Estratto da 'Niew Scientist" 5 maggio 1988 da un articolo di Susan Blackmore
Le NDE possono dirci di più a proposito della coscienza e del cervello che sull’esperienza oltre la tomba.
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opo 15 anni di ricerca, una cosa è chiara: quando la gente arriva vicino alla morte e poi si ristabilisce, tende descrivere un insieme di esperienze strutturate.
1975 Raymond Moody ha pubblicato per la prima volta la sua raccolta di NDE "Le vite oltre la vita" (op. cit.). Il suo resoconto include esperienze di fluttuazioni lungo un tunnel scuro, esperienze di abbondino del corpo e la capacità di osservare processi in atto con distaccata lontananza, incontri con `esseri di luce’ che li aiutavano a riesaminare la vita trascorsa, la sensazione di essere _passati in un altro mondo, il cui limite estremo segnava il ritorno dalla gioia, dall’amore e dalla pace alla sofferenza, alla paura o alla malattia.
Moodv non ha fatto nient'altro che raccogliere i casi, e pochi credevano che la sua descrizione piuttosto idealizzata avrebbe retto a una ricerca approfondita. In realtà resse benissimo. Kenneth Ring, dell'Università del Connecticut, -a intervistato 102 persone che si erano Tavate vicine alla morte a causa di malattie, incidenti e tentati suicidi. Di questi almeno la metà hanno riferito esperienze che erano conformi alla descrizione di Moody (Life after Death, New York, Coward, McCann and Geoghegan 1980). Ring sistematizza in cinque stadi l’esperienza vicina alla morte: pace separazione del corpo, ingresso nell'oscurità (o nel tunnel), vedere la luce ed entrare nella luce. Non solo questi cinque stadi tendevano a presentarsi in ordine, il primo stadio era il più comune, i160% delle persone intervistate ha riferito lo stadio della pace e il meno comune è stato riportato al 10%. Tutto ciò sembrava implicare una sorta di esperienza già prestabilita che era in procinto di evolversi negli stadi più lontani e più profondi mano a mano che una persona si avvicinano di più alla morte. Più recentemente Bruce Greyson, uno psichiatra dell'Università del Michigan, ha contestato l'ipotesi di invarianza sull'American Journal of Psychiatry (Vo1.142, pag. 967, 1985). Bruce Greyson ha constatato che le esperienze vicine alla morte non sono totalmente `invarianti'.
Tali esperienze tenderebbero a prendere forme diverse in culture diverse. Il tunnel è così convincente che la gente pensa sia una sorta di passaggio `reale' verso la prossima vita. L'esperienza fuori dal corpo è così realistica che le persone sono convinte che il loro spirito ha lasciato il corpo e possa vedere e muoversi senza di esso. Le emozioni positive sono così forti che molti non vogliono tornare indietro. Per coloro che raggiungono gli stadi finali, sembra essere presa una decisione conscia di tornare indietro alla vita e alle responsabilità, piuttosto che rimanere nella beatitudine e nella pace. Per molte persone, la vita successivamente è molto diversa, dicono di essere meno materialisti, molto più riconoscenti verso la vita e più attenti al benessere altrui.
Come possiamo spiegare i tunnel, le esperienze fuori dal corpo e le trasformazioni nella vita successiva?
Nella cultura esoterica, il corpo astrale è il veicolo della coscienza, che si separa permanentemente dal corpo fisico dopo la morte, ma può anche separarsi temporaneamente, durante la vita.
Pertanto l'esperienza fuori dal corpo è realmente una `proiezione astrale'. Il tunnel è una transizione fra il mondo astrale e quello esoterico; l'oscurità accade quando la coscienza è trasferita da uno all'altro.
I problemi che nascono da tale spiegazione sono numerosi. C'è la questione di sapere di cosa è composto l'astrale e come l'astrale e il fisico interagiscono (in effetti si tratta del riflesso di tutti i problemi corpo/mente).
