo rispetto a quello verbale, (basato sul principio dell'ISO - identità sonora individuale) per cercare di aprire attraverso il suono, la musica, e il movimento, dei canali di comunicazione nel mondo interno dell'individuo. Gli operatori di musicoterapica cercano cioè di sbloccare questi canali attraverso l’espressione strumentale sonora. Vi sono però altri approcci, molto diversi da quello appena descritto, che sfruttano le potenzialità del suono e della musica come mezzo terapeutico. Uno dei più interessanti è quello che fa riferimento alle teorie psicoacustiche. I suoni sono fenomeni fisici in grado di influenzare tutte le cose con cui vengono a contatto. Suoni di particolari frequenze, possono ad esempio rompere un vetro; mentre, altri, impercettibili all' orecchio umano, possono essere utilizzati per dare ordini ad un cane. Studi recenti sostengono che persino la crescita delle piante può essere influenzata dal tipo di musica che si suona nelle vicinanze. Se vogliamo rappresentarci visivamente la propagazione del suono, pensiamo ai cerchi che si formano nell'acqua allorché gettiamo un sasso.I suoni acuti sono generati da vibrazioni molto rapide, quelli bassi corrispondono a vibrazioni lente; l’orecchio umano e' in grado di percepire suoni con una frequenza compresa tra 30 e 20.000 vibrazioni al secondo (Hertz o Hz). Ma dove viene elaborata esattamente la musica nel nostro cervello? Innanzitutto dobbiamo distinguere la fase dell’udire i suoni come fenomeno periferico legato all’orecchio e al nervo acustico, una fase del sentire che si collega soprattutto a funzioni talamiche, dove il suono viene filtrato. Se il talamo consente il passaggio dell’informazione, essa giunge al lobo temporale, in centri che si trovano in prossimità di quelli del linguaggio (l’area di Broca), e qui si verifica finalmente il processo dell’ascoltare, con un coinvolgimento globale del nostro sistema nervoso e delle funzioni psichiche ad esso connesse. Si dice che il suono musicale viene cioè intellettualizzato. Uno dei massimi studiosi delle proprietà del suono, Isabelle Peretz dell’Università di Montreal, ha supposto che, in linea di principio, la metà destra del cervello elabora la musica in maniera complessiva, mentre quella sinistra in modo analitico. Possiamo quindi supporre che l’emisfero destro sia quello che, in un primo momento afferra una struttura approssimativa della musica sulla quale in seguito l’emisfero sinistro esegue una analisi più precisa. La musica è un linguaggio non meno importante di quello visivo, corporeo o verbale, in grado di esprimere idee, concetti, sentimenti propri di ogni individuo. Come il linguaggio verbale, anche la musica è uno dei fondamenti della nostra civiltà. L’uomo costruì i primi strumenti oltre 35 mila anni fa: tamburi, flauti, scacciapensieri. Ma perché i nostri antenati incominciarono a fare musica? Quali vantaggi ne ricavavano? Oggi gli antropologi mettono in primo piano la capacità della musica di cementare una comunità, scandendone i ritmi e rinsaldando i legami fra i suoi membri. Essa garantirebbe la coesione sociale e la “sincronizzazione” dell’umore dei componenti di un gruppo, favorendo così la preparazione di azioni collettive. Esempi attuali dell’utilizzo della musica in questi termini sono ad esempio le marce militari, i canti religiosi, gli inni nazionali. 
I primi studi sulle risposte emotive alla musica risalgono al 1936, quando la psicologa e musicologa Kate Heiner dimostrò che vi sono due elementi essenziali che il nostro cervello utilizza per elaborare una risposta emozionale alla musica: il MODO, cioè la tonalità (Maggiore/minore), e il TEMPO, cioè la velocità di esecuzione (Veloce/lento).

Si è così notato che dalla combinazione del modo e del tempo l’uomo ricava delle emozioni che possiamo definire UNIVERSALI.

