domenica 14 dicembre 2014

Il Monachesimo

Il monachesimo è un movimento spirituale che sorge in alcune religioni che, seppure in forme diverse, viene accomunato dalla ricerca di una realtà che trascenda la vita presente, mediante l'ascesi, la preghiera e la contemplazione, vivendo in solitudine o in comunità più o meno ristrette. Grandi movimenti monastici li troviamo nell'induismo, nel buddhismo e nel cristianesimo.
Nel mondo cristiano, il monachesimo ebbe origine tra la fine del III e gli inizi del IV secolo, in un periodo particolare, in cui finiva il mondo cosiddetto antico, e l’impero romano era già diviso fra Occidente ed Oriente. In quell’epoca, la Chiesa possedeva un’organizzazione abbastanza solida, una gerarchia, un culto, una letteratura. Col monachesimo inizia una forma di vita consacrata interamente alla preghiera e alla penitenza, nell’isolamento dal mondo.
Alcuni cristiani, specialmente in Egitto e in Palestina, ma anche inSiria e in Mesopotamia, iniziarono a ritirarsi nel deserto con l’intento di voler riaffermare che "il regno di Dio non è di questo mondo" e rivendicare i più alti valori dello spirito, insieme ad una protesta (più o meno esplicita) contro i pericoli della mondanità. In realtà la sua origine risale ai primi convertiti che, nelle città, vivevano in modo radicale la propria fede alla ricerca di un'unione intima ed esclusiva con Cristo. Il loro ideale era quello di piacere soltanto a Dio e di anticipare in qualche modo sulla terra quella vita trascendente in cui Dio è "tutto in tutti".
L’etimologia del termine “monaco” (dal greco mónachos = unico, solo) ha una lunga storia che inizia con Platone. Ha avuto diverse interpretazioni: Gerolamo la intende con “solitario”; i padri orientali con “persona unificata”; Agostino con persona mirante all’“unanimità” coi fratelli; nel mondo siriaco pensando al monaco come imitatore di Cristo, “l’unigenito”.
La prima espressione di vita monastica è sicuramente quellaeremitica o anacoretica. Gerolamo definisce gli anacoreti quanti abitano da soli nei deserti e prendono il loro nome dal fatto che si sono ritirati lontano dagli uomini. Il termine originario grecoanachoréo (= ritirarsi) significa la fuga nel deserto dei debitori insolventi. Gli anacoreti si caratterizzano per il loro isolamento pressoché totale, l'astinenza sessuale, le penitenze, il lavoro manuale e l'assenza di un superiore. In mancanza di fonti attendibili, non è possibile sapere dettagli sull'istituzione di questo tipo di vita. Solo successivamente farà seguito una vita associata o cenobitica (dal greco koínos bíos = vita comune). Fu Pacomio (292-347) che, dopo un'esperienza personale di vita eremitica, diede forma al cenobitismo impostato sulla convivenza nella totale condivisione dei beni e nella preghiera comune, nell'osservanza della stessa regola, nel lavoro manuale e nell'obbedienza all'abate. La sua prima comunità venne fondata nel 323 a Tabennisi, nell'alto Egitto. La sua Regola, di 194 articoli, venne osservata in poco più di vent'anni da nove conventi maschili e due femminili.
Anche Antonio il Grande (250-355), dopo un periodo di anacoretismo divenne "padre" di alcuni piccoli monasteri che facevano capo a lui.Basilio di Cesarea (330-379), grazie alle esperienze monastiche che lo avevano preceduto, iniziò ad apportare modifiche e correzioni alle forme cenobitiche già in atto. Egli impostò la convivenza comunitario su un tipo di rapporto amicale, convinto che soltanto la vita  cenobitica garantisse l'esercizio della carità. La coabitazione costituisce infatti un campo di prova, un continuo esercizio , un'ininterrotta meditazione dei precetti del Signore. Basilio limitò il numero dei monaci che vivevano assieme e inserì i monasteri all'interno della realtà sociale ed ecclesiale, aggregando ospizi, scuole, orfanotrofi. Ridimensionò l'impegno dei lavori manuali, dando maggior rilievo alla preghiera e allo studio. Infine, Gerolamo(347-419) riuscì ad esportare nell'Occidente queste forme di vita ascetica sorte nel mondo orientale. Il monachesimo degli inizi e quindi quello dei Padri del deserto ha un formidabile legame con la Sacra Scrittura. Questo appare evidente in alcune scelte precise, che richiamano il percorso compiuto dal popolo di Dio, soprattutto nell'Antico Testamento:
1)       il deserto, come luogo della prova, della tentazione, dell’abbandono in Dio, della lotta contro i demoni, della precarietà e transitorietà di ogni cosa (vedi più avanti);
2)      il richiamo ad Abramo e al suo abbandono della patria;
3)      i luoghi santi come il Sinai e il Carmelo;
4)      la verginità come risposta all’invito di Cristo a seguirlo in una vita sempre più perfetta (che ha più legame col Nuovo Testamento).
