sabato 24 gennaio 2015

10 comandamenti

Interpretazioni dei dieci comandamenti nell'esegesi ebraica

I comandamenti si iscrivono nella teologia dell'alleanza che Dio fa con il popolo d'Israele secondo la quale nelle due Tavole della legge scritte da Dio e presentate a Mosè essi sono scritti cinque in una, quella che concerne il rapporto che l'Ebreo ha con Dio, e cinque nella seconda, dove sono iscritti quelli riguardanti il rapporto tra l'uomo ed il suo prossimo; l'esegesi ebraica afferma che i primi cinque corrispondono agli altri cinque spiegandone le analogie; ad esempio il quinto viene a costituire la fede in Dio poiché i genitori sono da Lui assistiti per la discendenza: secondo la Qabbalah essi sono anche ispirati per la scelta dei nomi dei figli. I primi due comandamenti furono ascoltati dal popolo ebraico direttamente dalla "bocca" di Dio mentre gli altri vennero poi trasmessi da Mosè: infatti mentre nei primi due il comando è indirizzato utilizzando la seconda persona nei successivi invece ci si riferisce a Dio utilizzando la terza persona proprio ad indicare la trasmissione degli stessi tramite Mosè.
Trasmessa a Mosè, la Torah riporta due versioni dei Dieci comandamenti ricevuti dal capo dei profeti ed impartiti a tutto il popolo d'Israele.
I Dieci Comandamenti sono la sintesi e l'essenza di tutti i 613 precetti: il numero delle lettere ebraiche dei Dieci Comandamenti è infatti 620, numero che include i 613 precetti dellaTorah ed i Sette precetti Noachici. Sia le seconde tavole che le prime, queste ultime rotte da Mosè, sono contenute nell'Arca dell'alleanza.
  • Le prime due Tavole rotte da Mosè, fatto poi approvato da Dio, vennero date nel giorno celebrato dal popolo ebraico con la festività ebraica di Shavuot; le seconde Tavole, ricevute nuovamente sempre da Mosè per tutti gli Ebrei di sempre, vennero invece donate durante Yom Kippur, giorno di Teshuvah, espiazione e perdono dei peccati.
  • Le seconde tavole riportano 17 parole in più delle prime tavole ed in Ghimatriah 17 è il valore di tovbene: טוב.
  • Chaim Luzzatto ricorda che la parola ebraica che traduce quella italiana incise, חרות,Charut, può essere letta come Cherutlibertà, insegnando infatti che col dono della Torah, da cui il versetto 32.16: la scrittura di Dio fu incisa sulle tavolette, gli Ebrei furono liberi dall'angelo della morte e liberi dalla servitù alle Nazioni (Talmud, Eruvin54b; Zohar II 46a, 114a).
  • Secondo Rashi il versetto prima della proclamazione dei Dieci Comandamenti Dio parlò tutte queste parole dicendo sottolinea come Dio disse tutti i Dieci Comandamenti in una sola espressione unitaria e solo in seguito, sempre nella stessa occasione, vennero rivelati uno ad uno.
  • La suddivisione dei Dieci Comandamenti nelle Due Tavole è dovuta alla simbologia corrispondente del Cielo e della Terra, dello sposo e della sposa e della Torah scrittarispetto alla Torah Orale.
  • I Dieci Comandamenti erano incisi sulle Tavole da una parte all'altra cosicché si potessero leggere sia davanti sia sul retro: miracolosamente si leggevano allo stesso modo su entrambi i lati. A proposito di ciò si manifestò un altro miracolo: alcune lettere dell'alfabeto ebraico presentano un vuoto al loro interno ma la pietra all'interno delimitata dall'incisione in tutto il proprio perimetro restava sospesa miracolosamente.
  • Le tavole vennero incise dalla luminescenza della parola divina.
  • La pietra delle Tavole della Legge era così preziosa che se Mosè l'avesse utilizzata per denaro sarebbe divenuto l'uomo più ricco: ma è preferibile fare qualcosa in nome del Cielo con un fine religioso anziché usufruire della stessa cosa, destinata ad avere un uso ed un significato sacri, per un uso profano o materiale; secondo alcuni commentatori la pietra era infatti di zaffiro. Le prime tavole vennero forgiate da Dio mentre Mosè intagliò le seconde.
  • Le Tavole della Legge su cui vennero scritti i Dieci Comandamenti e la stessa scrittura sono alcune delle cose create da Dio al crepuscolo prima dello Shabbat dei primi giorni della Creazione.
  • I Dieci Comandamenti (ebr עשרת הדיברות) corrispondono alle Dieci Espressioni con cui venne fatta la Creazione, sia luce...ci sia un firmamento..., ecc. I maestri insegnano infatti che anche la Creazione sorse all'esistenza tramite la Parola di Dio.
  • Importante l'affermazione rabbinica secondo la quale tutti gli Ebrei assistettero all'evento terribile del monte Sinai, anche le anime degli Ebrei che dovevano ancora nascere.
  • Alla proclamazione di ogni comandamento l'anima degli Ebrei viventi presenti ai piedi del monte Sinai li abbandonava per la grandezza della rivelazione di Dio e della Torah, in seguito essa tornava rianimandoli: ciò successe appunto per ogni Comandamento.
  • Nel Talmud si pone la domanda di come sia possibile che Dio abbia potuto incidere la scrittura sulla Tavole della Legge e si risponde con un racconto che afferma come Rabbi Akiva, all'inizio del suo avvicinamento alla Sapienza della Torah avvenuto all'età di quarant'anni, si disse che se l'acqua, se versata poco a poco, può sciogliere la pietra e formarvi una cavità, così lo studio della Torah avrebbe potuto ritemprare e cambiare completamente nel bene e nella santità il suo cuore fatto di carne e sangue. 