C'è sempre stata la speranza che nuovi strumenti potessero finalmente rivelare il corpo astrale. Ma l'accresciuta sensibilità degli strumenti ha dimostrato soltanto una riduzione in misura di qualsiasi preteso risultato. Ho sostenuto che queste teorie non hanno progredito (Beyond The Body, Londra, Heinemann 1982). Nonostante ciò, esse hanno una grossa attrattiva: se dobbiamo fornire teorie migliori, dobbiamo non solo criticare le teorie esoteriche nella sostanza, ma produrre alternative che si inseriscano nel contesto della scienza e forniscano ipotesi verificabili e che abbiano un senso che le persone che hanno fatto esperienze vicino alla morte. È un compito molto complesso, ma non impossibile.
L'astronomo Carl Sagan ha precisato, con molto incoraggiamento popolare, che possiamo fondare la universalità delle esperienze vicino alla morte solo facendo riferimento alla sola esperienza che noi tutti abbiamo in comune: la nascita. Così il tunnel è realmente il canale della nascita e l'esperienza del tunnel e l'esperienza fuori dal corpo sono un replay della nascita. Le capacità cognitive di un nuovo nato non sono però tali da poter ricordare l'esperienza in un modo che possa avere senso per un adulto, 20 0 50 anni più tardi.
Un aspetto positivo di tale teoria è che è verificabile. Se i tunnel e le esperienze fuori dal corpo sono un replay della nascita, le persone che hanno avuto il parto cesareo non dovrebbero averle. Ho distribuito un questionario a 254 persone di cui 36 erano nate con il taglio cesareo. Entrambi i gruppi riportano la stessa proporzione di esperienze fuori dal corpo e di tunnel. Potrebbe essere che queste esperienze si basino sull'idea della nascita in genere, ma questo indebolisce drasticamente la teoria.
La teria più debole di tutte è l'asserzione superificiale che queste esperienze sono `mere allucinazioni', sebbene questa è stata spesso la `risposta scientifica', che conduce però ad un'altra domanda: perché proprio queste allucinazioni? Perché la luce alla fine? Perché le esperienze fuori dal corpo sul soffitto e non sull'alluce? Perché sembrano così reali? Un approccio effettivo deve essere in grado di rispondere a queste domande. Il tunnel sembra avere un'origine piuttosto interessante nella struttura del sistema visivo. Non accade solo nelle esperienze vicino alla morte, ma nell'epilessia o in certi casi di forte mal di testa, quando ci si addormenta, quando si medita, o solo ci si rilassa facendo pressione su entrambi gli occhi, o con certe droghe quali LSD, psilocibina o mescalina. Negli anno '30, Heinrich HIuver, presso l'Università di Chicago, notò questo fenomeno come una delle forme costanti, nelle allucinazioni indotte da droghe... altre forme riportate erano la rete, la spirale e la ragnatela. Perché queste condizioni diverse producono le stesse allucinazioni?
La corteccia visiva del cervello, che elabora sia la -visione che l'immaginazione visiva, è abitualmente in uno stato stabile mantenuta in questo stato essenzialmente da alcuni neuroni che ne inibiscono altri. Molte delle condizioni che producono le allucinazioni riducono o interferiscono con l'inibizione. L'LSD, per esempio, sopprime l'azione delle cellule raphe, che regolano l'attività della corteccia visiva. Qualsiasi interferenza con l’inibizione può determinare uno statodi grande eccitazione. Jack Cowan,un neurobiologo dell'Università di Chicago, ha precisato sei anni fa, usando un analogia con la meccanica dei fluidi, che l’eccitabilità corticale in aumento avrebbe destabilizzato lo stato uniforme e indotto onde di attività che si propagavano attraverso la corteccia visiva. Che tipo di percezione avrebbero prodotto queste onde? Lo spazio visivo è innanzitutto rappresentato nella retina e in diverse aree della corteccia visiva. Il centro del campo visivo utilizza molti più neuroni che la periferia, e l'immagine completa è strutturata dalla mappa della retina verso il cervello, per mezzo una complessa funzione matematica. Cowan mostra che a causa di questa struttura a mappa, le onde di attività nella corteccia apparirebbero come se ci fossero degli anelli concentrici, dei tunnel o delle spirali nel mondo esterno. Il movimento delle onde produrrebbe un'espansione di riduzione. Sembra così che il tunnel sia la naturale conseguenza del modo in cui la corteccia visiva rappresenta il mondo visivo. E la luce alla fine? Poiché il numero di neuroni preposti ad ogni unità di area = più elevata al centro del campo visivo, n si aspetterebbe un effetto più intenso ai centro, se tutti i neuroni fossero toc~ati dall'allentamento dell'inibizione. Presumibilmente, più il sistema è distribuito, più grande è la luce, sebbene nessuno abbia mai provato sperimentalmente quest'idea.