Il percorso spirituale compiuto dal monachesimo è stato in primo luogo quello di rettificare le posizioni dell’inizio che portarono ad alcune degenerazioni: scarso senso ecclesiale, disordini morali, errori teologici, forme di fanatismo. Il cammino spirituale era visto come un passaggio dalla tristezza alla gioia. Sulla base delle prime esperienze compiute dai Padri del deserto venne formandosi un patrimonio comune di dottrina e di idealità. Possiamo individuare alcune tappe dell’ideale ascetico, secondo i seguenti temi:
1)       pénthos: il tema della compunzione;
2)      apótaxis: la rinuncia;
3)      anachóresis: l’allontanamento nella solitudine;
4)      áskesis: l’ascesi;
5)      agôn: il combattimento spirituale;
6)      apátheia: il dominio di sé;
7)      diákrisis: il discernimento degli spiriti;
8)      parrhesía: il riacquisto dello spirito colloquiale con Dio;
9)      theopoíesis: la deificazione.
I temi spirituali non consentono tuttavia di derivare una teologia dei Padri del deserto. Secondo M. Vannini, nel testo citato, l'esperienza specifica dei Padri presuppone un certo pelagianesimo, almeno in quanto pone l'accento sulla necessità dell'impegno personale, e anche sulle autonome capacità dell'uomo e sul suo sforzo, per conseguire la salvezza. «Sta qui la durezza ascetica dei monaci egiziani, sempre alle prese con l'insuperabile distanza che separa l'uomo da Dio: una distanza che nessuna pratica ascetica, per quanto rigorosa fino all'impossibile, può riuscire a colmare. Senza volere minimamente pretendere di formulare un giudizio, è chiaro che si giustificano le polemiche di Agostino (e poi di Lutero) contro il pelagianesimo di tipo monastico se solo si guarda a quella sorta di bilancio del dare e dell'avere nei confronti di Dio che, a volte, appare negli apoftegmi dei Padri. Nei suoi aspetti migliori, però, il rigoroso ascetismo monastico è funzionale soltanto alla distruzione dell'uomo carnale, dell'uomo vecchio, dell'uomo esteriore e alla nascita dell'uomo spirituale, dell'uomo nuovo, dell'uomo interiore. In questo caso l'ascetismo non comporta nessuna pretesa di merito, nessun giudizio sugli altri che asceti non sono, ma sostiene il netto primato della carità, che è il vero segno di perfezione, e che è poi quel che distingue la virtù dei pagani dalla grazia dei cristiani. L'ascetismo realizza la distruzione totale dell'elemento psicologico determinato e fa emergere il vero io, l'universale dell'uomo, che perde il suo egoismo, la sua volontà, e diventa tutt'uno con la volontà divina, unito a Dio nello spirito» (cfr. alle pagg. 17-18).

 Mentre le invasioni barbariche rendevano drammatiche le condizioni di vita delle popolazioni dell'Impero Romano d'Occidente, andarono costituendosi e prendendo vigore diverse istituzioni ecclesiastiche e religiose, che presto si sarebbero rivelate forze costruttive di una nuova civiltà. Tra esse il monachesimo, nei secoli che vanno dal IV all'VIII, è forse la più importante. Il monachesimo europeo proviene dal Medio Oriente; infatti l’ascetismo religioso e la vita monastica non sono peculiari del cristianesimo, ma rappresentano forme in cui l’anima ha cercato in ogni tempo di tradurre la propria sete del divino. Nel IV secolo, in Egitto, in Palestina e in Siria, sulla scia di Antonio il Grande e di altri Padri del deserto, si fecero sempre più numerosi coloro che abbandonavano completamente il mondo per vivere nella solitudine (eremos, da cui il termine di eremita, per indicare gli asceti viventi nel deserto) oppure per associarsi insieme in conventi o cenobi (dal termine greco coinobios, indicante vita in comune), onde ricercare una comunione più intensa con Dio ed innalzarsi verso la santità. In ambito cristiano, Antonio è considerato l'iniziatore della via eremitica e Pacomiodi quella cenobitica. La produzione letteraria del mondo monastico cristiano d'Oriente, in ambienti pervasi da una così fervida tensione religiosa, fu caratterizzata dall'ascetismo e da una spiritualità origeniana. Il monachesimo viene preceduto dall'anacoretismo: i fedeli più intransigenti, spinti da una forte vocazione si separavano dal resto delle comunità per meglio avvicinarsi a Dio, seguendo lo stile di vita di Cristo. Gli anacoreti o eremiti sono coloro che rinunciano completamente al