Noè.
Personaggio biblico della storia delle origini, del quale la documentazione yahwista e sacerdotale racconta le vicende secondo una linea unitaria (Genesi V-IX), collegando varie tradizioni. Figlio di Lamec, Noè è descritto innanzitutto come uomo giusto, che “trova grazia agli occhi di Dio”, e perciò viene sottratto alla distruzione del diluvio, al quale scampa per mezzo di un'arca insieme con il proprio clan familiare e con i rappresentanti di ogni specie animale: dopo il diluvio, questi danno nuovamente inizio alla vita sulla Terra, e Noè, con cui Dio stipula un patto garantito dall'apparire dell'arcobaleno, diviene il capostipite di una nuova umanità attraverso la propria discendenza (Sem, Cam e Jafet). Noè viene presentato altresì, in Genesi IX, come agricoltore e primo coltivatore della vite. Celebre, in proposito, l'episodio dell'ebbrezza di Noè e della sua maledizione al figlio Cam e ai suoi discendenti per averlo schernito mentre egli giaceva ubriaco e nudo. Di Noè, e del connesso episodio del diluvio, parlano ancora i testi profetici di Isaia 54 ed Ezechiele 14, nonché tradizioni giudaiche posteriori e diversi scritti del Nuovo Testamento. Per antonomasia, il nome del patriarca è entrato nell'uso comune per indicare una persona molto vecchia: avere gli anni di Noè; ai tempi di Noè, in epoca molto antica; l'arca di Noè, molti animali diversi riuniti insieme; fig.: sembrare l'arca di Noè, di luogo in cui siano riunite persone di varia età e condizione.
Mosè.
Mosè (ebr. Mōsheh) Nella Bibbia, liberatore del popolo d’Israele dall’Egitto e suo legislatore nel deserto. Secondo il racconto dell’Esodo, nacque dalla stirpe di Levi, mentre gli Ebrei in Egitto erano perseguitati. Sua madre, invece di farlo gettare nel fiume secondo i decreti della persecuzione, lo depose nella giuncaia del Nilo entro una cesta, e qui fu trovato da una figlia del faraone, che lo prese e lo allevò alla corte. Per aver ucciso un Egiziano che bastonava un Ebreo, dovette fuggire nel deserto di Madian, dove il Dio d’Israele gli si rivelò col suo nome Yahweh e gli affidò la liberazione del popolo ebraico. Tornato in Egitto, tentò vanamente di persuadere il faraone a lasciar liberi gli Ebrei; e allora richiamò sull’Egitto le «dieci piaghe», al termine delle quali fu concesso il permesso di partire. Gli Ebrei mossero così, sotto la guida di M., verso il Mar Rosso. Rincorsi dall’esercito del faraone, che voleva nuovamente trattenerli, riuscirono tuttavia ad attraversare il mare, che travolse invece gli inseguitori. M. procedette quindi verso il Monte Sinai, e qui ebbe molte rivelazioni da Yahweh, ricevendone le leggi morali e culturali per il popolo (il cosiddetto decalogo). Ripartì poi verso la terra di Canaan. Dopo una permanenza di circa 40 anni nel deserto, gli Ebrei conquistarono la Transgiordania meridionale, e qui, sul Monte Nebo, M. morì in vista della Terra Promessa. Sull’epoca della vita di M. e dell’Esodo, prevale oggi la tesi che essa sia il 13° sec. a.C. Il faraone persecutore può essere Ramesse II (1279-12 ca.) e quello dell’Esodo Merenptah (1212-02). Le storie di M., rappresentate in cicli narrativi o in singoli episodi, trovano già dal 3° sec. d.C. compiute raffigurazioni in pitture catacombali, sarcofagi e complessi monumentali.
Abramo.