Interpretazione dei 10 comandamenti oggi, alla luce della nuova coscienza 
morale.
Oggi sappiamo che i Dieci Comandamenti, così come sono riportati dai libri mosaici, sono intrecciati con la storia dei popoli circonvicini. Tentativi analoghi, in cui si intuisce un duro confronto con la storia, si riscontrano anche in ambito assiro. Ciò nonostante, gli influssi reciproci non spiegano da soli la forma che questa legge ha assunto e che si è cristallizzata nella redazione scritta. Qui si scorge il profilo dell'uomo che, toccato da Dio, ispirato dal tocco dell'amicizia divina, riesce a dare forma alla volontà di Dio, che fino a quel momento era presente in altre tradizioni solo in maniera frammentaria, una forma in cui possiamo davvero percepire la parola di Dio.
Se davvero sono mai esistite queste tavole di pietra, è un'altra questione. Lei sa che Mosè, secondo la narrazione biblica, in preda alla collera spezzò dapprima queste tavole e quindi ricevette delle tavole sostitutive. Quello che conta è che in questa vicenda Dio stesso si faccia riconoscere davvero, tramite il suo amico, in maniera vincolante. Da questo punto di vista questa mediazione è qualcosa di più che riflessione umana o anche sensibilità umana per il messaggio della creazione. Sono validi. Abbiamo già parlato di un comandamento che, grazie all'incontro con Cristo, assume, per così dire un volto nuovo e viene compreso diversamente: «Non ti farai idolo né immagine alcuna». Questo comandamento acquista un nuovo significato nel momento in cui Dio stesso propone una propria immagine di sé. Da questo punto di vista i Comandamenti non sono definiti una volta per tutte, solo con Cristo acquistano la loro forma definitiva.
Anche il comandamento relativo all'osservanza di shabbath, che rimanda al racconto della creazione, conserva validità sostanziale ma acquista una nuova forma nel momento in cui il giorno della Risurrezione di Cristo diventa il vero giorno dell'Alleanza. Lungo il percorso che si snoda da shabbath alla domenica, questo comandamento acquista anche un nuovo spessore, una nuova profondità.
In questo senso, quelle dei Comandamenti non sono parole meccanicamente conchiuse ma, trasfigurate dalla luce di Cristo, vi acquistano la loro forma definitiva. Nel loro nucleo sostanziale, però, sono e rimangono valide.  Ci sono due versioni, una nel libro dell'Esodo e l'altra nel Deuteronomio. Si distinguono per sottigliezze esteriori, ma in sostanza sono identiche - e ovviamente non sono "a disposizione" dell'uomo.