La chiave di lettura è la seguente:
Modo maggiore/tempo lento= serenità
Modo maggiore/tempo veloce= allegria, euforia, esaltazione
Modo minore/tempo lento= tristezza, malinconia
Modo minore/tempo veloce= paura, dramma, angoscia
Che queste risposte emotive siano comuni a tutti, è dimostrato da un altro importante esperimento compiuto in tempi più recenti all’università di Montreal da Isabelle Peretz: questa studiosa ha registrato le modificazioni indotte dalla musica su vari parametri fisiologici, come la pressione del sangue, la frequenza cardiaca e la conduzione elettrica della pelle (la cosidetta reazione elettrodermica). In questo esperimento un gruppo di soggetti è stato sottoposto all’ascolto di diversi brani musicali che erano classificati come allegri, sereni, paurosi, tristi. Ebbene, si è dimostrato che le musiche producevano il medesimo effetto in tutti gli ascoltatori, indipendentemente dal giudizio soggettivo sul tipo di emozione suscitata.  Ad esempio i brani classificati come paurosi erano quelli che determinavano la maggiore reazione cutanea, caratterizzata da un rilevante incremento della sudorazione. Il fatto che queste risposte fisiologiche siano indipendenti dai giudizi soggettivi dimostra che l’ascoltatore non è necessariamente consapevole dell’effetto che la musica esercita su di lui e ci fa intravedere quale potere la musica abbia sui nostri comportamenti.
Nel 1993 è stato dimostrato con un famoso esperimento pubblicato sulla rivista scientifica NATURE che la musica di Mozart è in grado di migliorare la percezione spaziale e la capacità di espressione. Ottantaquattro studenti furono suddivisi in 3 gruppi e sottoposti all’ascolto di 3 musiche diverse: il primo gruppo ascoltò musica easy-listening, il secondo ascoltò una sinfonia di Mozart, il terzo non ascoltò musica ma solo silenzio. Subito dopo l’ascolto i 3 gruppi furono sottoposti a una prova di ragionamento spaziale tratta da un test di intelligenza riconosciuto internazionalmente, lo Stanford-Binet. I risultati furono stupefacenti: il gruppo che aveva ascoltato Mozart prima del test, ottenne un punteggio mediamente superiore di 10 punti rispetto agli altri. Tale effetto aveva però una durata di soli 15 minuti dopo l’ascolto. Si parla perciò di EFFETTO MOZART. Uno dei maggiori studiosi del suono dal punto di vista medico, il francese Alfred Tomatis è stato il primo a sostenere che la musica mozartiana è in grado di produrre un miglioramento delle abilità cognitive dell’individuo, attraverso lo sviluppo del ragionamento spazio-temporale. Ma perché proprio la musica di Mozart risulta essere la più adatta? L’ipotesi formulata da Gordon Shaw, uno degli autori dell’esperimento appena citato, è che oltre alle incredibili doti logiche, mnestiche, e musicali di cui era dotato Mozart, il musicista componeva in giovane età, sfruttando al massimo le capacità di fissazione spazio-temporale di una corteccia cerebrale in fase evolutiva, cioè al culmine delle sue potenzialità percettive e creative. Tomatis sostiene pertanto che l’ascolto della musica mozartiana è in grado di favorire l’organizzazione dei circuiti neuronali, rafforzando i processi cognitivi e creativi dell’emisfero destro.

 LA PSICOACUSTICA è lo studio della percezione soggettiva dei suoni.
In altre parole la psicoacustica è lo studio della psicologia della percezione acustica.
Sappiamo che le caratteristiche fisiche di un suono (frequenza, intensità..) possono essere misurate con estrema precisione, ma capire come un suono venga recepito ed elaborato in una “sensazione” (piacevole, fastidiosa, allarmante, ecc.) all'interno del nostro cervello, è un discorso più complesso ed è ciò di cui si occupa la psicoacustica.

