Documenti di Giovanni di Nikiu attestarono che Papa Giulio Idi Roma promosse (350 d.C. circa) la data della Natività di Cristo al 25 dicembre, basandosi sui censimenti storici della Palestina, portati a Roma dallo storico Tito Flavio Giuseppe nel 90 d.C. Tuttavia, oltre al fatto che tale data fu istituita per assorbire il rito pagano del Sol Invictus, la separazione tra la ricorrenza della adorazione dei Magi nella Natività e la ricorrenza del Battesimo di Gesù fu probabilmente fatta per non accavallare le date dei pellegrinaggi che partivano per il fiume Giordano e contemporaneamente presso Betlemme. Comunque, le considerazioni di Giovanni di Nikiu influenzarono Cirillo di Alessandria d’Egitto, per cui anche le prime comunità Copte cominciarono a celebrare la Natività il giorno 25 dicembre. Il Vangelo secondo Matteo è l'unica fonte cristiana canonica a descrivere l'episodio. Secondo il racconto evangelico, i Magi, al loro arrivo a Gerusalemme, per prima cosa, fecero visita a Erode, il re della Giudea romana, domandando dove fosse 'il re che era nato', in quanto avevano 'visto sorgere la sua stella'. Erode, mostrando di non conoscere la profezia dell'Antico Testamento (Michea 5,1), ne rimase turbato e chiese agli scribi quale fosse il luogo ove il Messia doveva nascere. Saputo che si trattava di Betlemme, li inviò in quel luogo esortandoli a trovare il bambino e riferire i dettagli del luogo dove trovarlo, 'affinché anche lui potesse adorarlo' (2,1-8). Guidati dalla stella, essi arrivarono a Betlemme e giunsero presso il luogo dove era nato Gesù, prostrandosi in adorazione e offrendogli in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non ritornare da Erode, fecero ritorno alla loro patria per un'altra strada (2,9-11). Scoperto l'inganno, Erode s'infuriò e mandò ad uccidere tutti i bambini di Betlemme di età inferiore ai due anni, dando luogo alla Strage degli innocenti (2,16-18), ma Giuseppe, avvertito anticipatamente in sogno, fuggì in Egitto (2,13-14) con la famiglia. Il passo di Matteo non fornisce il numero esatto dei Magi ma la tradizione più diffusa, basandosi sul fatto che vengono citati tre doni, parla di tre uomini. In realtà, il testo greco non ne indica né il numero né tantomeno i nomi; parla solo di "Magi dall'Oriente" (μαγοι απο ανατολων, magoi apo anatolōn). Il testo non specifica neanche l'intervallo di tempo trascorso tra la nascita di Gesù e l'arrivo a Betlemme dei Magi. Dal vangelo secondo Luca sappiamo che Giuseppe, Maria e Gesù rimasero a Betlemme almeno 40 giorni, cioè sino alla Presentazione al Tempio. Secondo alcuni autori che hanno proposto l'armonizzazione degli eventi raccontati dai Vangeli, la visita dei Magi e l'immediatamente successiva fuga in Egitto dovrebbero aver avuto luogo dopo questo evento (al termine del quale la famiglia di Gesù sarebbe rientrata a Betlemme), in contrasto con la tradizione liturgica, che lascia solo dodici giorni fra Natale ed Epifania. È stato anche ipotizzato che la visita dei Magi sia avvenuta a Nazaret: essi si sarebbero recati a Betlemme, ma non vi avrebbero trovato Gesù, già ripartito con i suoi; usciti dalla città, sarebbero stati guidati dalla stella fino a Nazaret. L’esegesi storico-critica, a partire dal XIX secolo, ha proposto dei criteri per distinguere i fatti storici probabilmente accaduti da altri racconti creati dalle primitive comunità cristiane o dagli evangelisti stessi. In questa prospettiva, un gran numero di biblisti contemporanei sottolinea che, nel caso di Mt 2, non ci si trova di fronte ad una cronaca, ma ad una composizione didascalica, midrashica: una "costruzione" letteraria che è stata pensata per fornire un insegnamento. Chi avrebbe scritto e redatto la "novella