Quando Mosè torna dalla montagna sacra, sorprende il popolo mentre danza attorno al famoso vitello d'oro. Pieno di collera per l'atto idolatrico, Mosè distrugge le tavole. Solo i leviti, i discendenti di Levi, che costituiranno poi la casta sacerdotale, si schiereranno con lui e si metteranno dalla parte di Dio. «Passate e ripassate nell'accampamento da una porta all'altra», ordina Mosè, «uccida ognuno il proprio fratello, ognuno il proprio amico, ognuno il proprio parente».
La storia dei Dieci Comandamenti è quindi iniziata in sostanza con un enorme sacrilegio commesso in violazione del quinto comandamento: «Non uccidere». Mosè avrebbe dovuto saperlo. Veramente è iniziata ancora prima, con la profanazione del primo comandamento, quello portante: Non adorerai dei stranieri.
L'uomo trova il suo equilibrio se riconosce Dio come Dio e vive nella sua adorazione. Precipita nella distorsione, nella perversione della sua esistenza se riserva la sua adorazione a qualcosa che non è Dio. Se si costruisce degli idoli e quindi, in ultima analisi, adora se stesso. Nell'episodio del vitello d'oro, il popolo è consumato da questo sacrilegio di base e interiormente deformato. Si è consegnato alla morte. Perché allontanarsi da Dio, che è la fonte della vita, significa allontanarsi dalla vita stessa.
La vicenda cui fa riferimento è di una crudeltà inaudita e stentiamo a comprenderla. Anche in questo caso dobbiamo spingere in avanti il nostro sguardo, fino a Cristo, che si comporta in maniera opposta. Lui non uccide gli altri, prende su di sé la morte. Ma nell'ora storica del Sinai Mosè porta per così dire a compimento ciò che è già nei fatti: sono gli altri ad avere pervertito la loro stessa esistenza. In che misura quest'episodio vada preso alla lettera, è un'altra questione. Il popolo d'Israele continua ad esistere. L'episodio esprime simbolicamente la condizione di chi, alienandosi da Dio, abbandona non solo l'Alleanza ma anche la sfera della vita, distrugge la propria vita ed entra nella sfera della morte. 

IL PRIMO COMANDAMENTO
«Io sono il Signore, tuo Dio:
non avrai altri dei di fronte a me»

A ben guardare, la danza attorno al vitello d'oro forse non è mai stata, in tutta la storia dell'umanità, così selvaggia e orgiastica come oggi.

Oggi non ci sono dei che vengano esplicitamente definiti come tali, ci sono però forze davanti a cui l'uomo si inchina. Il capitale è una di queste forze, e la proprietà in generale. O anche l'ambizione. Il vitello d'oro è da molti punti di vista di grande attualità nel mondo occidentale. Il rischio esiste.
Ma c'è dell'altro. Sempre più spesso si tende a cancellare il volto del Dio unico. Questo avviene ogni qualvolta diciamo che in sostanza tutti gli dei si riferiscono a un solo Dio. Ogni cultura ha le sue forme espressive particolari e non ha poi così grande importanza se si intende Dio come persona o se ci si riferisce a un Dio impersonale, se lo si chiama Giove, Shiva o in qualche altro modo. E si dimostra sempre più di non prendere sul serio Dio. Di essersi allontanati da Dio e di rivolgersi ormai soltanto ai riflessi di noi stessi.
Vediamo che, nel momento in cui l'uomo accantona Dio, le tentazioni dell'idolatria si fanno più forti. In questo momento il grosso rischio che ci sta di fronte consiste nel considerare Dio come superfluo. È così lontano, si dice, e adorarlo pare non sortire a nulla. Quello a cui prestiamo poca attenzione è che se demoliamo il pilastro su cui poggia l'ordine dell'esistenza umana, l'uomo si disintegrerà sempre più.

IL SECONDO COMANDAMENTO
«Non pronunzierai invano il nome del Signore, tuo Dio»

Ci si chiede comunque: se Dio è così grande, perché non si dimostra superiore alle mie piccole bestemmie, all'empietà di un minuscolo verme terrestre?

