Risalire alle origini della Cabala non è impresa facile: secondo Ginsburg essa era all’inizio la scienza degli angeli che essi comunicarono all’uomo dopo la caduta di Adamo, per fornirgli gli archetipi e i mezzi per riconquistare il giardino perduto.
Eliphas Levi cita il libro apocrifo di Enoch in cui si narra che alcuni angeli caddero dal cielo per amare le figlie della terra ed unirsi a loro:
Essi presero delle spose alle quali si congiunsero, e insegnarono loro la magia, gli incantesimi e le divisioni delle radici e degli alberi.
In seguito i più saggi e i più dotti fra i loro discendenti avrebbero raccolto l’essenza di questa dottrina per fissarli in libri sacri: tutto questo per rappresentare la Cabala come una scienza divina, e l’uomo come un angelo decaduto che deve riscattarsi e riscoprire la scienza perduta.
A proposito della caduta dell’uomo, The Golden Dawn, sistema esoterico-filosofico di chiara derivazione dalla Cabala, riporta:
E Tetragrammaton pose i Kerubim a Oriente del Giardino dell’Eden, e una Spada Fiammeggiante che ruotava da ogni parte per custodire la via dell’Albero della Vita, poiché Egli ha creato la Natura affinché l’uomo scacciato dall’Eden non precipiti nel Vuoto. Egli ha legato l’uomo con le stelle, come una catena. Egli lo attrae con i frammenti dispersi del Corpo Divino negli uccelli, nelle bestie e nei fiori. Ed Egli piange su di lui nel Vento e nel Mare e negli Uccelli. E quando i tempi saranno finiti, Egli richiamerà i Kerubim dall’Oriente del Giardino, e tutto verrà consumato e diverrà infinito e santo. L’Albero della Vita costituisce la sintesi dei più noti e importanti insegnamenti della Cabala. E’ un diagramma, astratto e simbolico, costituito da dieci entità, chiamate Sefirot. Le Sefirot corrispondono ad importanti concetti metafisici, a veri e propri livelli all’Interno della Divinità. Inoltre, esse sono anche associate alle situazioni pratiche ed emotive attraversate da ognuno di noi, nella vita quotidiana.
L’Albero della Vita è il programma secondo il quale si è svolta la creazione dei mondi; è il cammino di discesa lungo la quale le anime e le creature hanno raggiunto la loro forma attuale. Esso è anche il sentiero di risalita, attraverso cui l’intero creato può ritornare al traguardo cui tutto anela.
L’Albero della Vita è la "scala di Giacobbe" (Genesi 28), la cui base è appoggiata sulla terra e la cui cima tocca il cielo. Lungo di essa gli angeli, cioè le molteplici forme di consapevolezza che animano la creazione, salgono e scendono in continuazione. Lungo di essa sale e scende anche la consapevolezza degli esseri umani.
Dopo aver perso lo stato paradisiaco del Giardino dell’Eden, l’umanità non ha più accesso diretto all’Albero della Vita. Come dice la Bibbia, la via che conduce all’Albero è guardata da una coppia di Cherubini, due angeli armati di una spada fiammeggiante. Ciò però non significa che la via sia del tutto inaccessibile. Secondo la tradizione orale, i due Cherubini possiedono l’uno un volto maschile e l’altro un volto femminile. Essi rappresentano le due polarità fondamentali dell’esistenza, così come si esprimono sui piani più elevati della consapevolezza.
Con il graduale ravvicinamento e riunificazione di tali principi, questi angeli cessano di essere i "Guardiani della soglia", il cui compito consiste nell’allontanare tutti coloro che non hanno il diritto di entrare, e diventano invece i pilastri che sostengono la porta che ci riconduce al Giardino dell’Eden. La loro stessa presenza serve da indicazione e da punto di riferimento per quanti stanno cercando di ritornare a Casa.
Non si tratta però di un lavoro facile. I due Cherubini hanno in mano una spada fiammeggiante a doppio taglio. Tra le molte altre cose, essa simboleggia la distruzione dei due Templi di Gerusalemme. Subito dopo la distruzione del secondo Tempio, lo Zohar (Libro dello Splendore) fu rivelato al mondo, e con esso venne data la descrizione dell’Albero della Vita.
Le spade dei Cherubini si trasformano in due coppie di ali incrociate in alto, e insieme definiscono l’arco posto al di sopra del portale d’entrata al giardino dell’Eden: la Cinquantesima Porta della Conoscenza, "la Porta del Signore, attraverso la quale vengono i giusti". Essi diventano così i Cherubini che sovrastavano l’Arca dell’Alleanza, l’uno con un volto maschile, l’altro con un volto femminile. Da un lato la Cabala si rifà alla tradizione, l’antica saggezza ricevuta dal passato e custodita con cura. Dall’altro, a coloro che si dimostrano veramente ricettivi, la saggezza appare spontaneamente, senza avvisaglie, cogliendo quasi di sorpresa.
L’Albero della Vita è la "scala di Giacobbe" (Genesi 28), la cui base è appoggiata sulla terra e la cui cima tocca il cielo. Lungo di essa gli angeli, cioè le molteplici forme di consapevolezza che animano la creazione, salgono e scendono in continuazione. Lungo di essa sale e scende anche la consapevolezza degli esseri umani.
Dopo aver perso lo stato paradisiaco del Giardino dell’Eden, l’umanità non ha più accesso diretto all’Albero della Vita. Come dice la Bibbia, la via che conduce all’Albero è guardata da una coppia di Cherubini, due angeli armati di una spada fiammeggiante. Ciò però non significa che la via sia del tutto inaccessibile. Secondo la tradizione orale, i due Cherubini possiedono l’uno un volto maschile e l’altro un volto femminile. Essi rappresentano le due polarità fondamentali dell’esistenza, così come si esprimono sui piani più elevati della consapevolezza.
Con il graduale ravvicinamento e riunificazione di tali principi, questi angeli cessano di essere i "Guardiani della soglia", il cui compito consiste nell’allontanare tutti coloro che non hanno il diritto di entrare, e diventano invece i pilastri che sostengono la porta che ci riconduce al Giardino dell’Eden. La loro stessa presenza serve da indicazione e da punto di riferimento per quanti stanno cercando di ritornare a Casa.
Non si tratta però di un lavoro facile. I due Cherubini hanno in mano una spada fiammeggiante a doppio taglio. Tra le molte altre cose, essa simboleggia la distruzione dei due Templi di Gerusalemme. Subito dopo la distruzione del secondo Tempio, lo Zohar (Libro dello Splendore) fu rivelato al mondo, e con esso venne data la descrizione dell’Albero della Vita.
Le spade dei Cherubini si trasformano in due coppie di ali incrociate in alto, e insieme definiscono l’arco posto al di sopra del portale d’entrata al giardino dell’Eden: la Cinquantesima Porta della Conoscenza, "la Porta del Signore, attraverso la quale vengono i giusti". Essi diventano così i Cherubini che sovrastavano l’Arca dell’Alleanza, l’uno con un volto maschile, l’altro con un volto femminile. Da un lato la Cabala si rifà alla tradizione, l’antica saggezza ricevuta dal passato e custodita con cura. Dall’altro, a coloro che si dimostrano veramente ricettivi, la saggezza appare spontaneamente, senza avvisaglie, cogliendo quasi di sorpresa.