teologica" dei Magi a Betlemme aveva alle spalle "storie" simili nelle letterature religiose del tempo, e soprattutto aveva alle spalle una evidenza inconfutabile: Gesù, considerato l'inviato di Dio, fu respinto dal potere sia politico sia religioso. E se i maestri del Giudaismo, in larga misura, avevano rifiutato Gesù, lo avevano accolto persone che, per lo più, erano marginali, senza "titoli" particolari. Con un procedimento letterario chiamato retroproiezione, dunque, l’evangelista avrebbe collocato all'inizio della vita di Gesù ciò che sarebbe poi successo durante tutti gli anni della sua esistenza: in Erode e nell’ambiente di Gerusalemme il racconto vede l'opposizione del potere politico e religioso, mentre i Magi che "vennero da lontano" sarebbero i rappresentanti di tutte quelle persone che "vengono da lontano", che a quel tempo erano guardate con sospetto. Il testo evangelico, infatti, mostra chiaramente che i Magi sono dei "gentili" (non ebrei): gli studiosi Raymond Brown e Ortensio da Spinetoli, tra gli altri, fanno notare come nel racconto i Magi si rivolgano agli Ebrei in veste di stranieri e non sembrino conoscere le Sacre Scritture ebraiche. Gli studiosi più legati alla tradizione ritengono che l'avvenimento sia storicamente accaduto, tuttavia fanno notare che non si tratta di un aspetto centrale della fede cristiana, pertanto, anche se fosse un fatto leggendario con un significato teologico, per il credente non cambierebbe nulla. In alcune versioni meno recenti delle Scritture, ad esempio la Bibbia di re Giacomo, i Magi sono indicati come Uomini Saggi, un termine arcaico per indicare i maghi o magi, con il carattere di filosofi, scienziati e personaggi importanti. Nella Bibbia di re Giacomo, lo stesso termine greco magos che nel Vangelo secondo Matteo viene tradotto con "saggio", è reso con "stregone" negli Atti degli Apostoli (episodio di "Elimas il mago", Atti 13). Lo stesso termine greco identifica anche Simon Mago in Atti 8. Oggi il significato più profondo è ormai dimenticato e, quindi, tutte le traduzioni moderne usano il termine di derivazione greca, magi. In Erodoto la parola magoi era associata a personaggi dell'aristocrazia della Media ed, in particolare, ai sacerdoti astronomi della religione zoroastriana, che erano anche ritenuti capaci di uccidere i demoni e ridurli in schiavitù. Poiché il passo di Matteo implica che fossero dediti all'osservazione delle stelle, la maggioranza dei commentatori ne conclude che il significato inteso fosse quello di "sacerdoti di Zoroastro", e che l'aggiunta "dall'Oriente" ne indicasse naturalmente l'origine persiana. Addirittura, la traduzione dei Vangeli di Wycliffe parla direttamente di "astrologi", non di "saggi". Nel XIV secolo la distinzione tra astronomia e astrologia non era ancora riconosciuta, e le due discipline cadevano entrambe sotto la seconda denominazione. Anche se il sostantivo maschile magi (μαγοι) è stato usato un paio di volte in riferimento a una donna (nell'Antologia Palatina e in Luciano), l'appartenenza alla classe dei magi era riservata ai maschi adulti. Gli antichi magi erano persiani, e poiché i territori ad oriente della Palestina biblica coincidevano con l'impero persiano, ci sono pochi dubbi sull'origine etnica e sulla religione di appartenenza dei personaggi descritti nel vangelo di Matteo. Si noti come il termine magi sia una traduzione artificiosa atta ad evitare il termine piuttosto sgradevole di maghi che indicava i ciarlatani e gli imbroglioni. Se è vero che il brano evangelico non riporta il numero esatto dei Magi, la tradizione popolare cristiana li ha spesso identificati come i tre saggi o i tre re e ha assegnato loro i nomi di Melchiorre, Baldassarre e Gaspare.