Il punto non è se siamo in grado di arrecare in qualche modo un'offesa a Dio per cui lui si debba vendicare. Si tratta invece di preservare ordine ed equilibrio esistenziale. Nel momento in cui disonoriamo Dio, deformiamo il suo volto e lo rendiamo così inaccessibile al mondo da non essere più in grado di illuminarci, anche la luce dell'uomo si spegne.
Martin Buber ha detto una volta che di nessuna parola si è mai abusato così tanto come del nome di Dio. Questa parola sarebbe stata così insozzata e stravolta da non essere più utilizzabile. Penso, così continuava, che non possiamo tuttavia evitare e ignorare questa parola, ma dobbiamo tentare di raccoglierla da terra con devozione e di ripulirla.
Si pensi soltanto alla scritta «Gott mit uns» (Dio con noi) incisa sul cinturone dei militari tedeschi all'epoca della dittatura nazista. Mentre apparentemente si rendeva omaggio a Dio, in realtà se ne abusava per i propri scopi.
Ma ogni singolo abuso del nome di Dio, ogni contraffazione del volto di Dio tale da renderlo irriconoscibile lascia dietro di sé sporcizia e tracce enormi. La grande forza dell'ateismo o il rifiuto e l'indifferenza nei confronti di Dio sarebbero inspiegabili senza questi abusi del nome di Dio. Il suo volto è stato stravolto a tal punto che l'uomo è stato costretto a distogliere lo sguardo. Da questo punto di vista sono risultate evidenti da tempo le terribili conseguenze che comporta la violazione di questo comandamento.

IL TERZO COMANDAMENTO
«Ricordati del giorno di sabato per santificarlo»

Molti amano la domenica e godono della sua diversità, altri pensano solo a fare spese senza soste, a lavorare, e a inebetirsi nell'assordante fragore di una quotidianità superficiale e dispersiva. Ma forse abbiamo anche dimenticato la vera funzione e il vero significato della domenica.

Lo Shabbath è introdotto nel racconto della creazione come un tempo che l'uomo consacra a Dio. Nel contesto del Decalogo è inoltre il segno dell'Alleanza con il suo popolo. L'idea originaria di Shabbath è quindi un'anticipazione della libertà e dell'uguaglianza per tutti.
Di Shabbath anche lo schiavo non è più uno schiavo, anche per lui vale la legge del riposo. Nella tradizione ecclesiastica questo è sempre stato uno degli aspetti principali. Per quanto riguarda i liberi, la loro attività non era lavoro nel senso proprio del termine e poteva essere continuata. Un altro punto importante è che in questo giorno l'intera creazione deve poter riposare. In origine questo comandamento veniva fatto valere anche per gli animali.
Oggi l'uomo vorrebbe poter disporre completamente ed esclusivamente del suo tempo. Abbiamo in effetti dimenticato quanto sia importante permettere a Dio di entrare nel tempo e utilizzare il tempo non solo come materia di cui possiamo disporre per i nostri interessi. Si tratta di uscire dalla logica dell'utilitarismo e del pragmatismo per dedicarci agli altri e a noi stessi.
Abbiamo già accennato alla nuova forma che lo Shabbath assume con la Risurrezione di Cristo. Si identifica ora con l'alba in cui il Risorto è apparso ai suoi, in cui noi ci raduniamo con lui, in cui lui ci invita a sé a farci partecipi del giorno dell'adorazione e dell'incontro con Dio, in cui lui si fa incontro a noi e ci cerca e noi possiamo cercarlo.

IL QUARTO COMANDAMENTO
«Onora tuo padre e tua madre,
perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese
che ti dà il Signore, tuo Dio»

Questo comandamento, in effetti, è la Magna Charta della famiglia. Qui viene codificato l'ordine fondamentale. La cellula essenziale della socialità e della società, ci dice quest'ordine, è la famiglia, sono i genitori e i figli. E solo in quest'ordinamento di base possono essere esercitate le virtù umane. Solo in questo contesto matura un rapporto corretto tra i generi e tra le generazioni.
Il comandamento racchiude da un lato la missione educativa, che significa educare l'altro alla libertà perché possa imparare le sue leggi interne, perché impari ad essere un uomo. In questo contesto l'obbedienza è al servizio di questo training alla libertà. E viceversa dai ragazzi ci si aspetta naturalmente che accettino questa educazione.
Ma il quarto comandamento comprende anche un tacito capitolo sul rapporto con l'anziano, con la persona non più utile, debole. Viene attribuito un grande valore al rispetto dei genitori anziani. Non dovremmo orientarci in base a criteri utilitaristici, ma continuare a rendere omaggio negli anziani alle persone che ci hanno fatto dono della vita. In loro si può onorare anche la dignità dell'uomo proprio laddove questi non è più in grado di badare a se stesso. Questo rispetto basilare per l'uomo è un aspetto molto importante di questo comandamento. E qui è racchiusa anche la prospettiva del proprio futuro, la possibilità di guardare con fiducia alla propria vecchiaia.