Rimangono molte domande: come e perché nelle esperienze vicino alla morte sembra che ci si muova sempre in avanti attraverso il tunnel, e non necessariamente in altre esperienze. La domanda più presente, comunque, è perché, se è un'allucinazione, sembra così reale.
La risposta a questa domanda sta nel chiedersi che cosa rende le cose reali. La distinzione `là fuori' e `nella mia mente' non è facile per quanto concerne il sistema nervoso. Appena inizia 1'elaboraizone visiva o uditiva, l'informazione proveniente dalla memoria si mescola con 1'input sensoriale. Non appena l'informazione passa attraverso i differenti stadi di elabrazione, linee, confini; spazi ed oggetti vengono rappresentati in diversi modi. È del tutto improbabile che una semplice etichetta possa essere applicata con la definizione `questo proviente dall'esterno' e `questa è un'allucinazione'. Proporrei invece che la decisione venga fatta ad un livello molto più elevato: il sistema prende semplicemente il modello più stabile del mondo che si presenta in un dato momento e lo chiamo `realtà'.
Nella vita normale c'è un solo `modello di realtà' che è decisamente più stabile, coerente e complesso: è quello strutturato per mezzo degli input sensoriali. È il modello `io, qui e ora' Sto suggerendo che questo modello sembra più reale solo perché è il migliore che il sistema ha a disposizione in un dato momento.
Ma cosa succede a un sistema morente? Cosa succede a un cervello in cui opera una disinibizione estensiva, disturbato da fragori, in condizioni di pericolo, di incapacità a produrre un modello fun-zionante di realtà? Potrebbe darsi che le onde di attività nella corteccia visiva siano il modello più stabile che il sistema ha a disposizione, ecco che naturalmente esso sembra reale, d'altra parte è reale tanto quanto ogni altro modello che sia stato, in dato momento, reale, perché è il miglior modello del momento. Dato che l'elaborazione delle immagini avviene anche a livello della corteccia visiva, ha senso che altre immagini, e persino altri mondi complessivi siano incorporati nel tunnel di prospettiva. Nessun sistema sensibile lascerebbe perdere, giunto a questo punto. Cosa dovrebbe fare? L'obbiettivo ovvio sarebbe quello di ritornare al modello prodotto dagli input sensoriali - rappresentazione stabile del mondo fuori - al più presto possibile. Un modo per farlo è di basarsi sulla memoria: domandarsi "Chi sono?" "Dove sono?" "Cosa sto facendo?" Le risposte saranno presenti nella memoria se rimane sufficiente capacità di elaborare. Sappiamo, però, cose interessanti sui modelli della memoria. Spesso sono visioni a volo d'uccello. Supponiamo che il sistema di una donna morente costruisca un modello di quello che lei sa sta succedendo: il suo corpo sul tavolo operatorio, i chirurghi attorno, le luci sopra e tutto l'apparato. Questa potrebbe essere una visione a volo d'uccello dal soffitto. Potrebbe essere un buon modello. Abbiamo solo da pensare quale è il potere della radio nell'evocare dettagliate immagini visive per renderci conto quanto questa ipotesi potrebbe essere valida. Questo modello potrebbe persino incorporare alcuni input, come i rumori fatti dalle persone che parlano attorno, o il rumore dei ferri sul carrello, per non menzionare le scosse dei tentativi di rianimazione. In tal modo il modello mentale che si produce, non solo sarebbe convincente ma conterebbe persino alcuni dati corretti circa gli eventi che stanno accadendo in quel momento - e questo a volto di uccello. Se questo modello è il migliore che il sistema ha in quel momento esso apparirà come perfettamente reale. Ancora una volta è `reale' nello stesso senso in cui qualsiasi altra cosa è reale. Questo è, secondo me, quello che accade nell'esperienza fuori dal corpo.