La tradizione mistica ebraica combina entrambi questi elementi. Il suo vocabolario abbonda di quelle che loZohar, il testo canonico della Cabala, chiama “parole neo-antiche”. Molte delle sue espressioni derivano dalle fonti tradizionali, la Bibbia e la letteratura rabbinica, ma si sviluppano in maniera imprevista. Per esempio, “il mondo che verrà”, una frase tradizionale spesso intesa come riferimento ad una lontana età messianica, si trasforma in “il mondo che costantemente viene”, che costantemente scorre, una dimensione senza tempo della realtà immediatamente accessibile a coloro che sono ricettivi.
Il concetto rabbinico della Shekinah, l’immanenza divina, sboccia nella parte femminile di Dio, bilanciando così la concezione patriarcale che domina la Bibbia e il Talmud. La Cabala conserva la disciplina tradizionale dellaTorah e delle mitzwot (precetti), ma ora le mitzwot hanno un impatto cosmico: “Il segreto per adempiere alle mitzwot è di emendare tutti i mondi ed estrarre l’emanazione dall’alto”. Secondo la Cabala, ogni azione umana sulla terra influisce sul regno divino, favorendo o, al contrario, ostacolando l’unione della Shekinah con il suo compagno: il Santo, sia egli benedetto. Dio non è un essere statico, bensì un dinamico divenire. Senza partecipazione umana Dio resta incompleto, non si realizza. Sta a noi rendere attuabile il potenziale divino nel mondo. Dio ha bisogno di noi.
La Cabala deve la sua fortuna a questa stimolante miscela di tradizione e creatività, fedeltà al passato e coraggiosa innovazione. I cabalisti furono esperti nel mantenere l’equilibrio tra cieco fondamentalismo e anarchia mistica, sebbene un certo numero di essi perse quest’equilibrio e cadde in un estremo o nell’altro. E’ sorprendente come, nonostante le loro idee sconcertanti e le loro immagini talvolta sconvolgenti, i cabalisti sollevarono un’opposizione relativamente limitata, se comparata a quella suscitata da alcuni famosi sufi islamici e mistici cattolici, come Hallaj e Meister Eckhart. Senza dubbio ciò si dovette in parte al metodo esoterico di trasmissione della Cabala. Da principio le dottrine segrete erano trasmesse oralmente da maestro a discepolo e limitate ad alcune cerchie ristrette. Ma anche scritto, il messaggio era spesso ermetico e si concludeva talvolta con frasi come: “Questo è sufficiente per uno che è illuminato”, oppure “Colui che è illuminato comprenderà”, o ancora “Non posso ampliare questo perché così mi è stato ordinato”.
I cabalisti facevano la straordinaria affermazione che le loro dottrine mistiche avevano origine nel Giardino dell’Eden. Questo vuole suggerire che la Cabala è depositaria della nostra natura originale: la libera consapevolezza di Adamo ed Eva. Noi abbiamo perduto questa natura, la più antica tradizione, come inevitabile conseguenza del fatto di aver assaggiato il frutto della conoscenza, il prezzo della maturità e della cultura. I cabalisti, senza voler rinunciare al mondo, anelano al recupero di quella tradizione primordiale e alla riconquista di una coscienza cosmica.
Il concetto rabbinico della Shekinah, l’immanenza divina, sboccia nella parte femminile di Dio, bilanciando così la concezione patriarcale che domina la Bibbia e il Talmud. La Cabala conserva la disciplina tradizionale dellaTorah e delle mitzwot (precetti), ma ora le mitzwot hanno un impatto cosmico: “Il segreto per adempiere alle mitzwot è di emendare tutti i mondi ed estrarre l’emanazione dall’alto”. Secondo la Cabala, ogni azione umana sulla terra influisce sul regno divino, favorendo o, al contrario, ostacolando l’unione della Shekinah con il suo compagno: il Santo, sia egli benedetto. Dio non è un essere statico, bensì un dinamico divenire. Senza partecipazione umana Dio resta incompleto, non si realizza. Sta a noi rendere attuabile il potenziale divino nel mondo. Dio ha bisogno di noi.
La Cabala deve la sua fortuna a questa stimolante miscela di tradizione e creatività, fedeltà al passato e coraggiosa innovazione. I cabalisti furono esperti nel mantenere l’equilibrio tra cieco fondamentalismo e anarchia mistica, sebbene un certo numero di essi perse quest’equilibrio e cadde in un estremo o nell’altro. E’ sorprendente come, nonostante le loro idee sconcertanti e le loro immagini talvolta sconvolgenti, i cabalisti sollevarono un’opposizione relativamente limitata, se comparata a quella suscitata da alcuni famosi sufi islamici e mistici cattolici, come Hallaj e Meister Eckhart. Senza dubbio ciò si dovette in parte al metodo esoterico di trasmissione della Cabala. Da principio le dottrine segrete erano trasmesse oralmente da maestro a discepolo e limitate ad alcune cerchie ristrette. Ma anche scritto, il messaggio era spesso ermetico e si concludeva talvolta con frasi come: “Questo è sufficiente per uno che è illuminato”, oppure “Colui che è illuminato comprenderà”, o ancora “Non posso ampliare questo perché così mi è stato ordinato”.
I cabalisti facevano la straordinaria affermazione che le loro dottrine mistiche avevano origine nel Giardino dell’Eden. Questo vuole suggerire che la Cabala è depositaria della nostra natura originale: la libera consapevolezza di Adamo ed Eva. Noi abbiamo perduto questa natura, la più antica tradizione, come inevitabile conseguenza del fatto di aver assaggiato il frutto della conoscenza, il prezzo della maturità e della cultura. I cabalisti, senza voler rinunciare al mondo, anelano al recupero di quella tradizione primordiale e alla riconquista di una coscienza cosmica.
La Cabala sorge come movimento distinto all’interno del Giudaismo nell’Europa medioevale, ma l’esperienza del contatto diretto con il divino è già descritta chiaramente nel più antico libro ebraico: la Bibbia. Per esempio il profeta Isaia vede Dio in trono nel Tempio di Gerusalemme, scortato da angeli fiammeggianti che proclamano l’uno l’altro “Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti. Tutta la terra è piena della sua presenza” (Isaia 6, 3).
Il resoconto più vivido di una visione di Dio è senza dubbio quello contenuto nel capitolo di apertura del libro diEzechiele. Mentre si trova sulla sponda di un fiume a Babilonia, il profeta vede un trono roteare attraverso il cielo, scortato da quattro creature alate che guizzano avanti e indietro. Sul trono è “una figura dall’apparenza umana” circondata da una luminosità simile a quella di un arcobaleno.
Ezechiele ebbe questa visione più o meno all’inizio del VI secolo a.e.v. Ancora prima che il suo libro entrasse a far parte del canone biblico, la sua visione divenne l’archetipo dell’ascesa mistica ebraica. Fino alla comparsa della Cabala, i mistici ebrei utilizzarono come modello il racconto di Ezechiele. Il ma’ aseh merkavah, il racconto del carro, come da allora in poi venne chiamato, fu esposto in alcune cerchie e imitato in altre e diede vita ad uno dei rami principali del misticismo ebraico.