MP3 E ALTRI ALGORITMI PSICOACUSTICI
In alcune situazioni, un suono normalmente udibile può essere mascherato da un altro suono. Ad esempio, immaginiamo una conversazione che si svolge a voce alta tra due persone: in un luogo silenzioso come una biblioteca o una chiesa essa risulterebbe comunque ben udibile e fastidiosa ad altri soggetti, mentre se si svolgesse in un luogo affollato e rumoroso, come una discoteca, risulterebbe inudibile da chi sta attorno e quindi, come contenuto sonoro, sarebbe ininfluente. Questo fenomeno è chiamato "mascheramento" e un suono debole è detto "mascherato" se è reso inudibile dalla presenza di un suono più forte.
Queste caratteristiche della percezione acustica sono abilmente sfruttate dalla tecnologia, ad esempio per conferire un’apparente maggiore qualità a registrazioni e riproduzioni audio effettuate con risparmio di dati. In questo caso si effettua una “compressione” dell’audio originale, sacrificando però solo quella parte dell’informazione sonora che non verrebbe comunque percepita dall’ascoltatore, in quanto fuori dalla soglia di udibilità dell’orecchio umano. E’questo il caso della nota tecnologia “MP3” e di altre similari.
MUSICA SUBLIMINALE
Anche i cosiddetti “effetti subliminali” si basano su alcuni principi della psicoacustica:
con il termine «percezione subliminale» si intende il fenomeno (in questo caso uditivo, ma potrebbe essere anche visivo) secondo il quale, stimoli non avvertibili a livello conscio (perché troppo deboli, o troppo rapidi, o “mascherati” in vario modo), possono tuttavia essere veicolati in sottofondo e giungere nel subconscio dell'individuo influenzandone il comportamento. Infatti i teorici di questa tecnica sostengono che i messaggi subliminali vengono decodificati dal cervello e inviati all'”io” cosciente in forma di suggestioni. A prescindere dagli aspetti etici legati all’utilizzo di questa tecnica, se impiegata all’insaputa di chi ne viene fatto oggetto, l’efficacia degli effetti subliminali è tutt'ora oggetto di discussione, e vede parte della comunità scientifica schierata a sostegno (tra i sostenitori è possibile annoverare anche neurologi e psichiatri di fama internazionale) mentre altri scienziati altrettanto autorevoli propendono per una totale (o per lo meno una parziale) inattendibilità delle teorie subliminali. Tra le applicazioni “terapeutiche” di queste tecniche vale la pena citare l’utilizzo di messaggi subliminali basati sui principi della PNL (programmazione neuro linguistica), consistenti in affermazioni positive “mascherate” da un contenuto musicale, volte a rimpiazzare le convinzioni negative che ostacolano gli utilizzatori in questa o quell’area specifica della propria vita.


BINAURAL BEATS
Come si è visto nel capitolo precedente, la psicoacustica è una disciplina che sfrutta le caratteristiche anatomiche dell’organismo umano e in particolare le limitazioni percettive dell’apparato uditivo. Ma non solo.
Infatti anche lo studio dell’attività elettrica del nostro cervello ha dato luogo ad applicazioni molto interessanti in ambito psicoacustico, e questo è il caso dei “battimenti biauricolari”
(“Binaural Beats”). Gerald Oster, un ricercatore del Mount Sinai School of Medicine di New York, nel 1973 elaborò una tecnica che consisteva nel sovrapporre della musica convenzionale a sequenze di toni leggermente sfasati tra un orecchio e l’altro. Presto si vide che i campi di applicazione di questa metodologia erano molteplici: oltre ad avere una particolare influenza sul rilassamento, essa era in grado di sviluppare capacità creative, e poteva risultare utile nella terapia delle emicranie, per la cura dell’insonnia, per la eliminazione di ansia e depressione.  Per comprendere i principi su cui si basa questa tecnica è necessario accennare alla attività elettrica del nostro cervello. L'elettroencefalogramma è utilizzato per misurare le correnti generate dalle cellule della corteccia cerebrale (neuroni corticali piramidali). Applicando degli appositi elettrodi sulla superficie del cuoio capelluto è possibile rilevare tali impulsi, la cui morfologia (variazione in ampiezza) si correla specificatamente con eventi fisiologici (stimolazioni sensoriali, sonno, ecc.) o patologici (epilessia, ecc.) Il tracciato che ne risulta contiene, solitamente, frequenze al di sotto dei 30Hz.

