Scrive Riccardo Venturini (Religioni e Società, n. 14 p. 123): «Il Buddismo ha sempre presente la sua vocazione "terapeutica" e indica una "pratica" che ha tutto il carattere di urgenza di un intervento medico che non consente indugi. Senza la pratica, l'adesione al Buddismo sarebbe una vuota dichiarazione, incapace di promuovere una vera trasformazione interiore». In ogni caso, oggi il Buddismo è considerato una delle grandi religioni universali e, in tutto il mondo, circa cinquecento milioni di persone dichiarano di appartenervi. Oltre dodici milioni di queste appartengono alla Soka Gakkai.
LE ORIGINI

Il Buddismo è una religione praticata da milioni di persone, principalmente in Oriente. Ha origine dagli insegnamenti di Siddharta Gautama, principe degli Shakya, una piccola tribù che viveva alle pendici dell’Himalaya.
Shakyamuni (lett. “il saggio degli Shakya”) nacque in una regione dell’India settentrionale, l’attuale Nepal, circa 2.500 anni fa.
Pur appartenendo a una famiglia regale, rinunciò ben presto ai privilegi del suo rango e intraprese una ricerca spirituale per trovare soluzione alle sofferenze umane. Alla fine, assorto in profonda meditazione, sperimentò un radicale risveglio, o illuminazione, arrivando a comprendere la vera natura della vita e della realtà umana.
Secondo la tradizione, da quel momento Shakyamuni viaggiò attraverso tutta l’India per circa quarant’anni condividendo con chiunque incontrasse la sua esperienza di saggezza illuminata e insegnando come trasformare la sofferenza, diventando noto come Budda, il “risvegliato”.
A differenza di altri fondatori di religioni, che fanno riferimento a modelli di perfezione ultraterreni o si considerano intermediari del volere divino, il Budda è un essere umano che ha condiviso con altri esseri umani la sua esperienza di comprensione profonda della vita realizzata attraverso l’automiglioramento, e ha indicato la via per acquisire la sua stessa saggezza e condizione vitale.
I suoi insegnamento sono stati raccolti e trascritti in sutra e si sono diffusi per tutta l’Asia dando origine a diverse scuole di Buddismo, generalmente caratterizzate dall’enfasi sulla pace e la compassione.
Shakyamuni (lett. “il saggio degli Shakya”) nacque in una regione dell’India settentrionale, l’attuale Nepal, circa 2.500 anni fa.
Pur appartenendo a una famiglia regale, rinunciò ben presto ai privilegi del suo rango e intraprese una ricerca spirituale per trovare soluzione alle sofferenze umane. Alla fine, assorto in profonda meditazione, sperimentò un radicale risveglio, o illuminazione, arrivando a comprendere la vera natura della vita e della realtà umana.
Secondo la tradizione, da quel momento Shakyamuni viaggiò attraverso tutta l’India per circa quarant’anni condividendo con chiunque incontrasse la sua esperienza di saggezza illuminata e insegnando come trasformare la sofferenza, diventando noto come Budda, il “risvegliato”.
A differenza di altri fondatori di religioni, che fanno riferimento a modelli di perfezione ultraterreni o si considerano intermediari del volere divino, il Budda è un essere umano che ha condiviso con altri esseri umani la sua esperienza di comprensione profonda della vita realizzata attraverso l’automiglioramento, e ha indicato la via per acquisire la sua stessa saggezza e condizione vitale.
I suoi insegnamento sono stati raccolti e trascritti in sutra e si sono diffusi per tutta l’Asia dando origine a diverse scuole di Buddismo, generalmente caratterizzate dall’enfasi sulla pace e la compassione.
LE SCRITTURE BUDDISTE
Shakyamuni, fondatore del Buddismo vissuto in India circa 2.500 anni fa, non lasciò opere scritte, visto che a quel tempo si privilegiava la trasmissione orale.
Ma anche con l'apparire della scrittura - gli esempi più antichi di scrittura indiana risalgono al III secolo a.C. - leggere significava salmodiare a voce alta. La lettura silenziosa è di più recente acquisizione e anche nella nostra cultura, in antichità e nel medioevo, non si leggeva solo con gli occhi ma anche con le labbra, di modo che le orecchie potessero ascoltare quella che era chiamata "la voce delle pagine". La codificazione degli insegnamenti del Budda avvenne dunque con il tempo. Il primo Concilio buddista, che si pensa abbia avuto luogo subito dopo la morte del Budda, non avrebbe lasciato documenti scritti contenenti i sermoni esposti da Shakyamuni durante i cinquanta anni della sua predicazione.