L’altro ramo fu il ma’ aseh bereshit, il racconto della creazione o cosmologia. Il testo più importante relativo a questi segreti fu il Sefer Yetzirah, il Libro della creazione, redatto, a quanto pare, in Palestina tra il III e il VI secolo. In questo testo viene narrato come Dio creò il mondo per mezzo delle ventidue lettere dell’alfabeto ebraico e delle dieci sefirot, un termine che fa qui la sua prima apparizione nella letteratura ebraica.
La Genesi e i Salmi avevano già indicato il verbo divino come lo strumento della creazione.
“Dio disse: ‘Sia la luce’. E luce fu”.
“Per mezzo della parola di Dio furono creati i cieli; per mezzo del soffio della sua bocca, tutte le sue schiere”(Genesi 1, 3; Salmi 33, 6).
La novità del Sefer Yetzirah consiste nella particolareggiata speculazione su come Dio combinò le singole lettere e nel concetto delle sefirot, che in questo testo sono delle entità numeriche, esseri viventi che rappresentano i numeri da uno a dieci, cifre, potenze metafisiche, attraverso le quali si dischiuse la creazione. L’idea che i numeri siano essenziali alla struttura del cosmo ha origine nel misticismo pitagorico. Gradualmente, comunque, le sefirot evolsero fino a diventare il simbolo centrale attorno a cui ruota la Cabala.
Il resoconto più vivido di una visione di Dio è senza dubbio quello contenuto nel capitolo di apertura del libro diEzechiele. Mentre si trova sulla sponda di un fiume a Babilonia, il profeta vede un trono roteare attraverso il cielo, scortato da quattro creature alate che guizzano avanti e indietro. Sul trono è “una figura dall’apparenza umana” circondata da una luminosità simile a quella di un arcobaleno.
Ezechiele ebbe questa visione più o meno all’inizio del VI secolo a.e.v. Ancora prima che il suo libro entrasse a far parte del canone biblico, la sua visione divenne l’archetipo dell’ascesa mistica ebraica. Fino alla comparsa della Cabala, i mistici ebrei utilizzarono come modello il racconto di Ezechiele. Il ma’ aseh merkavah, il racconto del carro, come da allora in poi venne chiamato, fu esposto in alcune cerchie e imitato in altre e diede vita ad uno dei rami principali del misticismo ebraico.
L’altro ramo fu il ma’ aseh bereshit, il racconto della creazione o cosmologia. Il testo più importante relativo a questi segreti fu il Sefer Yetzirah, il Libro della creazione, redatto, a quanto pare, in Palestina tra il III e il VI secolo. In questo testo viene narrato come Dio creò il mondo per mezzo delle ventidue lettere dell’alfabeto ebraico e delle dieci sefirot, un termine che fa qui la sua prima apparizione nella letteratura ebraica.
La Genesi e i Salmi avevano già indicato il verbo divino come lo strumento della creazione.
“Dio disse: ‘Sia la luce’. E luce fu”.
“Per mezzo della parola di Dio furono creati i cieli; per mezzo del soffio della sua bocca, tutte le sue schiere”(Genesi 1, 3; Salmi 33, 6).
La novità del Sefer Yetzirah consiste nella particolareggiata speculazione su come Dio combinò le singole lettere e nel concetto delle sefirot, che in questo testo sono delle entità numeriche, esseri viventi che rappresentano i numeri da uno a dieci, cifre, potenze metafisiche, attraverso le quali si dischiuse la creazione. L’idea che i numeri siano essenziali alla struttura del cosmo ha origine nel misticismo pitagorico. Gradualmente, comunque, le sefirot evolsero fino a diventare il simbolo centrale attorno a cui ruota la Cabala.
Fondandosi su queste antiche tradizioni, la Cabala nacque a pieno titolo nella fertile regione di Provenza verso la fine del XII secolo. Qui fioriva una variegata comunità ebraica, un centro il cui sapere abbracciava leggi rabbiniche, filosofia e misticismo. In questo ambiente venne redatto il Sefer ha-Bahir, normalmente considerato il primo testo cabalistico. Paradossalmente, sebbene bahir significhi “brillante” o “chiaro”, questo libretto risulta veramente oscuro: una collezione, spesso impenetrabile, di frammenti esoterici. In esso ora le sefirot appaiono come luci, potenze e attributi, simili alle forze divine descritte nella letteratura gnostica. Esse rappresentano stadi della vita interiore di Dio, aspetti della personalità divina. Manca uno schema uniforme: le sefirot sono descritte in modi diversi e talvolta contraddittori. Nel corso del secolo successivo, con la diffusione della Cabala al di là dei Pirenei, in Catalogna e poi in Castiglia, il sistema simbolico si cristallizzò. Vennero incorporati elementi del misticismo neoplatonico e anche speculazioni sull’origine del male.
Intorno al 1280, un mistico ebreo spagnolo di nome Moshè de Leon, iniziò a diffondere libretti tra i suoi colleghi cabalisti. Moshè dichiarava di essere semplicemente uno scriba e di copiare da un antico libro di sapienza. L’originale sarebbe stato redatto presumibilmente nella cerchia di rabbi Shim’on bar Yohai, un famoso discepolo di rabbi Akiva, che era vissuto e aveva insegnato nel II secolo in Terra d’Israele.
Questi libretti rappresentavano la prima parte di quella che sarebbe diventata un’opera immensa: il Sefer ha-Zohar, Libro dello splendore. Le dichiarazioni di de Leon furono ampiamente accettate e i presunti natali dello Zohar contribuirono a promuovere il giovane movimento cabalistico. Lo Zohar divenne gradualmente Ha-Zohar ha Qadosh, Il Santo Zohar, il testo canonico della Cabala, sui cui insegnamenti si basò la maggior parte della successiva tradizione cabalistica. Solo in tempi recenti si è fatta maggiore chiarezza sul ruolo effettivo giocato da Moshè de Leon nella generazione dello Zohar.
Più che uno scriba, de Leon fu l’autore dello Zohar. Egli attinse da materiale più antico, forse collaborò con altri cabalisti e forse credette sinceramente di trasmettere antichi insegnamenti. E’ possibile che parti dello Zohar siano state composte tramite scrittura automatica, una tecnica secondo cui il mistico dovrebbe meditare su un nome divino, entrare in trance e iniziare a “scrivere qualunque cosa arrivi alla mano”. Pare che questa tecnica fosse utilizzata anche da altri cabalisti del XIII secolo, ma Moshè de Leon intessé le sue varie fonti in un capolavoro: un commento sulla Torah in foggia di novella mistica. La trama dello Zohar si concentra fondamentalmente sulle sefirot. Penetrando la superficie letterale della Torah, i commentatori mistici trasformano la narrazione biblica in una biografia di Dio. La Torah nella sua interezza è letta come un nome di Dio che esprime l’essere divino. Anche un versetto apparentemente insignificante può rivelare le dinamiche interne delle sefirot: il modo in cui Dio percepisce, reagisce e agisce, la maniera in cui Lei e Lui si pongono in intima relazione tra loro e con il mondo.