Le onde cerebrali si possono classificare in 4 tipi, e risultano indicative di quattro stati fisiologici:
Delta da 0,5 a 4Hz>>Sonno profondo
Theta da 4 a 8 Hz>>Sonnolenza e primo stadio del sonno
Alpha da 8 a 14 Hz>>Rilassamento vigile
Beta da 14 a 30 Hz>>Stato di allerta e di concentrazione


Un altro elemento di fondamentale importanza per comprendere il funzionamento dei “binaural beats” fa riferimento ad un fenomeno fisico chiamato “risonanza”. Nel 1665 il fisico e matematico olandese Christiian Huygens, (tra i primi a postulare la teoria ondulatoria della luce), osservò che, disponendo su di una parete due pendoli, uno posto di fianco all’altro, questi tendevano a sintonizzare il proprio movimento oscillatorio, quasi volessero “assumere lo stesso ritmo”. Questo fenomeno viene oggi chiamiamo “risonanza”. Nel caso dei due pendoli, si dice che uno fa risuonare l'altro alla propria frequenza. Allo stesso modo se si percuote un diapason, che produce onde su una data frequenza e lo si pone vicino a un secondo diapason “silenzioso”, dopo un breve intervallo questo ultimo comincia anch'esso a vibrare. La tecnica dei “binaural beats” si basa sul fatto che il fenomeno della risonanza può essere utilizzata anche nel caso delle onde cerebrali. Infatti, se il cervello è sottoposto a impulsi (visivi, sonori o elettrici) di una certa frequenza, la sua naturale tendenza è quella di sintonizzarsi. Quindi, se uno stimolo esterno è applicato al cervello, diventa possibile mutare la frequenza delle sue onde. Per esempio, se una persona si trova nello stato Beta (allerta) e il suo cervello riceve uno stimolo esterno di 10Hz, che come visto precedentemente corrisponde allo stato alfa (rilassamento), allora è probabile che la sua frequenza vari, sincronizzandosi a quella dello stimolo esterno.
Quando lo stato del cervello è già vicino alla frequenza dello stimolo applicato, l'induzione agisce più efficientemente. Il fenomeno e' detto “risposta in frequenza”.
Abbiamo visto però, nella pagina intitolata “Il viaggio dei suoni nel nostro cervello”, che l'orecchio umano non riesce a percepire onde sonore con frequenza inferiore a 30Hz; quindi per somministrare dall’esterno stimoli sonori inferiori ai 30Hz è necessario aggirare l’ostacolo, e questo può avvenire attraverso i "Binaural Beats" (termine che, in italiano, può essere tradotto come "Battimenti Biauricolari").
I “bineural beats” sono due toni prolungati, di frequenza leggermente diversa tra loro (ad esempio uno di 200 Hz e uno di 190 Hz) che si inviano attraverso ad una cuffia stereofonica rispettivamente all’orecchio destro e sinistro. Il nostro cervello, che lavora per sottrazione, non percepirà due frequenze differenti ma un'unica frequenza di 10 Hz. Dato che questa frequenza di 10 Hz è caratteristica delle onde alfa, se il cervello in quel momento sta lavorando ad una frequenza diversa (ad esempio Beta = stato di allerta) tenderà a spostarsi verso una frequenza Alfa (rilassamento). E’ così possibile valorizzare alcuni stati cerebrali rispetto ad altri, ad esempio quelli legati alla concentrazione, al rilassamento o al sonno.

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