L'antenato degli Ebrei e degli Arabi secondo la Bibbia
La figura di Abramo è un simbolo del rapporto ideale tra il popolo d'Israele e il suo Dio: per la sua fede e per la sua obbedienza egli diviene il capostipite di un grande popolo e stringe un patto di alleanza con Dio, che gli promette il possesso eterno della terra di Canaan (Siria-Palestina)
La storia di Abramo
All'inizio della sua storia, narrata nel libro della Bibbia chiamato Genesi, Abramo emigra dalla sua terra d'origine alla terra di Canaan, dove stringe un patto di alleanza con Dio. Egli ha un primo figlio dalla schiava Agar, Ismaele, che sarà il capostipite degli Arabi; per intervento di Dio avrà poi un figlio anche dalla moglie Sara, Isacco. Ad Abramo e alla sua discendenza Dio promette il possesso eterno di una terra assai estesa, che va dai regni di Israele e di Giuda dell'epoca all'attuale territorio di Siria e Libano. Secondo gli studiosi moderni Abramo non è una figura storica: sebbene il racconto della Genesi lo collochi nel 2° millenio a.C., in realtà egli viene descritto come un nomade del 1° millennio a.C. (pare fosse proprietario di cammelli). Probabilmente Abramo era un personaggio della tradizione ebraica che fu usato come simbolo del nuovo rapporto tra Dio e il popolo ebraico dopo la fine del regno di Giuda e l'esilio in Babilonia. Abramo rappresenta il popolo che stringe una nuova alleanza direttamente con Dio, contrariamente a quanto avveniva presso tutti i popoli antichi dell'Oriente, che facevano del re l'unico mediatore tra gli dei e gli uomini. Inoltre nella storia di Abramo la promessa della terra non dipende dalla fedeltà degli uomini alle leggi divine, ma solo dalla sua eccezionale fede in Dio. In libri biblici più antichi rispetto alla Genesi (Geremia ed Ezechiele) si parla invece di una promessa fatta da Dio al popolo d'Israele durante l'uscita dall'Egitto. Durante l'esilio in Babilonia, che fu appunto interpretato come punizione per i peccati d'Israele, si diffuse l'idea che questa promessa era stata fatta al più antico antenato degli Ebrei, come leggiamo nel libro Ezechiele (ma va ricordato che il profeta non era d'accordo con questa idea).
Il sacrificio del figlio
Nella storia di Abramo c'è un episodio che ha impressionato i lettori di tutte le epoche: quello in cui Dio gli ordina di sacrificare suo figlio Isacco. Abramo è pronto a obbedire , ma all'ultimo momento un angelo gli impedisce di uccidere il figlio. L'episodio, che vuole dimostrare la devozione assoluta di Abramo al suo Dio, si collega all'uso degli antichi popoli di Canaan (i Fenici) di sacrificare i bambini agli dei. Anche la legge ebraica considerava il primogenito proprietà di Dio, ma proibiva il sacrificio umano. Nel giudaismo il sacrificio di Isacco, chiamato Ãaqedah ("legatura della vittima posta sull'altare"), è l'esempio supremo di sacrificio di sé in obbedienza alla volontà di Dio e un simbolo del martirio ebraico. Esso viene ricordato nelle preghiere e può ottenere il perdono delle colpe dei discendenti. L'interpretazione cristiana della figura di Abramo appare già nelle lettere dell'apostolo Paolo. Per Paolo, Abramo è un esempio di fede ed è padre non solo degli Ebrei ma di tutti coloro che credono in Gesù Cristo. Per i Padri della Chiesa nel sacrificio di Isacco Abramo prefigura Dio Padre che sacrifica il proprio figlio, Cristo, per la salvezza degli uomini. Nel Corano Abramo è presentato come primo adoratore di un Dio unico e fondatore dell'Islam; offre in sacrificio per ordine di Dio un figlio, che però non è Isacco ma Ismaele.
Giacobbe.
Giacòbbe (ebr. Ya'ãqōb, gr. ᾿Ιακώβ, lat. Iacob). - Patriarca ebreo, figlio di Isacco e di Rebecca, chiamato anche Israele. Fu il padre degli eponimi delle 12 tribù israelitiche. Secondo la narrazione biblica (Genesi 25, 19-50, 14), sottrasse il diritto di primogenitura al fratello Esaù. La rivalità che ne seguì lo indusse a trasferirsi a Ḥarrān, presso i parenti del nonno Abramo; e ivi prese per mogli primarie Lia e Rachele, figlie di Labano, e per mogli secondarie Zilpa e Bilha, loro rispettive ancelle. Rientrando in Palestina ebbe la visione di Dio e una lotta misteriosa con lui. Trasferitosi a Mambre, scese poi col suo gruppo in Egitto e si insediò nella terra di Goshen, dove morì; la sua salma fu trasportata in Palestina e fu deposta nella grotta di Makhpēlāh.
Giuseppe Patriarca.
Giuseppe è il penultimo dei dodici figli di Giacobbe ed il primo dei due figli (con Beniamino) della moglie Rachele. Egli è il padre di Efraim e Manasse dai quali discendono le due omonime tribù. Il nome Giuseppe significa "Colui che si è aggiunto".