A partire da questo approccio sono possibili molte ipotesi verificabili. Per esempio, le persone che hanno sperimentato esperienze fuori dal corpo potrebbero esser quelle stesse che più facilmente sono in grado di immaginare scene a volo di uccello, o che possono cambiare più facilmente punti di vista nella loro immaginazione. Ho avuto conferma di quanto sopra in molti esperimenti (Journal of Mental
Imaginary, vol. ll, pag. 53, 1987): queste persone potrebbero essere le stesse che sanno richiamare cose con una visione a volo di uccello. Sia io che Harvey Irwin dell'Università del New South Wales, in Australia, abbiamo scoperto che le persone che hanno avuto esperienze fuori dal corpo tendono ad assimilarsi alle persone che ricordano i sogni a volo di uccello, sebbene non abbiano le stesse capacità per gli eventi avvenuti nello stato di veglia. La ragione di ciò non è chiara, ma questo approccio sembra produrre maggiori progressi che quello basato sulla nozione secondo cui `qualcosa' lascia il corpo. Esiste però una piccola prova che rappresenta una grande sfida al punto di vista che ho esposto. Michael Sabom, un cardiologo di Atlanta, Georgia, ha rivendicato che alcuni pazienti hanno visto, durante le esperienze vicino alla morte, cose che non avrebbero potuto inventare attraverso l'udito o per mezzo di quanto essi stessi sapevano sulle tecni.che rianimazione (Recollections of Corgi, 1982). Questo ricercatore non ha soltanto raccolto alcuni racconti come, per esempio, il caso di una scarpa vista in un angolo inaccessibile della finestra, ha chiesto anche ai soggetti di immaginare di andare attraverso la procedura di rianimazione e di che cosa vedessero.
Ci sono alcuni problemi sul lavoro di Sabom. Dovrebbe essere svolto un controllo più accurato sui soggetti che effettivamente sono passati attraverso 1'intero processo ed hanno sperimentato le azioni e le conversazioni dello staff. Il comportamento degli aghi dovrebbe essere registrato con precisione in modo da confrontarlo con i resoconti dei pazienti sull'esperienza vicino alla morte. Questo è l’oggetto della futura ricerca.
Solo allora saremo in grado di sapere se i dati di Sabom costituiscono una reale sfida al punto di vista che ho esposto qui e se gli stessi dati contengano una speranza per coloro che guardano per 'qualcosa di più' dopo la morte.
È, in ogni caso, un'esperienza straordinaria essere buttati fuori dai limiti normali del mondo sensoriale e dover affrontare i limiti dei propri modelli mentali. È devastante scoprire che altri mondi, tunnel o uscite dal corpo possano sembrare reali. Se sosteniamo l'ipotesi che la coscienza dipende dai modelli mentali strutturati in un dato momento, la coscienza della gente che ha fatto tali esperienze deve ovviamente uscirne trasformata. Anche quando si ritorna al normale e il mondo `reale' riprende il sopravvento, non si può dimenticare che a un certo momento altri mondi sono sembrati `reali', che il corpo era inutile e che non esisteva più nemmeno il sé. È uno scontro diretto con la natura costruita del sé e del mondo: non possono sembrare più così solidi e importanti come prima.
