lunedì 29 settembre 2014

La Bibbia e l'astronomia.

Negli ultimi decenni si è assistito in tutto il mondo al proliferare del numero di dibattiti relativi all’interrogativo se esista vita intelligente extraterrestre. Gli approcci a questa tematica sono i più disparati. Spesso frutto di astruse teorie sugli UFO. Il mondo scientifico ha sempre affrontato con i piedi di piombo la questione.
Eguale discorso per le principali religioni che da millenni insegnano ai loro fedeli che nel Creato quello tra l’uomo e la Divinità è un rapporto esclusivo. Qualcosa negli ultimi anni pare tuttavia essersi mosso verso una direzione nuova che potrebbe avere anche risvolti “rivoluzionari”. In Italia, ad esempio, a “rompere il ghiaccio” in merito a questo argomento ci aveva pensato lo scomparso monsignor Corrado Balducci, teologo romano il quale aveva, seppur timidamente, aperto alla possibilità che l’umanità non sia la sola forma di vita intelligente nell’Universo.
Lo aveva fatto da uomo di funes Chiesa, vale a dire dando alla sua tesi un fondamento teologico tratto dalle Scritture. Mons. Balducci ricordava infatti come nei Salmi sia scritto “Del Signore è la Terra, l’universo e i suoi abitanti” (v. 24:1). Secondo il prelato questa frase starebbe a significare che possano esistere altre forme di vita intermedie tra l’uomo e le intelligenze angeliche.
Non solo monsignor Balducci non fu mai smentito, ma nel 2008 il Padre gesuita José Gabriel Funes, direttore della Specola Vaticana, in una intervista all’ “Osservatore Romano” intitolata L’extraterrestre è mio fratello ribadì anch’egli la possibilità che esistano forme di vita nel Creato oltre all’uomo. “A mio giudizio – affermava Funes – questa possibilità esiste. Gli astronomi ritengono che l’universo sia formato da cento miliardi di galassie, ciascuna delle quali è composta da cento miliardi di stelle. Molte di queste, o quasi tutte, potrebbero avere dei pianeti. Come si può escludere che la vita si sia sviluppata anche altrove?”. Alla domanda se questo non costituirebbe un problema 

per la fede il gesuita rispondeva senza esitazione: “Io ritengo di no“ e spiegava: “questo non contrasta con la nostra fede, perché non possiamo porre limiti alla libertà creatrice di Dio. Per dirla con san Francesco, se consideriamo le creature terrene come <<fratello>> e <<sorella>>, perché non potremmo parlare anche di un “fratello extraterrestre”? Farebbe parte comunque della creazione”. Funes riprendeva la tesi teologica già proposta da Balducci e richiamante la parabola evangelica della “pecorella smarrita”. “Il pastore– spiegava il direttore della Specola – lascia le novantanove nell’ovile per andare a cercare quella che si è persa. Pensiamo che in questo universo possano esserci cento pecore, corrispondenti a diverse forme di creature. Noi che apparteniamo al genere umano potremmo essere proprio la pecora smarrita, i peccatori che hanno bisogno del pastore. Dio si è fatto uomo in Gesù per salvarci. Così, se anche esistessero altri esseri intelligenti, non è detto che essi debbano aver bisogno della redenzione. Potrebbero essere rimasti nell’amicizia piena con il loro Creatore”. Non è forse un caso che la Specola vaticana sia particolarmente attiva nella ricerca di esopianeti nel complesso del Vatican Observatory Research Group in Arizona negli Stati Uniti. Nel 2012 è inoltre uscito, pubblicato dalla casa editrice di area cattolica Queriniana, un testo del teologo tedesco Armin Kreiner  dal titolo Gesù, gli UFO e gli alieni nel quale lo studioso si interroga sul rapporto tra fede e possibilità di vita extraterrestre. Sposato su un’ottica più “laicista” è invece lo studioso e saggista piemontese Mauro Biglino, che offre un’interpretazione più diretta e meno timida rispetto ad altri, partendo dall’analisi del testo (antico) masoretico (contenuto nel Codex Lenigradensis) da cui è derivata la versione cosiddetta “stuttgartense” della Bibbia oggi in uso nel cristianesimo occidentale. Biglino, che ha 
studiato lingua ebraica nella comunità israelitica di Torino e in passato è stato traduttore per le edizioni San Paolo, fornisce un’interpretazione letterale del testo biblico, mettendo a nudo errori e contraddizioni che svelerebbero una diversa natura dei fatti narrati circa l’origine del genere umano e sul rapporto con Elohim, termine che nella Bibbia viene inteso e tradotto come “il Signore creatore”. Per Biglino, ovvero secondo la sua traduzione e lettura letterale, “Elohim” (forma plurale, con la quale in ebraico si indica convenzionalmente la “divinità”) indicherebbe un insieme di esseri celesti, ma non divini, i quali avrebbero creato l’uomo. Inutile dire come questa lettura abbia suscitato forti polemiche procurandogli perfino minacce alla sua incolumità personale. Ciò nonostante le conferenze che lui tiene periodicamente per presentare i suoi libri, tradotti anche in altri Paesi, sono sempre affollate da un pubblico interessato e partecipe. A noi, che siamo andati ad assistere ad una di esse per conoscerlo e intervistarlo, ha infatti spiegato come il suo ultimo volume Nella Bibbia non c’è creazione, uscito nel novembre scorso, fin’ora abbia venduto più di ventimila copie. Alcune delle critiche che gli vengono rivolte derivano anche dal fatto che egli abbia dichiarato in passato di essere stato membro della comunità massonica della Gran Loggia d’Italia (la massoneria scozzese). Per questo motivo alcuni detrattori sostengono che egli abbia ricevuto dalla massoneria l’input a pubblicare i suoi libri “eretici” che contraddicono la versione dogmatica
della Bibbia. “Niente più sbagliato” chi ha risposto, spiegandoci anzi che “sono alcuni massoni che a volte mi chiamano per tenere delle conferenze interne a porte chiuse perché sono essi stessi che vogliono apprendere i fatti che vado scrivendo e affermando circa la Bibbia”. Ci ha anche spiegato come, pur “smontando” tesi considerate radicate da secoli sui passi biblici, egli non neghi che le religioni “istituzionalizzate” abbiano comunque avuto il merito di creare un corpus di principi etici e morali necessari allo sviluppo della società umana nei millenni. Un altro punto su quale insiste è che la sua (ipo)tesi sulla reale natura degli Elohim, ovvero entità mortali e passionali come (e forse più) della loro creatura, l’uomo, non neghi (in maniera pregiudizievole) il principio creazionistico e quindi teistico. Se infatti gli Elohim hanno creato l’uomo, chi ha creato gli Elohim?