Secondo la Bibbia, Giuseppe è il figlio prediletto di suo padre Giacobbe. Giacobbe infatti riversa su di lui l'amore che aveva per la sua moglie preferita Rachele, morta alla nascita di Beniamino. Questa preferenza del padre, che si manifesta sotto la forma di una tunica donatagli all'età di 17 anni, alimenta la gelosia dei suoi fratellastri. La gelosia è alimentata anche dai sogni di Giuseppe: nel primo undici covoni di grano (rappresentanti i suoi undici fratellastri) si inchinano davanti al covone di grano confezionato da Giuseppe; nel secondo undici stelle, il sole (rappresentante il padre Giacobbe) e la luna (rappresentante la matrigna Lia) si prostrano davanti a Giuseppe (cfr. Genesi 37,2-8).
Un giorno quando Giuseppe raggiunge i suoi fratelli che pascolano i greggi, essi complottano contro di lui. Il primogenito Ruben si oppone all'uccisione di Giuseppe, preferendo che venga gettato in fondo ad un pozzo. Giuda propone infine di venderlo ad una carovana di mercanti ismaeliti di passaggio. Per venti monete d'argento, Giuseppe diventa schiavo e viene condotto dai mercanti in Egitto. I suoi fratelli utilizzano la tunica e del sangue di capra per far credere al padre Giacobbe che Giuseppe è stato sbranato da animali feroci (cfr. Genesi 37,12-33).
Arrivato in Egitto, Giuseppe è rivenduto come schiavo a Potifar, un ufficiale del faraone. Lo aiuta negli affari facendoli prosperare; diventa così suo intendente durante diversi anni. Un giorno Giuseppe rifiuta il corteggiamento della moglie dell'ufficiale; accusato quindi ingiustamente dalla donna Giuseppe viene rinchiuso in prigione (cfr. Genesi 39,1-20).
In prigione divide la cella col coppiere e col panettiere del faraone caduti in disgrazia agli occhi del faraone. Un mattino questi due compagni si svegliano dopo aver fatto un sogno ciascuno. Giuseppe interpreta i loro sogni: predice al coppiere che sarà riconosciuto innocente e che riavrà la sua funzione a servizio del faraone; invece predice al panettiere che sarà condannato e decapitato. Tre giorni più tardi queste interpretazioni dei sogni si realizzano (cfr. Genesi 40,1-23).
Il coppiere si ricorda di Giuseppe solamente due anni più tardi quando il faraone fa due sogni che nessuno dei suoi maghi riesce ad interpretare. Giuseppe esce di prigione ed interpreta i sogni premonitori: l'uno delle sette vacche grasse e delle sette vacche magre ed il secondo delle sette spighe piene e sette vuote. Giuseppe predice un tempo di abbondanti raccolti (sette vacche grasse e sette spighe piene) e sette anni di carestia. Giuseppe propone di fare delle scorte negli anni di abbondanza da utilizzare in quelli di carestia. Il faraone convinto dalla proposta di Giuseppe lo mette a capo del paese (cfr. Genesi 41,1-40).
Giuseppe si sposa con Asenat ed ha due figli: Efraim e Manasse. Dopo i sette anni di abbondanza nei quali Giuseppe organizza la costituzione di riserve alimentari, la fame si abbatte su tutta la regione e costringe le popolazioni a venire in Egitto per approvvigionarsi. Anche suo padre Giacobbe manda tutti i suoi figli (eccetto Beniamino) per comprare del grano. Giuseppe li riconosce senza essere a sua volta riconosciuto. Fa accusare i dieci fratelli di spionaggio e fa mettere in prigione Simeone per costringere gli altri a ritornare col fratello più piccolo, Beniamino. Quando essi ritornano in Egitto Giuseppe è contento di rivedere il suo fratellino. Li lascia partire insieme ma fa collocare una coppa nel sacco di Beniamino per poterlo accusare di furto. Giuseppe vuol far mettere in prigione Beniamino ma Giuda si offre al suo posto per far sì che possa tornare dal padre Giacobbe. Vedendo che i suoi fratelli hanno appreso la lezione, comportandosi con Beniamino diversamente da come si erano comportati con lui, rivela ad essi la sua identità e li perdona. Invita quindi tutta la sua famiglia a venire a risiedere in Egitto. Incontra infine suo padre e lo presenta al faraone (cfr. Genesi 42-45).
Giacobbe alla vigilia della sua morte adotta come figli Efraim e Manasse e li benedice. Giuseppe ed i suoi fratelli fanno seppellire Giacobbe in terra di Canaan (cfr. Genesi 48-49).
Giuseppe muore all'età di 110 anni. Il suo corpo viene imbalsamato alla maniera egiziana e sarà riportato in terra di Canaan durante l'esodo (cfr. Genesi 50). Recentemente ne è stata ipotizzata l'identità con Aper El.