mondo, scegliendo una vita fatta di silenzio e di preghiera, per tendere alla perfezione attraverso la penitenza. Esempi di vita eremitica sono, nell'Antico Testamento, Elia, nel Nuovo, san Giovanni Battista. Lo stesso Gesù condusse vita eremitica nel deserto per quaranta giorni prima di iniziare la sua predicazione. Il monachesimo degli albori si fonda sulla libertà individuale del monaco che liberamente sceglie la vita solitaria. Ma ben presto si diffuse il sistema delle regole. La regola era posta dal maestro e aveva lo scopo di organizzare la vita comunitaria. Tra le regole più famose si ricorda quella di san Benedetto da Norcia, esemplificata nel motto: Ora et labora (prega e lavora).I monaci nell'Europa Orientale si davano con fervore, che talora rasentava la frenesia, ad intense pratiche ascetiche (dal greco aschesis=esercizio), le quali univano alla preghiera ed alla meditazione ogni sorta di mortificazioni della carne, talora durissime o stravaganti addirittura, come l'astensione dal cibo, dal sonno o dal lavarsi per periodi più o meno lunghi, oppure l'infliggersi flagellazioni e torture. Tra questi, particolari furono gli stiliti e i dendriti che trascorrevano la loro vita rispettivamente su una colonna e su un albero.Il monachesimo rappresentò in sostanza una grande rivolta dello spirito autenticamente cristiano contro il pericolo di mondanizzazione della Chiesa. Come tale, esso costituì per secoli la grande riserva di forze spirituali della Chiesa ed ebbe importanza storica decisiva nello sviluppo della civiltà cristiana nel mondo mediterraneo. Dopo il IV secolo il monachesimo cominciò a diffondersi in Occidente: Girolamo a Roma,Agostino in Africa, Severino nel Norico, Paolino a Nola, Martino e Giovanni Cassiano nella Gallia si fecero promotori dell’ideale monastico (sull'esempio di quello orientale) e monasteri famosi sorsero nel V secolo a Tours e ad Arles ad opera dei vescovi Cesario e Aureliano(autori di importanti Regole). Cassiodoro, il ministro di Teodorico, fallita la sua politica di fusione tra Romani e Goti, abbandonò la corte gotica, si rifugiò nei suoi possedimenti nella natia Calabria e verso il 554 fondò un monastero a Vivarium, in cui trascorse gli ultimi anni della sua vita. A dare al monachesimo del cristianesimo cattolico la sua particolare fisionomia operosa, in confronto a quello del cristianesimo ortodosso più portata alla contemplazione e all'ascetico, fu però un giovane, discendente da una famiglia della piccola nobiltà provinciale dell’Umbria: Benedetto da Norcia (480-543). Ritiratosi a vita eremitica a Subiaco, Benedetto aveva veduto crescere attorno a sé un gruppo di seguaci, insieme ai quali, trasferitosi successivamente nelle vicinanze di Cassino, aveva fondato il monastero di Montecassino, il più importante centro monastico dell’Occidente. All’incirca negli stessi anni in cui i giuristi bizantini, per ordine di Giustiniano, lavoravano alla sistemazione del diritto civile romano nel Corpus iuris civilis, san Benedetto gettava le fondamenta della nuova società monastica, con la compilazione della sua Regola. La regola benedettina è informata tutta allo spirito pratico dell’antica Roma, fondendolo armonicamente con la spiritualità cristiana. Per Benedetto i monaci non debbono essere soltanto dei contemplanti: il loro motto dovrà essere ora et labora. La regola fu scritta originariamente per il solo monastero di Montecassino, ma venne presto adottata come regola per eccellenza del monachesimo cattolico. Mentre il mondo occidentale è sconvolto dalle invasioni barbariche, i monasteri benedettini creano un nuovo tipo di società basata, anziché sul concetto romano della proprietà privata, su quello cristiano della solidarietà collettiva. I monaci coltivano le terre circostanti al monastero, o almeno le fanno coltivare dai propri coloni, difendendole dall’abbandono e dall’inselvaticamento. Attorno a loro, si raggruppano in cerca di protezione famiglie coloniche, che trovano rifugio all’ombra del monastero. Il monastero diventa così il centro di un piccolo mondo economico auto-sufficiente; anche i prodotti artigianali o industriali necessari alla sua esistenza vengono prodotti al suo interno da monaci o da servi ministeriales dipendenti dal convento. Il sovrappiù della produzione viene