Quel Concilio potrebbe aver confermato solo la linea generale dell'insegnamento e non nella forma ufficiale dei sutra, ma in quella di brani e brevi discorsi. I discepoli ripetevano a memoria i sermoni che solo in seguito furono codificati nella forma di sutra (sutra in sanscrito, letteralmente indica il filo su cui si infilano i gioielli. In Pali si dice sutta e in giapponese kyo).
Al primo Concilio ne seguirono altri, e man mano si manifestarono figure di grandi studiosi i quali diedero vita a una serie di opere che commentavano e interpretavano le scritture buddiste.
La divisione delle scuole in Theravada (scuola degli anziani, termine corretto a differenza di Hinayana che presenta un significato dispregiativo) e Mahayana - e la conseguente divergenza sull'interpretazione delle scritture - ha posto gli studiosi di Buddismo (antichi e moderni) di fronte a una lunga serie di questioni circa l'esatta interpretazione del pensiero fondamentale del Budda.
Schematicamente, possiamo dire che nella scuola Theravada la categoria sutra (le scritture) dei testi canonici si sviluppa parallelamente a quella degli Abhidharma (opere esegetiche, commentari) e, forse, anche a quella dei Vinaya (regole di disciplina). Nel Mahayana invece vengono prima alla luce i sutra e più tardi appaiono filosofi e pensatori come Nagarjuna, Asanga, Vasubandhu che commentarono le opere e le idee mahayana.
Una delle principali critiche che vengono fatte a questa scuola è che i sutra mahayana non rispecchiano il pensiero originale del Budda. La querelle tra Theravada e Mahayana è piena di argomentazioni lunghe e complesse. In generale gli studiosi theravada erano inclini a una visione analitica e speculativa del mondo, mentre i mahayana cercavano di penetrare nella "realtà ultima", utilizzando forse più l'intuizione che la speculazione analitica.
Il Sutra del Loto è la scrittura mahayana che Nichiren Daishonin scelse come base del suo insegnamento. La traduzione in cinese - questo sutra arrivò in Giappone attraverso la Cina - che Nichiren Daishonin scelse tra tutte fu quella di Kumarajiva: «Soltanto Kumarajiva - scrive Nichiren - trasmise i sutra e gli altri scritti di Shakyamuni, il fondatore, senza intromettervi le proprie opinioni».
In Cina il Sutra del Loto fu studiato, commentato e praticato dal Gran maestro T'ien-t'ai (538-597 d.C.). Egli analizzò tutte le scritture buddiste arrivando alla conclusione che il Sutra del Loto è l'insegnamento più profondo e definitivo di Shakyamuni.
Nel sesto secolo d.C., attraverso la Corea, il Buddismo arrivò in Giappone. Il principe Shotoku (547-622 d.C.) unificò il paese dichiarando la supremazia del Sutra del Loto. In seguito Dengyo (767-822) insegnò la filosofia di T'ien-t'ai, risvegliando la fede nel Sutra del Loto che era andata perduta.
Trecento anni dopo Nichiren Daishonin (1222-1282), partendo dal Sutra del Loto e interpretandolo dal punto di vista della sua Illuminazione, stabilì la corretta pratica buddista per quel periodo chiamato Ultimo giorno della Legge che, iniziando nel suo tempo, si sarebbe protratto nell'infinito futuro.
IL SUTRA DEL LOTO
È considerato una delle scritture buddiste più importanti, che ha ampliamente influenzato la tradizione mahayana in tutta l’Asia orientale.
Si ritiene sia stato scritto tra il I e il II secolo d.C. Come molti altri sutra, si estese dall’India all’Asia Centrale, la Cina, la Corea e il Giappone. Giunto in Cina nel terzo secolo d.C. fu tradotto in numerose versioni di cinese, di cui quella di Kumarajiva (344-413 d.C.) è considerata particolarmente pregiata. Il suo messaggio centrale è che la Buddità – una condizione di felicità assoluta, libertà dalla paura e da tutte le illusioni – sia inerente a ogni forma di vita.
In particolare, in questo sutra viene dichiarato che tutti gli esseri viventi possiedono la natura di Budda e che non esistono categorie di persone che non possono ottenere la Buddità nella vita presente. Viene inoltre chiarito che il Budda non esiste in qualche luogo speciale e non è un essere soprannaturale, poiché la Buddità esiste da sempre perché è connaturata alla stessa vita dell’universo.