Le esperienze vicino alla morte, dopo tutto, sono trascendenti e trasformanti, ma non così misteriose. Possono dirci molto sulla coscienza e sul cervello che non su quanto accade oltre la tomba
Le molteplici componenti possono essere osservate come cambiamenti nei modelli mentali, derivanti dalla disinibizione della corteccia e della caduta del normale modello mentale di realtà che nasce dagli input sensoriali, non possono essere tralasciate come mere allucinazioni: sono allucinazioni importanti e di trasformazione che dovremmo comprendere meglio.
Per contatti: Sue Blackmore, Brain and Perception Laboratory, University of Bristol, Bristol B 58 LTD, England.
TRA LA VITA E LA MORTE
Di boschi, prati e fiori visti - nell' aldilà' ne parla spesso anche chi riemerge dal coma. "Mentre ero in stato di inconscienza", racconta Massimo Piccagli, di Verona "ho visto un solo albero in mezzo a un prato pieno di fiori bianchi, forse margherite, poi mi è venuta incontro mia nonna, che mi ha preparato la cioccolata, come quando ero piccolo". Questa costante dei prati verdi, fioriti, o dei lunghi pieni di luce visti durante il coma viene confermata da molti studiosi che si occupano di questo fenomeno. "Almeno il cinquanta per cento di coloro che tornano dall'aldilà hanno visioni di questo genere", afferma la psicologa veronese Gemma Zampini, che da molti anni sta raccogliendo materiale su questo argomento con altri studiosi, in Italia e in Sudamerica (soprattutto in Venezuela e in Brasile): "Io stessa da piccola ho avuto un'esperienza simile; a tre anni ho battuto la testa contro uno spigolo e dopo aver ripreso conoscenza ho incominciato ad avere fenomeni psichici: per esempio descrivevo persone per me reali, ma che solo io vedevo, la cui immagine corrispondeva a parenti defunti."
"In età adulta ho avuto un grave incidente e sono entrata in coma: mi sono vista precipitare in un grande vortice blu, in fondo al quale vedevo una luce abbagliante, incandescente, e al di là un prato verde. Poi mi sono sentita risucchiare e sono rientrata bruscamente nel corpo, con una sensazione molto sgradevole. In un'altra occasione sono caduta in un simile stato d'incoscienza: in ospedale mentre i medici cercavano di rianimarmi, sentivo perfettamente ciò che accadeva intorno a me e i loro discorsi. Proprio per questo negli ospedali non si dovrebbe mai parlare sconsideratamente accanto ai pazienti, pensando che non sentano". Una conferma di questo ci viene anche da un ragazzo di Padova, Federico Ballan, che nell' 85, a tredici anni, è rimasto in coma dopo un incidente di macchina per trentacinque giorni: in seguito ha raccontato che in questo periodo di "incoscienza" sentiva perfettamente i discorsi intorno a lui, a cui tentava di rispondere, ma nessuno lo sentiva, tanto che si metteva a piangere per la disperazione.
"Spesso cerco di aiutare con le mie facoltà chi si trova in coma, con risultati a volte incredibili", prosegue Gemma Zampini, che spesso entra in incognito anche tra le corsie ospedaliere, per cercare di aiutare chi soffre. "Così è accaduto con Maddalena, una ragazza che non avevo mai visto alla quale ho cercato di dare energia, concentrandomi sulla sua foto mentre ascoltavo l'adagio di Albinoni. Quando, dopo alcuni giorni è uscita dal coma, ha chiesto insistentemente di ascoltare musica classica, perché voleva ritrovare quella musica che aveva percepito in un'altra dimensione: proprio l'adagio di Albinoni. Quando ci siamo incontrate per la prima volta due anni dopo, mi ha immediatamente riconosciuta e abbracciata, confermandomi di aver visto me e la mia casa mentre era in coma. Questa dinamica delle persone che vedono me e la mia casa, anche se non mi hanno mai incontrata, si è ripetuta più volte".