IL QUINTO COMANDAMENTO
«Non uccidere»

Quasi nessuno metterebbe in discussione il senso di questo comandamento, salvo poi violarlo continuamente.

Indubbiamente nell'uomo é presente un'evidenza innata dell'obbligo di non uccidere. Pur dimenticando che solo Dio può disporre della vita dell'uomo, sappiamo almeno che l'uomo ha diritto alla vita proprio in quanto uomo, e che uccidendolo si attenta all'essenza dell'uomo in quanto tale.
Nei casi limite però questa consapevolezza, come vediamo, si appanna sempre più. Questo vale in particolare per l'inizio dell'esistenza, quando la vita è ancora indifesa, manipolabile. Qui si affaccia la tentazione di procedere secondo parametri utilitaristici. Si pretende di scegliere chi potrà sopravvivere e chi no perché ostacola la nostra libertà e autorealizzazione. Laddove l'essenza dell'uomo non si manifesta ancora nella sua forma esteriore e con la facoltà di parlare e interloquire, là si spegne facilmente anche la consapevolezza di questo comandamento.
Lo stesso vale per la fase terminale della vita. Si concepisce il malato, colui che soffre, come un fastidio e ci si convince che la morte sarebbe un bene anche per lui. Questo costituisce un pretesto per spedirlo nell'al di là prima che, per così dire, diventi troppo «difficile».
E da questo punto in avanti la coscienza del quinto comandamento si erode progressivamente. Oggi vengono rilanciati pensieri che abbiamo già conosciuto in tempi tristi e che, massificando l'uomo, non riconoscono la specificità della dignità umana. Ci si interroga se si possa ancora considerare uomini persone non più coscienti e non più in grado di adempiere ad una funzione sociale.
Ma la legittimazione dell'eutanasia innesca un processo inarrestabile. Subito si impone l'interrogativo quando una vita possa dirsi così segnata dal dolore, così penosa da autorizzare la sua soppressione. Ai confini della vita, quindi, questa coscienza morale innata dell'indisponibilità della vita umana si spegne fin troppo facilmente. A maggior ragione dobbiamo lottare oggi per l'osservanza del quinto comandamento per il diritto alla vita, dal concepimento fino alla morte, che ha il suo fondamento in Dio.

IL SESTO COMANDAMENTO
«Non commettere atti impuri»

Il nostro mondo ha fatto una virtù della costante disponibilità dell'Eros. Non è comunque necessario essere un maniaco sessuale per chiedersi se l'impudicizia (lussuria) sia davvero un peccato.