Nel ventitreesimo capitolo, in particolare, si legge l’invito a propagare l’insegnamento del Sutra del Loto nel futuro: «Dopo la mia estinzione, nell'ultimo periodo di cinquecento anni, dovrai diffonderlo in tutto il Jambudvipa e non permettere mai che (la sua diffusione) sia interotta, né dovrai permettere ai demoni malavagi, alla gente demoniaca, agli esseri celesti, ai draghi, agli yaksha o ai demoni kumbhanda di prendere il soravvento!» (Sutra del Loto, Esperia, 1997, p.386).
Il Gran maestro T’ien-t’ai – che dedicò tutta la sua vita allo studio e interpretazione del Sutra del Loto – aveva chiaramente indicato il Sutra del Loto come l’insegnamento definitivo e più alto del Budda.
Nichiren Daishonin (1222-1282) scelse il Sutra del Loto perché rappresenta il cuore dell’insegnamento di Shakyamuni. Nella traduzione cinese di Kumarajiva il titolo del Sutra del Loto è Myoho-renge-kyo che, secondo Nichiren, contiene l’essenza dell’intero sutra. Sulla base di questa profonda intuizione egli stabilì l’invocazione di Nam-myoho-renge-kyo quale fondamento della sua pratica buddista, che consente a ogni persona di manifestare la Buddità nella vita quotidiana.
NICHIREN DAISHONIN
Nichiren Daishonin è considerato un grande riformatore del Buddismo medievale giapponese. La sua dottrina si basa sul Sutra del Loto, predicato da Shakyamuni, e sugli insegnamenti dei filosofi T'ient-t'ai (538-597) e Dengyo (767-822).
Per risolvere la sofferenza umana
Nichiren nacque in Giappone nel 1222, un’epoca devastata da disordini sociali e disastri naturali che affliggevano la popolazione. Fin da ragazzo si domandava perché gli insegnamenti buddisti avessero perso il potere di far vivere le persone in modo felice e realizzato, e decise di trovare una risposta. A sedici anni divenne monaco, dedicandosi totalmente agli studi buddisti. L’approfondimento dei sutra lo convinse che il Sutra del Loto contenesse l’essenza dell’illuminazione di Shakyamuni e la chiave per trasformare la sofferenza umana e far fiorire la società.
L’essenza del Buddismo di Nichiren
Il Sutra del Loto afferma che tutte le persone, indipendentemente dal genere, dalle capacità individuali e dalla condizione sociale posseggono intrinsecamente le qualità di un Budda e sono dunque altrettanto degne del massimo rispetto.
Basandosi sullo studio del Sutra del Loto Nichiren stabilì che l’invocazione del titolo del sutra Myoho-renge-kyo preceduto dal termine Nam (in sanscrito “dedicarsi”) fosse la pratica universale che consentiva a tutti di manifestare la Buddità inerente alla loro vita e di ottenere la forza e la saggezza per superare ogni avversità. Egli vide in questo sutra un veicolo per la realizzazione di tutte le persone, chiarendo che ogni essere umano può ottenere l’Illuminazione e vivere felicemente nella vita presente.
Le persecuzioni
Nichiren era molto critico nei confronti delle altre scuole buddiste dell’epoca, considerandole funzionali agli interessi della classe dirigente perché di fatto incoraggiavano la passività della popolazione. Egli richiamava la classe dirigente ai propri doveri, ricordando che aveva la responsabilità della sofferenza della gente e dunque anche quella di trovare una soluzione. L’idea che lo stato esistesse per il bene del popolo era rivoluzionaria per l’epoca.
Nichiren a Sado, incisione di Ichiyusai Kuniyoshi, 1831
Per questo egli fu vittima di assalti e persecuzioni anche molto violente da parte del governo militare e delle scuole buddiste più potenti, ma rifiutò sempre di indietreggiare e di negare i suoi principi.
Il suo lascito sta nell’instancabile lotta per la felicità di tutte le persone e nel desiderio di costruire una società che rispetti la dignità e il potenziale di ogni singola esistenza.
L'EREDITÀ DI NICHIREN DAISHONIN
Di questa opera è stato utilizzato il materiale selezionato per una serie in trentacinque puntate sulla storia della scuola Fuji apparsa sulla rivista della Soka Gakkai francese Cap sur La Paix.
Tutto quello che non è diversamente specificato in nota deriva da quell'opera monumentale. Per quanto riguarda la storia giapponese abbiamo usato diversi manuali e articoli storici, tra i quali: Roger Bersihand, Storia del Giappone, Cappelli 1961; Edwin O. Reischauer, Storia del Giappone, Rizzoli 1974; Ian Reader, Japanese Religion, past and present, Japan Library 1993.
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