Secondo la Bibbia, Giuseppe è il figlio prediletto di suo padre Giacobbe. Giacobbe infatti riversa su di lui l'amore che aveva per la sua moglie preferita Rachele, morta alla nascita di Beniamino. Questa preferenza del padre, che si manifesta sotto la forma di una tunica donatagli all'età di 17 anni, alimenta la gelosia dei suoi fratellastri. La gelosia è alimentata anche dai sogni di Giuseppe: nel primo undici covoni di grano (rappresentanti i suoi undici fratellastri) si inchinano davanti al covone di grano confezionato da Giuseppe; nel secondo undici stelle, il sole (rappresentante il padre Giacobbe) e la luna (rappresentante la matrigna Lia) si prostrano davanti a Giuseppe (cfr. Genesi 37,2-8).
Un giorno quando Giuseppe raggiunge i suoi fratelli che pascolano i greggi, essi complottano contro di lui. Il primogenito Ruben si oppone all'uccisione di Giuseppe, preferendo che venga gettato in fondo ad un pozzo. Giuda propone infine di venderlo ad una carovana di mercanti ismaeliti di passaggio. Per venti monete d'argento, Giuseppe diventa schiavo e viene condotto dai mercanti in Egitto. I suoi fratelli utilizzano la tunica e del sangue di capra per far credere al padre Giacobbe che Giuseppe è stato sbranato da animali feroci (cfr. Genesi 37,12-33).
Arrivato in Egitto, Giuseppe è rivenduto come schiavo a Potifar, un ufficiale del faraone. Lo aiuta negli affari facendoli prosperare; diventa così suo intendente durante diversi anni. Un giorno Giuseppe rifiuta il corteggiamento della moglie dell'ufficiale; accusato quindi ingiustamente dalla donna Giuseppe viene rinchiuso in prigione (cfr. Genesi 39,1-20).
In prigione divide la cella col coppiere e col panettiere del faraone caduti in disgrazia agli occhi del faraone. Un mattino questi due compagni si svegliano dopo aver fatto un sogno ciascuno. Giuseppe interpreta i loro sogni: predice al coppiere che sarà riconosciuto innocente e che riavrà la sua funzione a servizio del faraone; invece predice al panettiere che sarà condannato e decapitato. Tre giorni più tardi queste interpretazioni dei sogni si realizzano (cfr. Genesi 40,1-23).
Il coppiere si ricorda di Giuseppe solamente due anni più tardi quando il faraone fa due sogni che nessuno dei suoi maghi riesce ad interpretare. Giuseppe esce di prigione ed interpreta i sogni premonitori: l'uno delle sette vacche grasse e delle sette vacche magre ed il secondo delle sette spighe piene e sette vuote. Giuseppe predice un tempo di abbondanti raccolti (sette vacche grasse e sette spighe piene) e sette anni di carestia. Giuseppe propone di fare delle scorte negli anni di abbondanza da utilizzare in quelli di carestia. Il faraone convinto dalla proposta di Giuseppe lo mette a capo del paese (cfr. Genesi 41,1-40).
Giuseppe si sposa con Asenat ed ha due figli: Efraim e Manasse. Dopo i sette anni di abbondanza nei quali Giuseppe organizza la costituzione di riserve alimentari, la fame si abbatte su tutta la regione e costringe le popolazioni a venire in Egitto per approvvigionarsi. Anche suo padre Giacobbe manda tutti i suoi figli (eccetto Beniamino) per comprare del grano. Giuseppe li riconosce senza essere a sua volta riconosciuto. Fa accusare i dieci fratelli di spionaggio e fa mettere in prigione Simeone per costringere gli altri a ritornare col fratello più piccolo, Beniamino. Quando essi ritornano in Egitto Giuseppe è contento di rivedere il suo fratellino. Li lascia partire insieme ma fa collocare una coppa nel sacco di Beniamino per poterlo accusare di furto. Giuseppe vuol far mettere in prigione Beniamino ma Giuda si offre al suo posto per far sì che possa tornare dal padre Giacobbe. Vedendo che i suoi fratelli hanno appreso la lezione, comportandosi con Beniamino diversamente da come si erano comportati con lui, rivela ad essi la sua identità e li perdona. Invita quindi tutta la sua famiglia a venire a risiedere in Egitto. Incontra infine suo padre e lo presenta al faraone (cfr. Genesi 42-45).
Giacobbe alla vigilia della sua morte adotta come figli Efraim e Manasse e li benedice. Giuseppe ed i suoi fratelli fanno seppellire Giacobbe in terra di Canaan (cfr. Genesi 48-49).
Giuseppe muore all'età di 110 anni. Il suo corpo viene imbalsamato alla maniera egiziana e sarà riportato in terra di Canaan durante l'esodo (cfr. Genesi 50). Recentemente ne è stata ipotizzata l'identità con Aper El.
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