La difficoltà di concepire un mondo diverso da quello cristiano, puro, saggio, bello e umanistico, si rileva fortemente dalla concezione della divisione delle genti come discendenti dai figli di Noé: Cam (camiti), Sem (semiti), Jafet (gli europei cristiani).
È interessante ricordare che sino a ben dentro il XVI secolo non veniva ricordata la presenza dell’America che, per altro, era a volte rappresentata come “donna ignuda” con una testa in grembo, facendo un palese riferimento alla bestialità del cannibalismo (antropofagia).
Il riferimento ad un popolo eletto, unito dalla verità della fede, ha subito colpi micidiali con la separazione della Chiesa Anglicana e, soprattutto, dal serpeggiare delle idee che portarono alla Riforma di Calvino, ma anche una concezione pre-cristiana di una Europa unita sotto il triplice profilo (storico, topografico e antropologico) veniva esumata per ribadire il fondamento della supremazia.
Anche il mito veniva scomodato per sottolineare l’origine divina (ratto di Europa) della discendenza prediletta e “… la più bella”.
L’Europa bianca, riccamente paludata e con un’impenetrabile aria di comando si diffondeva cercando di annichilire rappresentazioni allegoriche del nudo calore dei sensi o dell’atletica immagine dell’uomo riferita all’America.
Esplose la ipervalorizzazione delle carte geografiche per sottolineare l’importanza di un determinato possedimento o di uno stato. Anche Leonardo fu chiamato a rappresentare in una visione dall’alto, a volo d’uccello, l’area dell’Arno che si voleva deviare per allontanare dal porto la nemica Pisa.
Ancora nella metà del XVI secolo l’Europa veniva rappresentata nelle mappe tanto ricca in città e immersa in una natura prodiga e attraente per indicare le risorse naturali e l’operosità intelligente dell’uomo come base per una supremazia nei confronti degli altri continenti.
L’importanza dell’Europa cominciava anche a svilupparsi per la funzione egemonica del denaro controllato dalle strutture bancarie che, dopo l’esperienza di potere esercitato dalla Congregazione dei Templari, presero sede principalmente a Firenze che fondò succursali in tutti i principali centri commerciali europei.
Questo cambiamento nella realtà economico-finanziaria e politica non si accompagna, per il momento, ad una valorizzazione umanistico-religiosa dell’uomo. Al contrario la cultura cerca ancora una visione trascendente che si fondamenta nei principi neoplatonici della superiorità della Natura come emanazione e continuatrice dell’opera di Dio.
Pietro della Francesca rappresenta queste idee nella valorizzazione dell’architettura, nel simbolismo dei riflessi che rappresentano quell’universo (l’uovo cosmico) che si riflette sulla terra.
C’è uno spostamento dei valori della fede verso una supremazia di concettualizzazione della universalità, ma ci vorranno ancora molti decenni per fare il gran salto che viene espresso nella rappresentazione di Poussin “Et in arcadia Ego” che vuole significare quella supremazia che l’Europa (la donna-guida che accompagna i pastori) trova nel conoscere e nella memoria (il sepolcro) delle conquiste del sapere (Arcadia). Anch’io faccio parte dell’Arcadia è il motto dell’uomo di cultura, del dotto che però si è trincerato in una cultura di élite (già nel 400 era cominciata questa frattura con la cultura popolare), in un sapere esoterico che doveva difendersi dalla violenza della repressione della controriforma e dell’Inquisizione.
L’uomo di cultura non riesce ancora a liberarsi dalla concezione universalista della supremazia del cristianesimo, anche come erede del sapere e delle concezioni estetiche della tradizione classica. Neppure le conquiste della tecnica (vedi Leonardo) erano in grado di rompere l’assedio etico-religioso e possiamo arrivare sino a Sǿren Kierkegaard per scoprire questa asfissiante limitazione.