La versione originaria di questo comandamento nell'Antico Testamento suona in questo modo: «Non commettere adulterio» (Es20,14; Dt5,18). Questo comandamento ha avuto quindi dapprima un significato molto specifico. Riguardava l'inviolabilità del rapporto di fedeltà tra marito e moglie, che non salvaguarda soltanto il futuro dell’uomo ma che integra anche la sessualità nella totalità della persona umana, conferendole solo cosi dignità e grandezza umana.
Questo è il cuore del comandamento. Non in un contatto occasionale, ma nel contesto di un sì reciproco di due persone che così, implicitamente, pronunciano anche un sì ai figli, nel matrimonio, quindi, la sessualità può avere la sua dignità e grandezza umana. Solo lì lo spirito si fa corporeità e i sensi spiritualità. Qui si realizza quella che abbiamo definito l'essenza dell'uomo, la sua funzione di ponte, che fonde i due estremi della creazione, che solo così si possono reciprocamente conferire grandezza e dignità.
Se diciamo che il luogo in cui può esplicarsi la sessualità è il matrimonio, cioè un legame fondato su amore e fedeltà, che comporta premura reciproca e disponibilità per il futuro, e che si inserisce quindi nelle finalità complessive dell'umanità, ne consegue naturalmente che soltanto lì la sessualità si umanizza e acquista la propria specifica dignità.
Indubbiamente la forza istintuale, innanzitutto in un mondo segnato in maniera così totalizzante dall'erotismo, è così forte che il legame con questo luogo primario della fedeltà e dell'amore si fa quasi incomprensibile. La sessualità è diventata da tempo in grande stile merce da acquistare. Ma è anche evidente che così si è disumanizzata, che quando mi servo del sesso come di una merce, senza rispettare la persona umana, compio un abuso nei suoi confronti. Persone che si avviliscono a merce, o che vi sono costrette e messe in vendita, ne risultano distrutte. E intanto dal mercato del sesso si è sviluppato un nuovo mercato schiavistico. Quindi nell'istante in cui la sessualità non affonda più le sue radici in una libertà che si autovincola alla responsabilità reciproca, nel momento in cui non riconosce il proprio fondamento nella totalità della persona umana, ne scaturisce necessariamente una logica mercificante. Questo comandamento riprende il messaggio della creazione: uomo e donna sono fatti l'uno per l'altra. Lasceranno padre e madre e diventeranno una sola carne, dice la Genesi. Potremmo anche dire, in prospettiva meramente biologica, che la natura ha inventato la sessualità al fine della conservazione del genere. Ma ciò che consideriamo dapprima come elemento puramente naturale, come mera realtà biologica, acquisisce forma umana nella comunione tra uomo e donna. Costituisce una modalità di apertura dell’uomo ai suoi simili. Una modalità che non consente soltanto lo sviluppo di legami e di fedeltà, ma che crea anche lo spazio in cui l'uomo può crescere dal concepimento fino alla pienezza della vita. In questo spazio ha inizio innanzitutto la convivenza umana. Ciò che corrisponde dapprincipio a una legge biologica, a un trucco della natura, se così si può dire, acquisisce una forma umana che consente la nascita di un legame d'amore e di fedeltà tra uomo e donna, il che a sua volta permette il formarsi della famiglia.
Questo è il cuore di questo comandamento, che ci interpella dall'orizzonte della creazione in cui affonda le sue radici. Quanto più profondamente lo si vive e lo si approfondisce con la propria riflessione, tanto più evidente diventa il fatto che le altre forme della sessualità non raggiungono la vera grandezza della vocazione umana. Non corrispondono a ciò che vuole e deve essere la sessualità umanizzata. Naturalmente proprio il sesto comandamento racchiude in sé il messaggio della natura. La natura regola l'esistenza di due generi che garantiscono la sopravvivenza della specie - e questo vale in maniera particolare per esseri viventi che, quando escono dal grembo materno, non sono affatto autosufficienti e abbisognano di lunghe cure.
L'uomo non è un essere nidifugo, bensì nidicolo. Da un punto di vista meramente biologico, la razza umana è fatta in modo tale per cui quella versione allargata del grembo materno che è l'amore del padre e della madre si rende a lungo necessaria per consentire l'ulteriore crescita dell'uomo oltre lo stadio biologico primario. Il grembo materno della famiglia è quasi una condizione di possibilità dell'esistenza.
Da questo punto di vista, il volto originario dell'uomo che qui si rivela ha un proprio fondamento nelle leggi di natura. C'è bisogno di un legame reciproco permanente. Nel contesto di questo legame uomo e donna si fanno dapprima reciprocamente dono di sé e quindi fanno dono di sé ai figli, perché anche loro trovino un loro spazio nella legge dell'amore, del darsi, del perdersi. Gli esseri nidicoli hanno bisogno esattamente della fedeltà anche nel periodo posteriore al parto. Da questo punto di vista il messaggio del matrimonio e della famiglia è fino in fondo una legge intrinseca alla creazione e non entra in conflitto con la natura dell'uomo.

E tuttavia ci risulta estremamente difficile osservarla.