Esistono comunque tradizioni alternative che portano i magi in visita a Gesù in numero minore (due) o maggiore (fino a dodici). Fin dai primi secoli del Cristianesimo ai Magi sono stati associati gli atteggiamenti positivi della ricerca della luce spirituale e del rifiuto delle tenebre: addirittura si riteneva che con la loro opera avessero contribuito a cacciare i demoni verso gli Inferi. E, poiché erano sacerdoti, sebbene zoroastriani, seguendo la stella e raggiungendo il neonato re di Israele, lo avrebbero anche riconosciuto come dio, anzi, come l'unico Dio venerato anche dalla rivelazione zoroastriana. Quindi i Magi sarebbero arrivati presso la mangiatoia di Betlemme con piena coscienza dell'importanza religiosa e cosmica della nascita del Cristo. In effetti, per il Vangelo di Matteo i Magi sarebbero stati le prime autorità religiose ad adorare il Cristo e quindi, dei tre doni che essi portavano con sé, da questo punto di vista, il più importante era l'ultimo, la mirra. Si tratta di una pianta medicinale da cui si estrae una resina gommosa, che veniva mescolata con oli per realizzare unguenti a scopo medicinale, cosmetico e anche religioso: la parola Cristo significa proprio unto, consacrato con un simbolico unguento, un crisma, per essere re, guaritore e Messia di origine divina. Per tutte queste ragioni, il racconto dei Magi gode di un particolare rispetto presso le popolazioni cristiane. Nel calendario liturgico dei cattolici e di altre Chiese cristiane, la visita dei Magi a Gesù bambino viene commemorata nella festa dell'Epifania, il 6 gennaio. La Chiesa ortodossa e altre Chiese di rito orientale (che nell'Epifania ricordano il Battesimo di Cristo nel Giordano) commemorano la venuta dei Magi nel giorno stesso del Natale. Il tema è ricorrente nelle rappresentazioni artistiche e letterarie di ispirazione cristiana sotto il nome di Adorazione dei Magi. A partire dalle poche informazioni neotestamentarie, la tradizione cristiana ha arricchito la storia dei magi di molti dettagli. Una delle evoluzioni più rilevanti è il passaggio dalla condizione di astrologi a quella di re. L'opinione più accreditata è che si tratti di un richiamo alle profezie dell'Antico Testamento che parlano dell'adorazione del Messia da parte di alcuni re (Isaia 60:3, Salmi 72:10 e 68:29). I primi esegeti avrebbero, dunque, reinterpretato il passo di Matteo alla luce di queste profezie elevando i Magi al rango di re. Il biblista Mark Allan Powell rifiuta però questa interpretazione, sostenendo che l'idea di un'autorità regale dei Magi è di molto successiva, addirittura posteriore a Costantino, e strumentale alla giustificazione del ruolo dei monarchi cristiani. Già dal 500, comunque, tutti i commentatori adottarono la versione più diffusa che parlava di tre re, che non venne messa in discussione fino alla Riforma protestante. Un'ulteriore evoluzione vuole che i Magi provenissero da paesi lontani posti nei tre continenti allora noti (Europa, Asia e Africa), a significare che la missione redentrice di Gesù era rivolta a tutte le nazioni del mondo. Per questo motivo i tre re sono raffigurati in genere come un bianco, un arabo e un nero. In un inno religioso del poeta iberico Prudenzio, della fine del IV secolo, si ritrova già l'interpretazione medievale dei doni come emblemi profetici dell'identità di Gesù, ripresa anche in canti popolari molto più tardi (ad es. "We Three Kings" di John Henry Hopkins, Jr., 1857). L'incenso, che veniva usato nel tempio, indica il sacerdozio di Gesù; l'oro ne indica la regalità; la mirra, usata nella preparazione dei corpi per la sepoltura, indica l'espiazione dei peccati attraverso la morte. Nei primi secoli dell’èra cristiana furono scritti altri antichi testi significativi sui Magi: l’Opus imperfectum in Matthaeum (opera latina anteriore al secolo VII),La Vita di Adamo ed Eva, il Libro della rivelazione di Adamo al figlio Seth trovato nella biblioteca gnostica copta di Nag Hammadi nel 1945, Il Protocollo Etiopico di San Giacomo, Il Vangelo degli ebrei e Nazareth e La Caverna dei Tesori, quest‘ultimo un importante testo siriaco del VI secolo. Il Libro della Caverna dei Tesori per la prima volta rappresenta i Magi come Caldei e li definisce "re e figli di re". Attorno ai Magi nasce poi anche il culto del Fuoco sacro di cui testimoniano un manoscritto uigurico di origine siriaca-nestoriana scoperto a Turfan, l'Evangelo arabo dell'Infanzia (capp. VII-VIII) che è un vangelo apocrifo, l'etiopico Liber Nativitatis Mariae Virginis ("Libro della Natività di Maria Vergine"), Il Milione di Marco Polo (capp. XXII-XXIII). Anche se non è citato nel Corano, il racconto dei Magi era ben conosciuto in Arabia. L'enciclopedista arabo al-Tabari, nel IX secolo, riferisce dei doni portati dai Magi attribuendo loro il simbolismo che ci è usuale e citando come