Il filosofo tedesco nel suo “Timore e tremore” spiega come Abramo debba inesorabilmente uccidere Isacco par far nascere un nuovo uomo (sia da Abramo che da Isacco), liberato dalla prevaricazione della legge divina e dal predominio del suo rappresentante in terra (detentore della verità).
L’idea che è Dio a fermare la mano di Abramo (che avrebbe seguito i dettami divini) impone l’idea di un’etica ideologizzata e, comunque, la supremazia di questa nei confronti di un’etica creata sulla base della libertà dell’uomo che trova (anche con l’aiuto di Dio) una propria etica dei vissuti, delle esperienze, della priorità umana di poter dirigere i propri destini (economici, finanziari, politici e culturali).
Il 400 si trova in un quadrivio che folgora le concezioni teologico-culturali del passato, ma non è in grado di risolvere i quesiti posti dalle nuove conoscenze su:
- l’uguaglianza dell’uomo ed il rispetto di tutte le razze (l’uomo americano era stato considerato animalescamente cannibale e senza anima);
- il rispetto dei valori del sapere e della cultura, sottomessi ancora alla dittatura della teologia e dell’ideologia;
- il valore della natura e dell’uomo che dovrebbero raggiungere la liberazione da quell’immanenza di Dio che rende inutile il libero arbitrio, ridotto ad una semplice supposizione di colpa;
- la preminenza del valore del conoscere, dell’esperienza pragmatica e della concezione di un uomo fatto centro del proprio conoscere e, quindi, del proprio futuro.
Il tema della Natura è stato sicuramente ritenuto centrale nel XV secolo, riportato in auge dalle idee neoplatoniche.
Già Alano di Lilla nel “De planctu naturae” aveva celebrato il “Mito della Natura”, continuatrice della creazione divina, sviluppando un universo mutevole e molteplice, ma sempre mantenuto nei limiti di un giusto ordine.
La natura deve anche difendersi dalle perversioni umane che tendono a sopraffare la volontà divina, sostituendo la vera legge con la propria (il vitello d’oro permesso da Aronne) e con i suoi istinti libidici e libertari.
Se nel 200-300 predomina questo senso di sottomissione al Volere di Dio e, quindi, di colpevolizzazione della creatura, nel 400 l’uomo diventa parte della natura attraverso le scoperte tecnologiche, scientifiche e geografiche.
Il rapporto con Dio viene complicato dalla scoperta dell’America (1492) che, per altro, era già stata preconnizzata da anteriori visite.
Non è tanto la scoperta di un altro Mondo a portare scompiglio nell’universo culturale, ma l’aver incontrato altri esseri umani (o simili agli umani). Il rapporto con questi fu decisamente conflittivo e, sulla base della divisione manichee tra bene e male, i “Nuovi” vennero giudicati come gli Altri, cioè i diavoli, l’emanazione di Satana.
I “Nuovi” divennero l’altro aspetto dell’uomo, la parte malefica per cui addirittura ci si chiedeva se gli indios avessero o no un’anima.
Avendo poi ipervalorizzato per tanti decenni la filosofia, la cultura e le conoscenze del passato, il nuovo venne interpretato inferiore, esteticamente non umano.
Se questo era il modo di pensare delle gerarchie del 400, ben diverso divenne l’approccio conoscitivo-culturale dei dotti, degli scienziati-umanisti come Leonardo, Botticelli, Piero della Francesca, ecc.
Sicuramente questi erano a conoscenza delle conquiste culturali portate dal templari e dai navigatori, anche se le loro idee erano combattute dall’Inquisizione.
L’aver già scoperto e sperimentato l’importanza di un mondo diverso come quello ebraico e quello dell’Islam, aveva portato a condividere l’esperienza di generazioni di altri uomini simili, ma diversi e, quindi, d’aver abiurato all’idea del “popolo eletto” e dell’infallibilità dottrinale che faceva di quella cattolica il summum del sapere.
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