Intorno al 1280, un mistico ebreo spagnolo di nome Moshè de Leon, iniziò a diffondere libretti tra i suoi colleghi cabalisti. Moshè dichiarava di essere semplicemente uno scriba e di copiare da un antico libro di sapienza. L’originale sarebbe stato redatto presumibilmente nella cerchia di rabbi Shim’on bar Yohai, un famoso discepolo di rabbi Akiva, che era vissuto e aveva insegnato nel II secolo in Terra d’Israele.
Questi libretti rappresentavano la prima parte di quella che sarebbe diventata un’opera immensa: il Sefer ha-Zohar, Libro dello splendore. Le dichiarazioni di de Leon furono ampiamente accettate e i presunti natali dello Zohar contribuirono a promuovere il giovane movimento cabalistico. Lo Zohar divenne gradualmente Ha-Zohar ha Qadosh, Il Santo Zohar, il testo canonico della Cabala, sui cui insegnamenti si basò la maggior parte della successiva tradizione cabalistica. Solo in tempi recenti si è fatta maggiore chiarezza sul ruolo effettivo giocato da Moshè de Leon nella generazione dello Zohar.
Più che uno scriba, de Leon fu l’autore dello Zohar. Egli attinse da materiale più antico, forse collaborò con altri cabalisti e forse credette sinceramente di trasmettere antichi insegnamenti. E’ possibile che parti dello Zohar siano state composte tramite scrittura automatica, una tecnica secondo cui il mistico dovrebbe meditare su un nome divino, entrare in trance e iniziare a “scrivere qualunque cosa arrivi alla mano”. Pare che questa tecnica fosse utilizzata anche da altri cabalisti del XIII secolo, ma Moshè de Leon intessé le sue varie fonti in un capolavoro: un commento sulla Torah in foggia di novella mistica. La trama dello Zohar si concentra fondamentalmente sulle sefirot. Penetrando la superficie letterale della Torah, i commentatori mistici trasformano la narrazione biblica in una biografia di Dio. La Torah nella sua interezza è letta come un nome di Dio che esprime l’essere divino. Anche un versetto apparentemente insignificante può rivelare le dinamiche interne delle sefirot: il modo in cui Dio percepisce, reagisce e agisce, la maniera in cui Lei e Lui si pongono in intima relazione tra loro e con il mondo.
Il capitolo di apertura della Genesi apparentemente descrive la creazione del mondo, ma in realtà allude ad un ancor più primordiale inizio: l’emanazione delle sefirot, la loro derivazione dall’Infinito, o En Sof (letteralmente “senza fine”). In antitesi con il Dio personale delle sefirot, l’En Sof rappresenta l’essenziale trascendenza di Dio. Niente più del suo nome può essere detto. Qui i mistici ebrei adottarono la teologia negativa di Maimonide che aveva insegnato:
“La descrizione di Dio per mezzo di negazioni è quella corretta, una descrizione autentica, che non indulge a facili linguaggi… Più aumentano le negazioni che riguardano Dio, più ci si avvicina alla sua comprensione”.
La prima sefirah condivide la natura negativa dell’En Sof ed è talvolta indicata come Ayin, Nulla. Secondo la definizione di un cabalista:
L’Ayin esiste più di tutti gli esseri mondani, ma poiché è semplice, e tutte le cose semplici sono complesse se comparate alla loro semplicità, si chiama Ayin.
In questo stato originale, Dio è un essere indifferenziato, né questo né quello, una non-cosa.
La prima sefirah è più comunemente chiamata Keter, Corona. E’ la corona sul capo di Adam Qadmon, l’Adamo primordiale. Secondo il capitolo di apertura della Genesi, l’essere umano viene creato a immagine di Dio. Le sefirot costituiscono l’archetipo divino di quell’immagine, il modello mitico dell’essere umano, la nostra originaria natura. Le sefirot sono anche descritte come un albero cosmico che cresce verso il basso con le radici poste in alto, in Keter, la radice delle radici.
Dalle profondità del Nulla risplende il punto primordiale di Hokmah, Sapienza, la seconda sefirah. Questo punto si espande in un cerchio, la sefirah di Binah, Intelligenza. Binah è il grembo, la Madre divina. Ricevendo il seme, il punto di Hokmah, essa concepisce le sette sefirot inferiori. Anche l’essere creato trova in lei la sua origine: essa è “la totalità di tutte le individuazioni”.
Queste tre sefirot superiori (Keter, Hokmah e Binah) rappresentano la testa del corpo divino e sono considerate più occulte della discendenza di Binah. Essa dà luce innanzitutto a Hesed (Amore) e Gevurah (Potenza), anche conosciuta come Din (Giudizio). Hesed e Gevurah sono le braccia, rispettivamente destra e sinistra, di Dio, due poli della personalità divina: amore che fluisce liberamente e giudizio rigoroso, clemenza e restrizione. Entrambi sono essenziali per il corretto funzionamento del mondo.
Idealmente il raggiungimento di un equilibrio è simboleggiato dalla sefirah centrale, Tif’eret (Bellezza), anche chiamata Rahamim (Misericordia). Se il giudizio non è ammorbidito dall’amore, esso attacca con violenza e minaccia di distruggere la vita. Qui riposa l’origine del male, chiamato Sitra Ahra, l’Altra Parte. Da una prospettiva più radicale, il male deriva dal pensiero divino che, prima di emanare il bene, elimina gli scarti. Il demoniaco è radicato nel divino.
Tif’eret è il tronco del corpo sefirotico, chiamato anche Cielo, Sole, Re e il Santo, sia egli benedetto, il nome rabbinico di uso corrente per Dio. Esso è figlio di Hokmah e Binah.
Le due successive sefirot sono Netzah (Eternità) e Hod (Fasto) che costituiscono le gambe, rispettivamente destra e sinistra, del corpo e sono la fonte della profezia. Yesod (Fondamento) è la nona sefirah e rappresenta il fallo, la forza generativa dell’universo. E’ anche chiamato Tzaddiq (il Giusto) e a lui, secondo le interpretazioni, si riferisce Proverbi 10, 25 “Il giusto è il fondamento del mondo”. Yesod è l’axis mundi, il pilastro cosmico. Attraverso di lui vengono incanalate, verso l’ultima sefirah, Malkut, luce e forza delle precedenti sefirot.
Malkut (Regno) è anche nota come Shekinah (Presenza). Nella letteratura ebraica più antica, la Shekinah compare frequentemente come l’immanenza di Dio, ma non è ancora apertamente femminile. Nella Cabala, la Shekinah diviene completamente una Lei: figlia di Binah, sposa di Tif’eret, la metà femminile di Dio. La Shekinah è “il segreto del possibile”, essa riceve l’emanazione dall’alto e genera la molteplicità delle forme di vita in basso.
Dall’alto in basso, le sefirot rappresentano il dramma dell’emanazione, il passaggio dall’En Sof alla creazione. Dal basso in alto, le sefirot costituiscono una scala che sale verso l’Uno. Dall’unione di Tif’eret e Shekinah nasce l’anima umana e il viaggio mistico inizia con la presa di coscienza di questo spirituale evento della vita. La Shekinah è l’apertura al divino: “Chi entra, deve farlo attraverso questa porta” (Zohar). Una volta all’interno, le sefirot non sono più un astratto sistema teologico, ma divengono una mappa della coscienza.
“La descrizione di Dio per mezzo di negazioni è quella corretta, una descrizione autentica, che non indulge a facili linguaggi… Più aumentano le negazioni che riguardano Dio, più ci si avvicina alla sua comprensione”.