fonte lo scrittore del VII secolo Wahb ibn Munabbih. Marco Polo afferma di aver visitato le tombe dei Magi nella città di Saba, a sud di Teheran, intorno al 1270: "In Persia è la città ch'è chiamata Saba, da la quale si partiro li tre re ch'andaro adorare Dio quando nacque. In quella città son soppeliti gli tre Magi in una bella sepoltura, e sonvi ancora tutti interi con barba e co' capegli: l'uno ebbe nome Beltasar, l'altro Gaspar, lo terzo Melquior. Messer Marco dimandò più volte in quella cittade di quegli III re: niuno gliene seppe dire nulla, se non che erano III re soppelliti anticamente." (Il Milione, cap. 30). Quella di Marco Polo non è tuttavia l'unica testimonianza sul luogo di sepoltura dei Magi. Nel transetto della basilica romanica di Sant’Eustorgio a Milano si trova la “cappella dei Magi”, in cui è conservato un colossale sarcofago di pietra (vuoto), risalente al tardo Impero Romano: la tomba dei Magi. Secondo le tradizioni milanesi, la basilica sarebbe stata fatta costruire dal vescovo Eustorgio intorno all’anno 344: la volontà del vescovo era quella di esservi sepolto, dopo la sua morte, vicino ai corpi dei Magi stessi. Per questo motivo, con l’approvazione dell’imperatore Costante avrebbe fatto giungere i loro resti dalla basilica di Santa Sofia a Costantinopoli (dove erano stati portati alcuni decenni prima da sant'Elena, che li aveva ritrovati durante il suo pellegrinaggio in Terra Santa). Nel 1162 l’imperatore Federico Barbarossa fece distruggere la chiesa di Sant'Eustorgio (come pure gran parte delle mura e degli edifici pubblici di Milano) e si impossessò delle reliquie dei Magi. Nel 1164 l'arcicancelliere imperiale Rainaldo di Dassel, arcivescovo di Colonia ne sottrasse i corpi e li trasferì, attraverso Lombardia, Piemonte, Borgogna e Renania, fino al duomo della città tedesca, dove ancora oggi sono conservate in un prezioso reliquiario. Ai milanesi rimase solo la medaglia fatta, sembra, con parte dell'oro donato dai Magi al Signore, che da allora venne esposta il giorno dell'Epifania in Sant'Eustorgio accanto al sarcofago vuoto. Negli anni successivi Milano cercò ripetutamente di riavere le reliquie, invano. Né Ludovico il Moro nel 1494, né Papa Alessandro VI, né Filippo II di Spagna, né Papa Pio IV, né Gregorio XIII, né Federico Borromeo riuscirono a far tornare le spoglie in Italia. Solo nel ventesimo secolo Milano riuscì ad ottenere una parte di quello che le era stato tolto: il 3 gennaio del 1904, infatti, il cardinal Ferrari, Arcivescovo di Milano, fece solennemente ricollocare alcuni frammenti ossei delle spoglie dei Magi (due fibule, una tibia e una vertebra), offerti dall'Arcivescovo di Colonia Fischer, in Sant'Eustorgio. Furono posti in un'urna di bronzo accanto all'antico sacello vuoto con la scritta “Sepulcrum Trium Magorum” (tomba dei tre Magi). Ancora oggi molti luoghi in Italia, Francia, Svizzera e Germania si fregiano dell'onore di avere ospitato le reliquie durante il tragitto delle spoglie dei Magi da Milano a Colonia e in molte chiese si trovano ancora frammenti lasciati in dono. La testimonianza di questo passaggio si trova anche nelle insegne di alberghi e osterie tuttora esistenti, come «Ai tre Re», «Le tre corone» e «Alla stella».Nella cattedrale della città tedesca di Colonia è dunque conservata l'arca che conterrebbe, secondo la tradizione, le reliquie dei Magi, dopo che Federico Barbarossa ordinò al suo consigliere Reinald von Dassei, che era anche arcivescovo di Colonia, di portarle in Germania dopo la conquista di Milano nel 1164 al fine di rafforzare il prestigio della corona imperiale. Da allora le reliquie riposano a Colonia in un'arca preziosa d'argento dorato, fatta confezionare dal successore di Reinald, Filippo di Heinsberg, nella chiesa di San Pietro, trasformata successivamente nella cattedrale gotica di Colonia. Tuttavia a Milano il culto dei Magi rimase vivo. Il cronista Galvano Fiamma racconta nel 1336 che si celebrava ancora un corteo dei Magi a cavallo attraverso la città. Una versione ben nota del dettagliato racconto è quella contenuta nella Historia Trium Regum (Storia dei tre re) del chierico del XIV secolo Giovanni di Hildesheim. Per spiegare la presenza a Colonia delle reliquie mummificate dei saggi orientali, inizia il racconto dal viaggio a Gerusalemme compiuto da Sant'Elena, madre di Costantino I, durante il quale ella recuperò la Vera Croce ed altre reliquie:
« La regina Elena [...] cominciò a pensare grandemente ai corpi di quei tre re, e si schierò e con un largo seguito si recò nella terra dell'Indo [...] quand'ebbe trovato i corpi di Melchiorre, Baldassarre e Gaspare, la regina Elena li mise in uno scrigno che ornò di grandi ricchezze, e li portò a Costantinopoli [...] e li pose in una chiesa chiamata Santa Sofia. » |
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