Ed ecco l'esperienza, quasi identica, di una diciannovenne di Caserta, Simona Gibino: "Il 26 ottobre ' 88, in seguito a
Un incidente d’auto, sono entrata in coma ci ha raccontato. "Mia zia ha telefonato a Gemma che io non conoscevo e non avevo mai visto, pregandola di intervenire a distanza, sulla mia fotografia per provare a tirarmi fuori da questo stato. Mentre ero in coma, ero consapevole di ciò che mi accadeva e continuavo a vedere due occhi molto particolari, intensi, che mi fissavano e che in seguito ho scoperto essere quelli di Gemma, sentivo le sue incitazioni a ritornare alla vita e anche una musica che cercava di trasmettermi. Solo che a questa situazione se ne è sovrapposta un'altra più bella: sono passata attraverso galleria buia, oltre la quale intravedevo una luce immensa, e al di là ho trovato un fiume d'argento, in cui avrei voluto tuffarmi. Intanto sentivo una voce stupenda che continuava a parlarmi, senza sosta, infondendomi una grande pace che mi faceva rinascere: ricordo solo poche parole. Mi diceva che sulla terra c’era troppo odio, che non sapevamo più vivere in pace, in amore e che io dovevo ritornare per insegnare che esiste un amore diverso da quello che l'uomo insegue. Mentre mi parlava vedevo una schiera di anime sofferenti, che guardavano con ansia verso il basso, verso la Ter ra senza vedermi e poi un gruppo di bambini stupendi, che mi tendevano le mani. Poi di colpo mi sono ritrovata in ospedale sopra il mio corpo che mi sembra: inutile, ho visto i medici che si affaticavano tentando di riportarmi in vita.improvvisamente sono passata in un care immenso e ho sentito il mio corpo che sudava e i medici che parlavano. "Se suda allora è viva", hanno detto. Poi ho perso conoscenza. Ma quando sono riemersa, non mi riconoscevo più, ho dovuto far fatica ad accettare la realtà che mi circondava".
Ed ecco la testimonianza di Giuseppina N., di Milano: "Nel ' 61, in seguito a un incidente, ho avuto un arresto cardiocircolatorio: improvvisamente ho visto il mio corpo dall'alto, dall'altezza del soffitto. In questo stato ho provato un grande benessere e una sensazione di leggerezza. Osservavo tutto con grande distacco, senza avere la coscienza della mia identità, finché ho visto entrare nella stanza mio marito e mia madre e allora mi sono ricordata chi ero. In quel momento ho sentito i medici che mi incitavano a respirare: con grande fatica ho fatto un respiro e sono rientrata subito. Io non so giudicare questa esperienza, che ho sempre attribuito all'anestesia: però l'ho avuta".
Quando, verso la metà degli anni '70, scelsi un simbolo grafico da associare alla mia attività professionale il caso e il mio inconscio mi indirizzarono a decidere per un geroglifico egizio ripreso dall'anello mortuario di un faraone. Esso rappresenta simbolicamente il passaggio dalla vita nota alla vita ignota, immaginata migliore, dell'aldilà. L"omino del labirinto', come familiarmente lo chiamammo, mi è sempre apparso come la sintesi più efficace del pensiero reichiano e come la metafora più lampante di ogni processo di evoluzione personale.
Dovettero passare alcuni anni prima che gli eventi del mio processo di sviluppo personale e professionale mi portassero ad un pieno contatto con la tematica della morte e del morire.
Accadde verso la fine del primo anno del training intensivo in terapia bioenergetica diretto dal Prof. Jules Grossman, per conto della San Francisco State University e dell'Istituto di Bioenergetica W. Reich, di cui a quei tempi dirigevo la sede di Milano. Eravamo nel 1979. Jules introdusse la tematica con poche semplici istruzioni che eravamo tenuti ad assumer per vere e riferite a noi stessi:
"Siete andati dal vostro medico per conoscere i risultati del vostro chek-up annuale. Vi sentivate bene e di ottimo uomo
re, ma una sfumatura inquietante nel suo comportamento vi ha reso subito ansiosi. Vi ha invitati a sedere e rivolgendosi a voi con un'espressione di profondo rammarico vi ha comunicato che vi sono rimasti tre mesi di vita. Voi avete fatto un balzo dalla sedia e avete insistito che di certo si trattava di un errore. Ma il medico, senza cambiare la propria espressione, vi ha confermato che le analisi erano state ripetute una seconda volta e che escludeva, con dispiacere, ogni possibilità d'errore. Siete rimasti senza parole e ringraziandolo per la franchezza ve ne siete andati".