La prima sefirah condivide la natura negativa dell’En Sof ed è talvolta indicata come Ayin, Nulla. Secondo la definizione di un cabalista:
L’Ayin esiste più di tutti gli esseri mondani, ma poiché è semplice, e tutte le cose semplici sono complesse se comparate alla loro semplicità, si chiama Ayin.
In questo stato originale, Dio è un essere indifferenziato, né questo né quello, una non-cosa.
La prima sefirah è più comunemente chiamata Keter, Corona. E’ la corona sul capo di Adam Qadmon, l’Adamo primordiale. Secondo il capitolo di apertura della Genesi, l’essere umano viene creato a immagine di Dio. Le sefirot costituiscono l’archetipo divino di quell’immagine, il modello mitico dell’essere umano, la nostra originaria natura. Le sefirot sono anche descritte come un albero cosmico che cresce verso il basso con le radici poste in alto, in Keter, la radice delle radici.
Dalle profondità del Nulla risplende il punto primordiale di Hokmah, Sapienza, la seconda sefirah. Questo punto si espande in un cerchio, la sefirah di Binah, Intelligenza. Binah è il grembo, la Madre divina. Ricevendo il seme, il punto di Hokmah, essa concepisce le sette sefirot inferiori. Anche l’essere creato trova in lei la sua origine: essa è “la totalità di tutte le individuazioni”.
Queste tre sefirot superiori (Keter, Hokmah e Binah) rappresentano la testa del corpo divino e sono considerate più occulte della discendenza di Binah. Essa dà luce innanzitutto a Hesed (Amore) e Gevurah (Potenza), anche conosciuta come Din (Giudizio). Hesed e Gevurah sono le braccia, rispettivamente destra e sinistra, di Dio, due poli della personalità divina: amore che fluisce liberamente e giudizio rigoroso, clemenza e restrizione. Entrambi sono essenziali per il corretto funzionamento del mondo.
Idealmente il raggiungimento di un equilibrio è simboleggiato dalla sefirah centrale, Tif’eret (Bellezza), anche chiamata Rahamim (Misericordia). Se il giudizio non è ammorbidito dall’amore, esso attacca con violenza e minaccia di distruggere la vita. Qui riposa l’origine del male, chiamato Sitra Ahra, l’Altra Parte. Da una prospettiva più radicale, il male deriva dal pensiero divino che, prima di emanare il bene, elimina gli scarti. Il demoniaco è radicato nel divino.
Tif’eret è il tronco del corpo sefirotico, chiamato anche Cielo, Sole, Re e il Santo, sia egli benedetto, il nome rabbinico di uso corrente per Dio. Esso è figlio di Hokmah e Binah.
Le due successive sefirot sono Netzah (Eternità) e Hod (Fasto) che costituiscono le gambe, rispettivamente destra e sinistra, del corpo e sono la fonte della profezia. Yesod (Fondamento) è la nona sefirah e rappresenta il fallo, la forza generativa dell’universo. E’ anche chiamato Tzaddiq (il Giusto) e a lui, secondo le interpretazioni, si riferisce Proverbi 10, 25 “Il giusto è il fondamento del mondo”. Yesod è l’axis mundi, il pilastro cosmico. Attraverso di lui vengono incanalate, verso l’ultima sefirah, Malkut, luce e forza delle precedenti sefirot.
Malkut (Regno) è anche nota come Shekinah (Presenza). Nella letteratura ebraica più antica, la Shekinah compare frequentemente come l’immanenza di Dio, ma non è ancora apertamente femminile. Nella Cabala, la Shekinah diviene completamente una Lei: figlia di Binah, sposa di Tif’eret, la metà femminile di Dio. La Shekinah è “il segreto del possibile”, essa riceve l’emanazione dall’alto e genera la molteplicità delle forme di vita in basso.
Dall’alto in basso, le sefirot rappresentano il dramma dell’emanazione, il passaggio dall’En Sof alla creazione. Dal basso in alto, le sefirot costituiscono una scala che sale verso l’Uno. Dall’unione di Tif’eret e Shekinah nasce l’anima umana e il viaggio mistico inizia con la presa di coscienza di questo spirituale evento della vita. La Shekinah è l’apertura al divino: “Chi entra, deve farlo attraverso questa porta” (Zohar). Una volta all’interno, le sefirot non sono più un astratto sistema teologico, ma divengono una mappa della coscienza.
Nel 1492 gli ebrei furono cacciati dalla Spagna. Insieme a decine di migliaia di altri esuli, i cabalisti si diressero verso il nord Africa, l’Italia e il Mediterraneo orientale diffondendo idee mistiche. Alla metà del XVI secolo, la Cabala, con lo Zohar come suo nucleo, era ormai diventata un importante fattore spirituale della vita ebraica.
Un flusso sempre maggiore di cabalisti cominciò ad arrivare in Palestina. Il loro centro fu inizialmente Gerusalemme, ma a partire dagli anni Quaranta del XVI secolo, divenne più importante il villaggio di Safed.
Una figura di spicco della comunità mistica di Safed fu Moshè Cordovero (1522-1570) che fuse lo Zohar alla Cabala estatica. In questa l’accento è posto sulle tecniche di meditazione, in particolar modo la recitazione dei nomi divini e le combinazioni delle lettere dell’alfabetico ebraico, basate sul Sefer Yetzirah.
Dopo la morte di Cordovero, come maestro mistico fu riconosciuto uno dei suoi allievi, Isaac Luria. Contrariamente al prolifico Cordovero, Luria scrisse pochissimo. Conosciamo pertanto i suoi insegnamenti dagli scritti dei suoi discepoli, specialmente quelli di Hayyim Vital.
Luria riflettè sul problema delle origini. Elaborando precedenti formulazioni, Luria insegnò che il primo atto divino non fu l’emanazione, bensì la contrazione. L’En Sof ritrasse la sua presenza “da sé a sé”, ritirandosi in tutte le direzioni a partire da un punto al centro della sua infinità, creando in tal modo, per così dire, un vuoto. Questo vuoto servì da luogo della creazione. Nel vuoto, l’En Sof emanò un raggio di luce, incanalato in vasi. Da principio tutto andò bene, ma non appena il processo di emanazione avanzò, alcuni vasi non riuscirono a resistere alla forza della luce e andarono in frantumi. La maggior parte della luce ritornò alla sua fonte infinita, ma il resto cadde sotto forma di scintille, insieme ai cocci dei vasi.
Alla fine, queste scintille restarono intrappolate nell’esistenza materiale. Il compito dell’uomo è quello di liberare, o innalzare, queste scintille per restituirle alla divinità.Da qui il mito luriano dello tzimtzum (contrazione o ritiro), della shevirah (frantumazione) e del tiqqun(restaurazione o riparazione) assunse un ruolo centrale nella Cabala. Questo processo di tiqqun si compie per mezzo di una vita di santità. Tutte le azioni umane favoriscono o, al contrario, ostacolano, il tiqqun, accelerando o ritardando, così, l’arrivo del Messia. Da un certo punto di vista, il Messia è modellato dalle nostre azioni etiche e spirituali.