posto in vendita; così, non di rado, attorno al convento sorge anche un centro di scambi commerciali, un mercato, una fiera. Proprio nel corso dell’VIII secolo si ebbe nell’economia dell’Italia longobarda un'accentuata tendenza alla formazione di estese proprietà fondiarie, concentrate nelle mani dei grandi signori laici o delle chiese. Parte cospicua di questa concentrazione della proprietà andò a vantaggio dei grandi monasteri benedettini, accrescendone l’importanza. In linea di principio, almeno, i beni degli enti religiosi erano inalienabili e gli abati dei monasteri spesso amministratori capaci. Ciò condusse alla diffusione di nuovi sistemi di conduzione dei fondi, che molto giovarono alla graduale ricostruzione della ricchezza fondiaria. Tra questi da citare i contratti di livello (così detto dal libellum - libretto - sul quale stavano scritti i patti del contratto), per cui un fondo veniva ceduto in uso ad un coltivatore, in cambio di un canone, per lo più in natura, o quelli di enfiteusi, per cui un fondo era ceduto per lunghissimo tempo ad un minimo canone annuale, a patto che il coltivatore vi introducesse delle migliorie. Così allo spopolamento dei secoli precedenti cominciò a subentrare una maggiore densità di coltivatori nelle campagne, unita ad una rinascita delle colture specializzate, come quella della vite e dell’olivo, in luogo del pascolo e della cerealicoltura estensiva. In mezzo ad un’età di sovrani analfabeti e di regresso della civiltà, nei monasteri benedettini gli amanuensi negli scriptoria, continuano a copiare le opere degli scrittori antichi cristiani e pagani. Nei monasteri convivono quindi pacificamente insieme romani e barbari, affratellati dalla comune fede e dalla comune obbedienza alla Regola. I monasteri benedettini costituiscono, per tutto il Medioevo, importanti centri di diffusione culturale. Accanto a quello sempre più importante di Montecassino, sorsero numerosi monasteri, fra cui emergono per importanza quelli di Nonantola nell'Emilia, di Farfa nella Sabina, di San Vincenzo al Volturno nell’Italia meridionale, nel 726 della Novalesa in Val di Susa(Piemonte). Questi cenobi accolsero tra le loro mura tanto latini che barbari, favorendo la fusione dei due popoli, mantennero in vita le tradizioni culturali dell’antichità e del cristianesimo, favorendo la diffusione della civiltà romana tra i Longobardi. Un grande centro di civiltà monastica sorse inoltre nell’Irlanda e da lì si allargò nell’Inghilterra, con i cenobi di Armagh, di Iona, di York. I monaci irlandesi si diressero poi verso la Germania, le Gallie e l’Italia, convertendo pagani ed ariani e fondando sempre nuovi monasteri. Tra questi ultimi da citare quello di Bobbio, fondato in Italia da San Colombano, e quello di San Gallo, costruito dai suoi compagni nella Germania. Anche i monaci irlandesi coltivarono attivamente studi letterari o religiosi, come testimonia la copia dei manoscritti di autori classici o cristiani lasciata dai loro amanuensi e la fantasiosa ricchezza delle miniature che li adornano. I monaci irlandesi contribuirono alla formazione della cultura europea dell’età carolingia. Il fenomeno del monachesimo è rilevante nell'esperienza del Buddhismo: il monaco-mendicante finisce in alcuni casi per essere considerato l'unico vero discepolo del Buddha. Il Buddhismo tibetano pone nelle mani dei monaci e dei lama anche il potere temporale. Nell'Oriente asiatico, vi è un vasto ed articolato fenomeno che comprende numerose religioni (induismo, giainismo, buddhismo, taoismo) e numerose nazioni (Giappone, Cina, Indonesia,Myanmar, India, Tibet, etc.) Nell'Induismo il fenomeno è legato sia a determinati stadi della vita, quali il sannyāsa, durante il quale si pratica la rinuncia e la povertà, sia alla scelta di praticare la rinuncia per dedicare l'intera vita alla spiritualità: è il caso dei sadhu. Tali pratiche, testimoniate nei Veda, risalirebbero al 2000 a.C. Nel giainismo l'esperienza monastica assume particolare importanza. Nel 79 d.C. uno scisma produsse le due scuole principali, attive ancora adesso: a partire da quella data si distingue tra monaci digambar "vestiti di cielo", che rinunciano a qualsiasi possesso, compreso cibo e vestiti e shvetambar "vestiti di bianco".



Nessun commento:

Posta un commento