Anima è un termine di origine latina (anima) che ha l’identica radice della parola greca ánemos(vento) e lo stesso senso di spiritus (in greco pnêuma), indicante aria, soffio, respiro. In greco si trova anche psyche con un significato affine al concetto di spirito; questa parola esprime oggi le sue valenze più emblematiche confermandosi nel termine psicologia. Nell’Induismo, ad esempio, si fa riferimento all’A - tman, cioè espirazione. Da questa prima precisazione terminologica, abbiamo modo di constatare che l’anima è posta in relazione all’immaterialità, ma ciò non esclude la sua partecipazione all’interno del meccanismo vitale; convenzionalmente è il principio dell’attività cosciente dell’uomo e, su un piano più ampio, principio della vita. Tale peculiarità si accentua soprattutto in quelle culture nelle quali i principi religiosi sono ancora ordinati seguendo modelli meno evoluti di quelli caratterizzanti i grandi monoteismi.
Indicativamente, nelle religioni «primitive» l’anima viene indicata con organi del corpo che svolgono una funzione vitale determinante; può anche essere identificata con il respiro. Sempre in queste culture, l’anima può essere «esterna»: in questi casi la sua sede può venire indicata in un animale o un oggetto. È interessante osservare il peso svolto dal principio dell’anima esterna e presente in un animale, nelle sue implicazioni nel folclore occidentale, e che ha trovato una indicativa concretizzazione nell’universo della fiaba.
Il concetto di anima si formalizza con Socrate (469-399 a.C.), artefice del posizionamento di questa presenza tra i temi fondamentali della filosofia. L’idea di psiche socratica fu poi codificata da Platone (428-346 a.C.). Socrate insisteva sulla sua cura dell’anima (psicoterapia), ma non si pronunciava sulla sua immortalità: caratteristica che emergerà in seguito con Platone.
Come è noto, il principio cristiano indica nell’uomo il risultato dell’unione tra materiale e spirituale: il corpo e l’anima.
Altre religioni non perseguono totalmente la visione dualistica in cui l’anima si contrappone al corpo, infatti la psiche è più simile a un soffio vitale che, alla morte dell’uomo, fuoriesce mantenendo la propria autonomia, ad esempio nel mondo delle ombre. Nella teologia ebraica, l’anima è chiamata come nèfesh: termine che indica indifferentemente la vita spirituale, ma anche quella vegetativa; questa parola presenta inoltre un legame con il ruach (soffio, respiro), comunque dotato di forza vitale (ad esempio il soffio della creazione della tradizione veterotestamentaria).
Una precisa separazione tra anima e corpo risale a Platone: per il filosofo l’uomo è un principio naturale che si differenzia dalla fisicità del corpo. Il filosofo greco distingueva, nell’uomo, tra un’anima razionale, sede dei processi conoscitivi, e una irrazionale, sede dei desideri e delle passioni che l’essere più evoluto ha in comune con gli animali.
Aristotele (384-322 a.C.) poneva un’anima in ogni organismo vivente, differenziando un’anima «vegetativa», principio della crescita (presente anche nei vegetali), un’anima «sensitiva» principio del movimento e dei sensi (presente anche negli animali), un’anima «razionale», tipica dell’uomo e principio dell’attività intellettuale. Le interpretazioni destinate a suggerire delle dicotomie hanno sorretto il pensiero di molti dei Padri della Chiesa: Sant’Agostino (354-430) indicava l’anima come «sostanza dotata di ragione, con il ruolo di reggere il corpo»; questa sostanza, staccata dal fisico, è immortale e, alla morte dell’uomo, continua la propria esistenza fino alla resurrezione finale, quando si unirà alla materia.
San Tommaso (1221-1274) effettuò invece un’operazione tendente ad armonizzare la teoria platonica con quella aristotelica, giungendo a stabilire che l’anima è una forma sussistente e che trascende il corpo. Lo scontro ontologico che continuerà nel tempo, si estremizzerà sostanzialmente su due posizioni contrapposte: la tesi che sostiene la spiritualità e l’immortalità dell’anima (Platone) e quella che ne negava totalmente queste peculiarità Aristotele).
Il procedere della riflessione filosofica determinerà la riaffermazione della visione dualistica: con René Descartes (1596- 1650) questa dicotomia sarà parte rilevante nell’opposizione tra res extensa (corpo) e res cogitans (anima). Di fatto il primo ha un’esistenza determinata da principi esclusivamente materiali, la seconda invece è coscienza pura e quindi potrebbe esistere anche in assenza di corpo. La critica orientata verso il materialismo tenderà a ridimensionare il dualismo, correlando la parte connessa alla coscienza a meccanismi di ordine fisiologico, in cui a dominare è comunque sempre il corpo.
In sostanza, nella visione più elementare e di immediata comprensione, anche per la sua concreta applicabilità ai modelli antropologici di tradizione geocentrica, l’anima è un principio spirituale posto nel corpo dell’uomo da Dio al fine di assegnare un senso all’esistenza terrena. Si tratta di una presenza immortale nell’uomo e, in alcune religioni, mortale negli altri esseri viventi.
Come risulta più chiaro dalla lunga tradizione cultuale sul «significato» dell’anima, quest’ultima non è completamente indipendente dal corpo, perché la personalità umana è considerata il risultato dell’unione tra anima e corpo
Nessun commento:
Posta un commento