L’insegnamento di Luria fa eco ad uno dei detti paradossali di Franz Kafka:Il Messia verrà solamente quando non sarà più necessario; verrà solo il giorno dopo il suo arrivo. Le antiche razze serbavano il ricordo di un libro primitivo, scritto in geroglifici dai saggi della prima epoca del mondo. Più tardi esso fu semplificato e volgarizzato, e i suoi simboli fornirono le lettere all’arte della scrittura, i caratteri al mondo e i segni a ogni vera filosofia. Negli scritti cabalistici leggiamo che Dio stesso rivelò la Cabala al genere umano nei tempi biblici. Adamo ricevette un libro cabalistico dall’angelo Raziele, e grazie a questa saggezza riuscì a superare il dolore della sua caduta e a riottenere la dignità. Il Libro di Raziele fu dato aSalomone che, per il suo potere, sottomise la terra e l’inferno.
Questo libro “primitivo” venne attribuito dagli Ebrei a Enoch, settimo patriarca dopo Adamo; dagli Egiziani aErmes; dai Greci a Cadmo, il misterioso costruttore dalla città sacra. Il libro era il sommario simbolico di tutta la tradizione primitiva, chiamato di conseguenza Cabala, che significa “ricezione”.Un flusso sempre maggiore di cabalisti cominciò ad arrivare in Palestina. Il loro centro fu inizialmente Gerusalemme, ma a partire dagli anni Quaranta del XVI secolo, divenne più importante il villaggio di Safed.
Una figura di spicco della comunità mistica di Safed fu Moshè Cordovero (1522-1570) che fuse lo Zohar alla Cabala estatica. In questa l’accento è posto sulle tecniche di meditazione, in particolar modo la recitazione dei nomi divini e le combinazioni delle lettere dell’alfabetico ebraico, basate sul Sefer Yetzirah.
Dopo la morte di Cordovero, come maestro mistico fu riconosciuto uno dei suoi allievi, Isaac Luria. Contrariamente al prolifico Cordovero, Luria scrisse pochissimo. Conosciamo pertanto i suoi insegnamenti dagli scritti dei suoi discepoli, specialmente quelli di Hayyim Vital.
Luria riflettè sul problema delle origini. Elaborando precedenti formulazioni, Luria insegnò che il primo atto divino non fu l’emanazione, bensì la contrazione. L’En Sof ritrasse la sua presenza “da sé a sé”, ritirandosi in tutte le direzioni a partire da un punto al centro della sua infinità, creando in tal modo, per così dire, un vuoto. Questo vuoto servì da luogo della creazione. Nel vuoto, l’En Sof emanò un raggio di luce, incanalato in vasi. Da principio tutto andò bene, ma non appena il processo di emanazione avanzò, alcuni vasi non riuscirono a resistere alla forza della luce e andarono in frantumi. La maggior parte della luce ritornò alla sua fonte infinita, ma il resto cadde sotto forma di scintille, insieme ai cocci dei vasi.
Alla fine, queste scintille restarono intrappolate nell’esistenza materiale. Il compito dell’uomo è quello di liberare, o innalzare, queste scintille per restituirle alla divinità.Da qui il mito luriano dello tzimtzum (contrazione o ritiro), della shevirah (frantumazione) e del tiqqun(restaurazione o riparazione) assunse un ruolo centrale nella Cabala. Questo processo di tiqqun si compie per mezzo di una vita di santità. Tutte le azioni umane favoriscono o, al contrario, ostacolano, il tiqqun, accelerando o ritardando, così, l’arrivo del Messia. Da un certo punto di vista, il Messia è modellato dalle nostre azioni etiche e spirituali.
L’insegnamento di Luria fa eco ad uno dei detti paradossali di Franz Kafka:Il Messia verrà solamente quando non sarà più necessario; verrà solo il giorno dopo il suo arrivo. Le antiche razze serbavano il ricordo di un libro primitivo, scritto in geroglifici dai saggi della prima epoca del mondo. Più tardi esso fu semplificato e volgarizzato, e i suoi simboli fornirono le lettere all’arte della scrittura, i caratteri al mondo e i segni a ogni vera filosofia. Negli scritti cabalistici leggiamo che Dio stesso rivelò la Cabala al genere umano nei tempi biblici. Adamo ricevette un libro cabalistico dall’angelo Raziele, e grazie a questa saggezza riuscì a superare il dolore della sua caduta e a riottenere la dignità. Il Libro di Raziele fu dato aSalomone che, per il suo potere, sottomise la terra e l’inferno.
La tradizione di questa è fondata su di un dogma della magia: “Il visibile è per noi la misura proporzionale dell’invisibile”. Gli antichi, osservando che l’equilibrio è la legge universale della fisica e segue l’apparente opposizione di due forze, derivarono dall’equilibrio fisico quello metafisico. Essi erano convinti che nella prima causa vivente e attiva dovevano riconoscersi due proprietà necessarie l’una all’altra. Esse erano la stabilità e il moto, la necessità e la libertà, l’ordine razionale e l’autonomia volitiva, la giustizia e l’amore e, di conseguenza, la severità e la misericordia. E questi due attributi erano personificati, per così dire, dai cabalisti ebrei.
Secondo la Cabala questa è la base di tutte le religioni e di tutte le scienze: un triplo triangolo e un circolo. La nozione di questa triade fu spiegata dall’equilibrio moltiplicato per se stesso nei domini dell’ideale. Da essa derivò la comprensione di questa concezione in forme simboliche. Gli antichi unirono la prima nozione di questa semplice teologia all’idea di numero, e qualificarono ogni cifra della prima decade nel modo seguente:
1. La Corona, il potere equilibrante (Kether).
2. Sapienza equilibrata nel suo ordine immutabile per iniziativa dell’intelligenza (Chokmah).
3. Intelligenza attiva, equilibrata dalla sapienza (Binah).
4. Misericordia, che è sapienza nella sua concezione secondaria, sempre benevola perché è forte (Chesed).
5. Severità, richiesta dalla sapienza stessa e dal buon volere. Permettere il male significa ostacolare il bene (Geburah).
6. Bellezza, la luminosa concezione dell’equilibrio nelle forme, l’intermediario fra la Corona e il Regno, il principio mediante fra il Creatore e la creazione, o sublime concezione di poesia e del suo sacerdozio sovrano (Tiferet).
7. Vittoria, l’eterno trionfo dell’intelligenza e della giustizia (Nesah).
8. Eternità, la conquista raggiunta della mente sulla materia, dell’attivo sul passivo, della vita sulla morte (Hod).
9. Fondazione, la base di ogni fede e di ogni verità, l’Assoluto in filosofia (Yesod).
10. Il Regno, l’universo, l’intera creazione, l’opera e lo specchio di Dio, la prova di ogni suprema ragione, la conoscenza formale che ci spinge a ricorrere a premesse virtuali, l’enigma a cui solo Dio può rispondere. Ragione suprema e assoluta (Malkuth).
I processi della creazione sono una dualità di involuzione ed evoluzione. L’una è inseparabile dall’altra. Per quanto possa apparire paradossale al non iniziato, è una divina verità che l’evoluzione e il compimento della vita spirituale si raggiunge solo con un rigoroso processo di involuzione che va dal di fuori al di dentro, o dall’infinitamente grande all’infinitamente piccolo.