È vero che qui - come in tutti gli altri ambiti di cui abbiamo parlato - è presente una controtendenza. C'è un eccesso di forza biologica. Si può notare nella società moderna - anche nelle fasi più tarde di epoche precedenti, ad esempio la Roma imperiale - un'aperta erotizzazione che incoraggia ulteriormente l'eccesso istintuale e rende più difficile il suo ancoraggio nel matrimonio.
Torniamo a quanto abbiamo detto sulle quattro leggi. Ci sono due diversi ordini nella natura. Il messaggio della natura ci rimanda a una tensione tra i due generi che li spinge l'uno verso l'altra quale dinamica radicata profondamente nella natura e suscettibile di umanizzarsi nella misura in cui crea uno spazio in cui l'uomo può crescere e dispiegare fino in fondo la propria essenza. L'altro messaggio è la relativa tendenza alla promiscuità, o in ogni caso a disporre arbitrariamente della sessualità senza ancorarla al contesto familiare.
La differenza tra questi due piani in cui si manifesta il rapporto tra sessualità e natura è ben riconoscibile in una prospettiva di fede. L'uno costituisce davvero il messaggio della creazione. L'altro esprime l'aspirazione dell'uomo a disporre di se stesso. Per questa ragione l’ancoraggio nel matrimonio costituisce una lotta continua. Vediamo comunque che là ove si riesce a dominare l’istintualità, matura l'umanità e i bambini non temono il futuro. In una società in cui le separazioni sono divenute normali, i bambini sono i più danneggiati. I bambini sono la dimostrazione del fatto che la convivenza fedele, il sostegno reciproco non sono solo giusti, ma rappresentano anche quanto più è rispondente alle esigenze dell'uomo.

IL SETTIMO COMANDAMENTO
«Non rubare»

La proprietà altrui va rispettata, è un principio banale, ma che altro si cela dietro a questo comandamento? La dottrina della destinazione universale dei beni della creazione non è soltanto una bella idea, deve anche funzionare. A questo si ricollega perciò la constatazione che ognuno ha bisogno di una propria sfera di proprietà per poter soddisfare le esigenze fondamentali dell'esistenza e deve perciò esistere l'ordine della proprietà che ognuno deve rispettare. Da qui scaturisce naturalmente l'esigenza di una legislazione sociale che conseguentemente vegli e impedisca l'abuso della proprietà privata.
Oggi vediamo più chiaramente che mai come ora gli uomini si autodistruggano vivendo solo in funzione di ciò che possiedono, come si perdano innalzando ciò che possiedono a idolo. Chi per esempio si sottomette totalmente alle leggi della borsa, non riesce più sostanzialmente a pensare ad altro. Vediamo il potere che il mondo del possesso esercita sugli uomini. Più hanno e più diventano schiavi perché devono badare incessantemente alla conservazione e alla crescita del loro capitale.
La problematica della proprietà può essere chiaramente rintracciata anche nel rapporto distorto tra primo e terzo mondo. Qui la proprietà privata non è più correttamente subordinata alla destinazione universale dei beni. Anche qui devono essere individuate forme legislative che difendano o instaurino un equilibrio tra queste opposte esigenze.
Vediamo quindi come dietro la lettera del comandamento che impone il rispetto della proprietà altrui emerga il riferimento a molti nodi reali. Comprende sia la salvaguardia del diritto di ognuno a ricevere ciò che gli serve per vivere (e che anche in questo deve essere rispettato), sia la responsabilità a fare uso della proprietà in modo tale da non contraddire la missione complessiva della creazione e dell'amore del prossimo.

L'OTTAVO COMANDAMENTO
«Non mentire»
o «Non pronunziare falsa testimonianza»

Delle bugie stanno alla base dei racconti migliori, ma talvolta bugie anche piccole diventano così grosse da abbattere il Presidente di una superpotenza o anche partiti con responsabilità di governo, o magnati dei media. E la cosa singolare è che alla fine non si riesce a tenere nascosto nulla. Credo che qui si sottolinei il significato della verità come bene fondamentale dell'uomo. Tutti i comandamenti sono comandamenti d'amore o risvolti di quell'unico comandamento. Da questo punto di vista, hanno tutti molto esplicitamente a che vedere con il bene della verità. Se mi allontano dalla verità o stravolgo la verità, se cedo alla menzogna, danneggio spesso gli altri ma danneggio sempre anche me stesso.
E’ notorio che una piccola bugia si trasforma facilmente in un'abitudine, in un modo di sgusciare attraverso la vita, di ricorrere in ogni occasione alla menzogna fino a rimanere impigliato nella sua rete e a vivere in contrapposizione con la realtà. La menzogna implica inoltre che ogni colpo inferto alla dignità della verità non solo umilia l'uomo ma è anche una rozza offesa al comandamento dell'amore. Perché, se sottraggo agli altri la verità, sottraggo loro un bene essenziale e li indirizzo sul cammino sbagliato. Verità è amore, e un amore che si contrapponga alla verità, stravolgerebbe se stesso.

