Nel Fedro, uno dei dialoghi platonici più famosi e più amati, composto tra il 368 e il 363 a.C., si trattano due temi principali: l’amore, in greco eros, e l’immortalità dell’anima.
Prendiamo in esame il tema dell’eros.
In contrapposizione con altri filosofi, che vedevano in eros un male per l’uomo, Platone, in questo dialogo, tesse un grande elogio di eros, con elevato afflato poetico. Mentre da molti eros è visto come “dissennatezza” derivante da “umana malattia”, da Platone esso è visto come dono degli dei, dispensato agli uomini come aiuto per vivere. Eros, infatti, agisce nell’uomo tramite un particolare veicolo, ossia l’anima, che per Platone è l’essenza, la natura più profonda dell’essere umano. Eros è appunto quella forza magnetica che dà all’anima la capacità di librarsi sempre più in alto. L’amore, secondo Platone, è figlio di Afrodite, ed è un Dio: dunque, esso non può essere un male per l’uomo. Infatti, per Platone il vero amore si realizza quando l’anima è dominata dalla follia divina, in greco antico manikè. Chi ama è affetto da un tipo particolare di follia, in virtù della quale, contemplando la bellezza terrena, ritorna con la memoria a quella vera, cioè ultraterrena, ovvero, per usare un termine platonico, a quella del mondo delle idee o iperuranio, in cui dimorano le anime prima dell’incarnazione. Così si è presi dal desiderio di librarsi in volo, si indirizza lo sguardo verso l’alto, e inevitabilmente si trascurano le faccende terrene. Questa, afferma Platone, è la più nobile tra le forme possibili di possessione divina. Infatti, ogni anima umana, contempla per sua natura l’essenza delle cose, cioè le idee iperuranie, tramite un processo di reminiscenza (ricordo), che parte da quelle terrene. La visione della bellezza terrena, come già detto, rimanda all’idea del bello, cioè alla bellezza ultraterrena, e così rende l’innamorato attonito e non più padrone di se stesso. Egli, mentre guarda un volto dalle sembianze divine o qualche forma corporea che imiti bene la bellezza, è scosso da brividi e sgomento. Lo prende un insolito accaloramento: questa la sintomatologia fisica della passione amorosa secondo Platone. Veniamo ora a quella psicologica: chi ama, non reputa nessuno superiore all’amato, dimentica la famiglia, trascura il patrimonio, trasgredisce ogni regola, e ogni decoro. Non sa, né è in grado di dire cosa le stia accadendo, e solo quando l’ oggetto del suo amore è vicino smette di soffrire. L’amato infatti, è l’unico medico per le sue terribili pene, e la venerazione per lui giunge al punto che… l’innamorato se ne costruisce un immagine votiva, per adorarlo e celebrarne i misteri, proprio come se fosse un Dio. Questi i sintomi dell’innamoramento secondo Platone. Ma ad essi segue una fase di assestamento, che pone gli innamorati davanti ad una scelta tra due tipi di condotta antitetici: se in essi prevale uno stile di vita ordinato e improntato all’amore per la sapienza, essi trascorrono la propria esistenza terrena in beatitudine e concordia, padroni di sé. In tal caso, avendo aggiogato ciò che genera il male nell’anima e avendo coltivato la virtù, al termine della loro vita, diverranno alati e leggeri. Se invece gli innamorati conducono una vita volgare, lontana dalla filosofia e in preda a varie forme di lassismo, come l’ubriachezza, al termine della vita abbandoneranno il loro corpo privi di ali. I primi dunque, aggiunge Platone, non vanno verso le tenebre, anzi vivono una vita luminosa, l’uno accanto all’altro, e divengono alati grazie all’amore, mentre i secondi saranno trascinati intorno e sotto la terra, privi di intelletto. Dunque, secondo il filosofo, eros eleva, purifica, ma anche sconvolge l’animo umano, e sta nel libero arbitrio di ciascuno incanalare questa forza possente in modo costruttivo o, al contrario, distruttivo. La lezione del Fedro è senz’altro ancora attuale, e molto avrebbe da insegnare all’odierna umanità, che troppo spesso vive la relazione amorosa in maniera distorta ed egoistica, dimenticando la sacralità di eros, e sottovalutando la sua potenza creatrice.
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