Noi, io ed alcuni amici e colleghi, ci addentrammo in modo totale nell'esperienza della prossimità della nostra morte. E vi rimanemmo, ciascuno a modo suo, per tre mesi.
Jules Grosman aveva collaborato negli Stati Uniti con la dottoressa Elisabeth Kúbler-Ross, il cui lavoro con malati terminali l'aveva portata a stretto contatto con la realtà delle loro reazioni emotive, da lei divise in cinque fasi:
- rifiuto e isolamento: "No, io no, non può essere vero". In questo stadio il malato si chiude in se stesso e rifiuta di accettare la propria condizione.
- collera: quando ogni negazione dell'evidenza diviene impossibile sorge spontanea una seconda domanda: "Perché proprio io?". Pronunciata spesso come un'imprecazione.
- venire a patti: in questa fase il malato cerca di venire a patti con la realtà o se è religioso con la divinità, cercando un alleviamento o una dilazione: "Se Dio ha deciso di togliermi da questo mondo e non si lascia smuovere dalla mia collera forse sarà meglio disposto se glielo chiedo con delicatezza".
- depressione: associata ad un grave vissuto di perdita e spesso ad una sensazione realistica di colpa e di vergogna. Può essere divisa in depressione reattiva correlata al blocco della collera e depressione preparatoria che prelude 1'accettazione. "Proprio a me!"
accettazione: questa fase non deve essere confusa con un momento di serenità, rappresenta piuttosto una resa all'inevitabile ed è contraddistinta da un relativo vuoto di emozioni. "Non mi resta che attendere la fine".
Ci tr,ovammo ad attraversare queste cinque fasi, ciascuno con i propri vissuti. Nel corso delle settimane Jules ci istruì prima a considerare cosa avremmo sempre voluto fare nella nostra vita e no,n avevamo mai fatto. Ci indusse a indagare il perché non l'avessimo mai e cosa sarebbe cambiato nelle nostre vite facendolo.
Poi ci invitò a scrivere alcune lettere alle persone che stavamo per lasciare. Ci comunicò quindi che era giunto il momento di fare testamento. Un testamento_spirituale che comprendesse però gli aspetti pratici della divisione dei nostri beni.
Infine ci istruì a definire le disposizioni per il nostro funerale: gli invitati, il luogo, 1'ora, il tipo di cerimonia. Nel corso di una visualizzazione orgonismica, in stato di rilassamento profondo, vivemmo il nostro stesso funerale: fu uno dei pianti chiave nel mio processo di evolumone personale, in seguito sarei morto ancora molte volte.
Ciò che avviene nel corso di una psico-_erapia organismica è la morte del falso lo, sostituito da un nuovo senso del sé più integrato, più vero e maturo. Anche nel processo di "dissoluzione creativa" del falso Io, come di fronte alla esperienza della morte, il soggetto non ha alcuna consapevolezza e nessuna certezza del dopo. La falsa immagine di sé, che ha sposato totalmente e che mostra al mondo, è l'unica realtà che conosce, è colui o colei che chiama Io. Per questo motivo Jules, per fare di noi dei buoni terapeuti ci somministrò la dura lezione della nostra `morte personale'.
Cercherò ora di descrivere, anche se sommariamente, le corrispondenti fasi emotive che, con la rinascita del sé autentico diventano sei, dal punto di vista della psicoterapia corporea:
- rifiuto e isolamento: quando una persona decide di intraprendere una psicoterapia è mossa generalmente dal rifiuto per un sintomo, che non vuole o non riesce a vedere come parte integrante della sua personalità attuale: vorrebbe liberarsene mantenendo intatta la sua auto immagine e la visione del mondo intorno a sé. Per questo motivo egli ha isolato il sintomo e lo presenta al terapeuta chiedendo il suo aiuto per eliminarlo.