Per capire meglio questo mistero dobbiamo usare una serie di simboli. Di conseguenza concepiamo il divino fuoco dell’essenza primaria come il centro spirituale dell’universo. Questo raggio costituisce un triuno da cui emana la pura, bianca luce dell’unità senza forma. Questo centro costituisce un regno di Sephiroth, una sfera solare di potenzialità viventi: puri esseri divini infinitamente superiori ai più alti cori degli arcangeli. Come tale, lo concepiamo fluire, al pari di un granello, nell’infinito oceano dell’amore divino, circondato dalla fulgida luce della Corona senza nome.
Questa sfera divina, in questo stadio, è completamente passiva. Vi regna il Nirvana con la benedetta radiazione del suo petto immobile. Ma si avvicina il tempo in cui la grande missione nello schema della creazione deve iniziare. Arriva il momento e appena scaturisce la prima pulsazione creativa di pensiero nell’intera sfera dell’immobile, informe, debole luce, essa irradia vivente energia spirituale.
La delicata, luce bianca è cessata e in suo luogo raggiano in ogni concepibile direzione i potenti oceani di forza, ognuno differente in velocità, colore e potenzialità. Il passivo è divenuto attivo, l’immobile ha cominciato a muoversi e lo spazio vuoto è attraversato dalle ali della luce.
Il sole si è rifratto e una porzione dell’infinita luce si è decomposta nei suoi originari, illimitati attributi. Questo, nel linguaggio mistico e allegorico della Cabala è considerato l’evoluzione delle sette Sephiroth attive dalla prima trinità di Amore, Saggezza e Corona.
Queste sette Sephiroth attive costituiscono i sette principi della natura. Esse formano sette punti o sottocentri attorno al divino centro genitore, il sole spirituale. Sono questi i sette stati di vita angelica da cui la divina matrice spirituale emette tutti gli atomi vitali del loro universo creato.
Quando comincia l’alba di ogni universo, la pura essenza senza forma viene immessa, prima di essere implicata dalla volontà deifica delle gerarchie angeliche. E’ immessa dai regni del non manifesto nella sfera solare della vita creativa. Questo contatto provoca immediatamente un grande cambiamento. Essa non è più senza forma ma atomica e dotata dell’attributo o stato della polarità.
Questa polarità evolve una specie di associazione e divide equamente la sostanza senza forma in due parti fondamentali. Ogni parte è necessariamente al servizio dell’altra nell’esistenza manifesta. L’una è positiva e l’altra negativa. Il raggio positivo è quello che costituisce il fuoco spirituale vivente di tutte le cose. I suoi atomi sono infinitamente sottili. Il raggio negativo tende sempre verso uno stato di riposo o di inerzia. I suoi atomi sono rozzi e sciolti al confronto con quelli del raggio positivo.
La sostanza formata dal raggio negativo è quella che costituisce le varie specie di quella che chiamiamo materia. Esso forma ogni materia, dalla sostanza inconcepibilmente sottile ed eterealizzata che compone le forme dei divini arcangeli solari fino alle rozze vene minerali di denso e pesante metallo.
Di conseguenza, quando parliamo genericamente di spirito e materia, queste parole sono perfettamente prive di significato in senso occulto. Quello che chiamiamo spirito non è puro spirito ma solo l’attributo positivo o attivo di ciò che chiamiamo materia. Quindi la materia è irreale; è solo un’apparenza prodotta dal raggio negativo e questa apparenza è il risultato di una polarità o di un maggior moto. L’uno è dritto e penetrante, l’altro rotondo e avviluppante.
Dopo questa necessaria digressione, riprendiamo la nostra discussione. Dai sette stati angelici menzionati ha inizio l’involuzione spirituale. Ognuna delle sette sfere è il riflesso di uno dei sette principi che costituiscono la mente divina. Da questa riflessione scaturiscono le razze angeliche, inferiori solo in potere mentale e potenzialità ai loro genitori. Poi, a loro volta, vengono prodotti stati celesti ancora più bassi, ogni stato corrispondendo in natura, colore e attributi alla sfera da cui è nato o è stato riflesso. Sebbene ogni stato nella scala discendente sia simile per corrispondenza, diviene inferiore in dimensione e più materiale. Le potenze spirituali delle sue razze angeliche sono più deboli e meno attive, perché sono sempre più avviluppate nella materia via via che discendono le scale.
Così procede l’involuzione, implicando stato dopo stato e sfera dopo sfera, formando una serie di circoli la cui linea di movimento, o di discesa, non è sul piano della loro orbita. La forma diviene così una spirale finché è raggiunto il punto più basso. Oltre questo punto il moto è impossibile, e l’infinitamente grande è divenuto l’infinitamente piccolo. Questo è il grande punto polarizzante da cui viene riflesso il mondo materiale. Esso è il più basso possibile piano di vita, che ha formato la prima eterea razza umana sul nostro pianeta. Così ha introdotto nell’esistenza la famosa Età dell’Oro della mitologia. La Cabala, nella sua complessità, viene normalmente classificata in: pratica, letterale, non scritta, dogmatica. In particolare la Cabala dogmatica comprende la parte teorica e si basa sull’elaborazione di alcuni testi fondamentali, tra cui lo Sepher Yetzirah, attribuito al patriarca Abramo, lo Zohar, il Sepher Sephirot e alcuni altri tra cui il Libro dell’Angelo Raziel.
Per capire meglio questo mistero dobbiamo usare una serie di simboli. Di conseguenza concepiamo il divino fuoco dell’essenza primaria come il centro spirituale dell’universo. Questo raggio costituisce un triuno da cui emana la pura, bianca luce dell’unità senza forma. Questo centro costituisce un regno di Sephiroth, una sfera solare di potenzialità viventi: puri esseri divini infinitamente superiori ai più alti cori degli arcangeli. Come tale, lo concepiamo fluire, al pari di un granello, nell’infinito oceano dell’amore divino, circondato dalla fulgida luce della Corona senza nome.
Questa sfera divina, in questo stadio, è completamente passiva. Vi regna il Nirvana con la benedetta radiazione del suo petto immobile. Ma si avvicina il tempo in cui la grande missione nello schema della creazione deve iniziare. Arriva il momento e appena scaturisce la prima pulsazione creativa di pensiero nell’intera sfera dell’immobile, informe, debole luce, essa irradia vivente energia spirituale.
La delicata, luce bianca è cessata e in suo luogo raggiano in ogni concepibile direzione i potenti oceani di forza, ognuno differente in velocità, colore e potenzialità. Il passivo è divenuto attivo, l’immobile ha cominciato a muoversi e lo spazio vuoto è attraversato dalle ali della luce.
Il sole si è rifratto e una porzione dell’infinita luce si è decomposta nei suoi originari, illimitati attributi. Questo, nel linguaggio mistico e allegorico della Cabala è considerato l’evoluzione delle sette Sephiroth attive dalla prima trinità di Amore, Saggezza e Corona.
Queste sette Sephiroth attive costituiscono i sette principi della natura. Esse formano sette punti o sottocentri attorno al divino centro genitore, il sole spirituale. Sono questi i sette stati di vita angelica da cui la divina matrice spirituale emette tutti gli atomi vitali del loro universo creato.