IL NONO E IL DECIMO COMANDAMENTO
«Non desiderare la donna d'altri»
«Non desiderare la roba d'altri»

Questi due comandamenti, che sono strettamente legati, vanno al di là dell'esteriorità, della fattualità per toccare le disposizioni interiori. Qui ci viene detto che il peccato non ha inizio soltanto nell'istante in cui commetto adulterio o sottraggo ingiustamente la proprietà altrui, ma che i peccati scaturiscono dagli stati d'animo interiori. Non basta quindi fermarsi un attimo prima di aver commesso concretamente un fatto, perché allora non è nemmeno più possibile, se io non ho custodito dentro di me il rispetto per la persona altrui, per il suo matrimonio o per ciò che possiede.
II peccato non ha quindi inizio con azioni esteriormente tangibili, ma già nel loro terreno di coltura, nel sentimento dell'invidia, nel rifiuto interiore del bene dell'altro e della sua stessa persona. Un'esistenza umana che non purifichi gli stati d'animo interiori non può conseguentemente conservare un ordine morale nemmeno sul piano della fattualità concreta. Questo comandamento fa direttamente appello al cuore dell'uomo. Perché il cuore è l'autentico luogo originario da cui si dispiegano i fatti. Anche solo per questo motivo deve rimanere per così dire puro e luminoso. Quando Mosè, tra tuoni e fulmini, ha ricevuto in consegna sul Sinai le tavole della legge, è insieme scoccata l'ora di nascita del libero individuo. Questa è comunque la tesi del pubblicista ebreo-tedesco Hannes Stein. Ogni uomo, che sia signore o schiavo, uomo o donna, deve rispondere di sé e delle sue azioni direttamente davanti a Dio. Con l'Alleanza del Sinai nasce quasi il soggetto giuridico autonomo. È un'affermazione azzardata dire che le fondamenta delle società liberali e democratiche provengono non dall'antica Grecia ma dalla tradizione giudaico-cristiana? Anch'io ho letto il libro di Hannes Stein e direi che offre spunti essenziali. Nella dignità di ognuno, che sta individualmente di fronte a Dio rispondendo di sé, che viene interpellato da Dio e viene indicato come persona nella formula dell'Alleanza, è racchiuso in effetti il nucleo centrale dei diritti umani - l'uguale dignità dell'uomo - e quindi l'autentico fondamento della democrazia.
Nella stessa Israele, dapprincipio, non erano previsti re ma solo giudici che dovevano applicare la legge di Dio e vegliare perché rimanesse in vigore. Si mirava quindi fondamentalmente ad una società completamente egalitaria, una specie di anarchia intesa in senso positivo: nessuno domina se non Dio. E domina attraverso la sua legge, la sua parola, i suoi comandamenti.
Quest'ordine sociale originario ha dovuto successivamente lasciare il posto a un riassetto dettato da ragioni pragmatiche, di cui abbiamo già parlato. Non vorrei però per questo sminuire il significato della democrazia greca, anche qui sono cresciuti elementi importanti e si è sviluppato un modello pratico a cui ci si è potuti successivamente riallacciare. Dobbiamo comunque mettere in chiaro che nella democrazia greca solo individui liberi di sesso maschile detenevano il diritto di voto. Le donne non erano un soggetto politico ed erano perciò escluse dal diritto di voto, come gli schiavi. Poiché la libertà è limitata, la Grecia ci offre un esempio di democrazia limitata. La parola biblica, al contrario, attribuisce pieno carattere di soggetto ad ogni persona, per il fatto di essere immagine di Dio. Reca così effettivamente in sé - è vero - le fondamenta delle costituzioni democratiche.

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