- collera: una volta stabilizzata la relazione tra paziente e terapeuta ha inizio l'analisi del carattere, condotta alla luce delle relazioni formative, all'interno della famiglia di origine. Emergono allora gli stereotipi comportamentali e mentali (cognitivi) del paziente. Egli diviene consapevole delle ferite ricevute nella sua infanzia e delle carenze affettive e comportamentali dei suoi genitori. Il paziente comincia a farsi carico del proprio sintomo. Ciò che suscita la sua collera è ora il comportamento passato, e spesso ancora attivo dei suoi genitori. "Perché proprio io!" "Perché ho avuto proprio questi genitori!"
- venire a patti: in questa fase il paziente si mostra disposto ad ammettere alcuni problemi personali ed a rinunciare ad alcune idee preconcette e atteggiamenti stereotipati. Egli è disposto a rinunciare alla parte pur di salvare il tutto. Tale atteggiamento è inconsciamente insincero. Infatti ciò che abbiamo chiamato `parte' partecipa al tutto in modo essenziale e rinunciarvi significa in realtà rinunciare al tutto `così come si presenta'. È una fase di passaggio in cui il conscio e l'inconscio si informano reciprocamente in modo serrato nel disperato tentativo di trovare una soluzione di compromesso, una via d'uscita il più possibile indolore.
- depressione: Mano a mano che la persona entra nel proprio corpo avviene la depressione, intesa non secondo la psichiatria classica ma con la quale ha, in ogni caso, alcuni punti in comune: a) un generico talvolta profondo scoraggiamento di fronte al compito impegnativo di rivisitare la propria vita in tutti i suoi aspetti e b) una diffusa consapevolezza di essere responsabile del mantinemento del sintomo, vissuta come colpa. Allo stato di depressione psichica, però, si accompagna una effettiva rivisitazione del corpo psichico e biologico che ha precisamente la caratteristica di un movimento verso il basso (de-pressione) che finisce quando la persona torna ad essere con `i piedi per terra', cioè con un buon contatto con la realtà, consapevole di se stessa e quindi più obbiettiva verso il mondo esterno.
- accettazione: eccoci alla remissione dei peccati, al perdono, alla purificazione. È il compito che nella chiesa cattolica viene svolto dal sacerdote attraverso 1'estrema unzione che, se possibile, segue l'ultima confessione. Il morente `rivede la propria vita' in modo spassionato, si pente e perdona. Ciò che avviene in questa fase è lo scioglimento di tutte le tensioni residue che ancoravano il paziente al passato impedendogli un contatto fermo e positivo con la realtà attuale: il perdonare equivale ad assolvere, a sciogliere le tensioni psicocorporee, i nodi che ci legano alla visione passata e "patologica" della realtà.
- passaggio a miglior vita: alcune religioni indicano l'aldilà come il luogo in cui gli sforzi saranno premiati, in cui ogni desiderio sarà esaudito, a patto, beninteso, di aver condotto la propria vita in modo irreprensibile.
Promettere il paradiso alla fine di un'analisi o di una psicoterapia corporea è un'ovvia esagerazione. È realistico invece aspettarsi un miglior contatto con se stessi e con il mondo. Una migliore sintonia col flusso della vita, cogliendo opportunità di crescita laddove in passato vedevamo solo problemi, partecipando alla vita quotidiana come ad una ricerca personale (piuttosto che come ad una lotta sotto i vessilli di un falso Io, nella speranza di assicurarci una precaria sopravivenza in suo nome).
Il modello presentato necessita ovviamente maggiori approfondimenti, con riferimenti clinici più precisi che per motivi di spazio e di opportunità riservo ad una prossima pubblicazione.
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