Quando comincia l’alba di ogni universo, la pura essenza senza forma viene immessa, prima di essere implicata dalla volontà deifica delle gerarchie angeliche. E’ immessa dai regni del non manifesto nella sfera solare della vita creativa. Questo contatto provoca immediatamente un grande cambiamento. Essa non è più senza forma ma atomica e dotata dell’attributo o stato della polarità.
Questa polarità evolve una specie di associazione e divide equamente la sostanza senza forma in due parti fondamentali. Ogni parte è necessariamente al servizio dell’altra nell’esistenza manifesta. L’una è positiva e l’altra negativa. Il raggio positivo è quello che costituisce il fuoco spirituale vivente di tutte le cose. I suoi atomi sono infinitamente sottili. Il raggio negativo tende sempre verso uno stato di riposo o di inerzia. I suoi atomi sono rozzi e sciolti al confronto con quelli del raggio positivo.
La sostanza formata dal raggio negativo è quella che costituisce le varie specie di quella che chiamiamo materia. Esso forma ogni materia, dalla sostanza inconcepibilmente sottile ed eterealizzata che compone le forme dei divini arcangeli solari fino alle rozze vene minerali di denso e pesante metallo.
Di conseguenza, quando parliamo genericamente di spirito e materia, queste parole sono perfettamente prive di significato in senso occulto. Quello che chiamiamo spirito non è puro spirito ma solo l’attributo positivo o attivo di ciò che chiamiamo materia. Quindi la materia è irreale; è solo un’apparenza prodotta dal raggio negativo e questa apparenza è il risultato di una polarità o di un maggior moto. L’uno è dritto e penetrante, l’altro rotondo e avviluppante.
Dopo questa necessaria digressione, riprendiamo la nostra discussione. Dai sette stati angelici menzionati ha inizio l’involuzione spirituale. Ognuna delle sette sfere è il riflesso di uno dei sette principi che costituiscono la mente divina. Da questa riflessione scaturiscono le razze angeliche, inferiori solo in potere mentale e potenzialità ai loro genitori. Poi, a loro volta, vengono prodotti stati celesti ancora più bassi, ogni stato corrispondendo in natura, colore e attributi alla sfera da cui è nato o è stato riflesso. Sebbene ogni stato nella scala discendente sia simile per corrispondenza, diviene inferiore in dimensione e più materiale. Le potenze spirituali delle sue razze angeliche sono più deboli e meno attive, perché sono sempre più avviluppate nella materia via via che discendono le scale.
Così procede l’involuzione, implicando stato dopo stato e sfera dopo sfera, formando una serie di circoli la cui linea di movimento, o di discesa, non è sul piano della loro orbita. La forma diviene così una spirale finché è raggiunto il punto più basso. Oltre questo punto il moto è impossibile, e l’infinitamente grande è divenuto l’infinitamente piccolo. Questo è il grande punto polarizzante da cui viene riflesso il mondo materiale. Esso è il più basso possibile piano di vita, che ha formato la prima eterea razza umana sul nostro pianeta. Così ha introdotto nell’esistenza la famosa Età dell’Oro della mitologia. La Cabala, nella sua complessità, viene normalmente classificata in: pratica, letterale, non scritta, dogmatica. In particolare la Cabala dogmatica comprende la parte teorica e si basa sull’elaborazione di alcuni testi fondamentali, tra cui lo Sepher Yetzirah, attribuito al patriarca Abramo, lo Zohar, il Sepher Sephirot e alcuni altri tra cui il Libro dell’Angelo Raziel.
Oltre allo Zohar (Libro della Luminosità) va menzionato il Khemot (Libro dei Nomi). E’ qui che si trova l’elenco dei Nomi dei 72 angeli che circondano il trono di Dio, in continua rotazione secondo un’ellisse che collega tutte le costellazioni dello zodiaco. L’arco zodiacale (360°) è diviso in sezioni di cinque gradi e ciascuna di queste corrisponde ad un periodo di circa cinque giorni dell’anno (365 giorni); ogni periodo è dominato da uno dei 72 angeli.
Ciascuno degli angeli zodiacali (definiti anche "custodi") esercita un particolare influsso sui nati nel periodo in cui è dominante, assicurando protezione e trasmettendo le energie e i doni specifici di cui è portatore. Inoltre, ogni angelo governa per 20 minuti ciascuno durante l’arco della giornata e un giorno specifico (ogni 72 giorni, in successione agli altri angeli) durante l’arco dell’anno. Questi sono gli angeli del giorno e gli angeli delle missioni.
Per quanto riguarda l'origine dei Nomi degli angeli vi rimandiamo alla sezione specifica del sito; brevemente, qui possiamo dire che sono ricavati dai tre versetti del capitolo 14 dell’Esodo, uno dei cinque libri di Mosè. Ogni versetto è formato da 72 lettere. Il Nome di ogni angelo è formato a sua volta da tre lettere ebraiche più la terminazione -iah, -ael, -el oppure -iel che sono Nomi divini attribuiti a diverse schiere di angeli, in relazione alla loro posizione celeste. L’importanza dei quattro punti cardinali e del cielo per la decifrazione dei Nomi angelici e non solo viene evidenziata dallo Zohar:
Chi viaggia di buon mattino guardi attentamente all’Est, e là vedrà qualcosa come lettere marcianti nel cielo, alcune sorgenti ed altre declinanti: questi brillanti caratteri sono le lettere con cui Dio ha formato il cielo e la terra...
Ogni angelo porta con sé un "attributo divino", una sorta di inno che egli canta incessantemente e con il quale testimonia la grandezza divina. Ciascuno degli attributi divini che l’angelo inneggia perennemente come un mantra, è anche il "dono" che egli porta al suo protetto.
Come per tutte le cose, per ogni angelo di Luce esiste un angelo oscuro dello stesso ordine e grado. Esiste dunque un’altra lista di 72 Nomi, portatori di 72 attributi di sofferenze e discordia... che comunque non troverete qui.
Per quanto riguarda l'origine dei Nomi degli angeli vi rimandiamo alla sezione specifica del sito; brevemente, qui possiamo dire che sono ricavati dai tre versetti del capitolo 14 dell’Esodo, uno dei cinque libri di Mosè. Ogni versetto è formato da 72 lettere. Il Nome di ogni angelo è formato a sua volta da tre lettere ebraiche più la terminazione -iah, -ael, -el oppure -iel che sono Nomi divini attribuiti a diverse schiere di angeli, in relazione alla loro posizione celeste. L’importanza dei quattro punti cardinali e del cielo per la decifrazione dei Nomi angelici e non solo viene evidenziata dallo Zohar:
Chi viaggia di buon mattino guardi attentamente all’Est, e là vedrà qualcosa come lettere marcianti nel cielo, alcune sorgenti ed altre declinanti: questi brillanti caratteri sono le lettere con cui Dio ha formato il cielo e la terra...
Ogni angelo porta con sé un "attributo divino", una sorta di inno che egli canta incessantemente e con il quale testimonia la grandezza divina. Ciascuno degli attributi divini che l’angelo inneggia perennemente come un mantra, è anche il "dono" che egli porta al suo protetto.
Come per tutte le cose, per ogni angelo di Luce esiste un angelo oscuro dello stesso ordine e grado. Esiste dunque un’altra lista di 72 Nomi, portatori di 72 attributi di sofferenze e discordia... che comunque non troverete qui.
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