sabato 27 settembre 2014

fiamme gemelle

In questo momento d’accresciuta Radianza Solare e Cosmica, molti stanno trovando la propria strada verso la Luce e l’Amore dentro il cuore e l’anima. Stanno arrivando a “casa”. È qui che troveranno quella profonda fonte d’Amore Incondizionato che è chiamata “Fiamma Gemella”.
Molte persone mi scrivono e mi chiedono quando incontreranno la loro Fiamma Gemella, o se la loro Fiamma Gemella è in incarnazione. In questa canalizzazione dell’Arcangelo Michele per un cliente privato, egli spiega che la Fiamma Gemella è un’energia che si trova principalmente dentro di voi e può poi essere sperimentata nel mondo esteriore o manifesto. Non è una persona come tale, ma un’energia che può essere condivisa e sperimentata da due anime compatibili energeticamente.
La canalizzazione era iniziata con una disamina del ruolo del legame del gruppo animico e delle unioni delle famiglie animiche, poi è passata al tema delle Fiamme Gemelle.
“Innanzi tutto ci chiedi della tua famiglia animica e della tua relazione con loro. Bene, possiamo veramente dire che l’esperienza dell’apertura del sé alla verità che siete “UNO” è davvero una rivelazione e che molti Operatori di Luce stanno sperimentando questa specifica unità in gruppi proprio adesso. È una delle gioiose ricompense per riuscire ad accedere pienamente alla coscienza del Sé Superiore mentre vi trovate ancora in una forma umana. Perché allora capirete che il Sé Superiore o Anima è un condotto per lo Spirito o per l’Intelligenza Creativa Divina e che è davvero la stessa Intelligenza o “mente” che dimora in tutte le cose.
Ma, ancor più grande di questo è il vero miracolo che sta lentamente nascendo nella vostra coscienza come esseri umani: potete essere una parte di questo Essere Uno, questa Mente Divina e potete  essere anche Individui – allo stesso tempo. Sì, alla fine riuscirete a sostenere questi due livelli di coscienza insieme e così sarete “voi” ma sarete anche l’“Uno”, e non ci sarà conflitto fra loro. Esisteranno come un continuum di luce e coscienza.
Vedete, carissimi, molte persone immaginano di dover entrare nella coscienza dell’Uno e rimanere lì in modo permanente. Poi, rimangono delusi quando non riescono a realizzarlo o a sostenere quella coscienza. Noi diciamo, però, che lo scopo è riuscire a sostenere entrambi gli stati di coscienza. Non c’è niente di sbagliato nella vostra coscienza individuale, poiché questo è stato l’intero scopo della vostra evoluzione qui, sulla Terra: l’“Uno”, o coscienza dello Spirito, dovrebbe riuscire a sostenere i “Molti” livelli di coscienza, o essere individuale umano, e i “Molti” dovrebbero riuscire a sostenere anche l’“Uno”. Per far questo, entrambi i livelli di coscienza devono funzionare in modo ugualmente forte.
Vedete, nella vostra cultura spirituale attuale, vi siete abituati a ritenere che l’“ego” individuale o essere inferiore abbia poco valore e a vedere lo spirito come tutto. Ma, fino a che non riuscirete a considerare entrambi ugualmente importanti, lotterete per entrare veramente nell’esperienza dell’Uno, perché non avrete il potere di sostenere l’esperienza sul livello materiale. È solo quando il sé inferiore è forte, potente ed equilibrato che il sé superiore si può unire e diventare uno con il sé inferiore. È, in molti modi, il modello della relazione della Fiamma Gemella. E, di fatto, possiamo dire che fino a che non avrete ottenuto la capacità di essere “uno” con voi stessi, non sarete mai in grado di essere “uno” con un altro/a in una relazione di Fiamme Gemelle.
Questa è davvero la ragione per cui così tanti sono coinvolti in relazioni con le loro famiglie animiche, così che possano cominciare a capire l’energia e il potere che sono necessari per entrare in una relazione di Fiamme Gemelle con un vero potere e amore.
Questa consapevolezza diventerà davvero più comune, nel momento in cui le persone cominceranno a capire il flusso delle energie, ed infine, quando il processo d’Ascensione sarà completato, tutti gli umani avranno una comprensione di questo processo.
Ora, quando parli di questa presenza del Maschile interiore, diciamo che questo rappresenta la saggezza e la guida del tuo Maschile Divino interiore o energia della Fiamma Gemella. Questa relazione interiore sta preparando il terreno per la manifestazione di una relazione esterna che sarà in grado di contenere la tua energia della Fiamma Gemella. Più interagisci con la presenza maschile interiore, più capirai il profondo amore e supporto dell’energia del Maschile Divino e come questo può essere espresso in una relazione.
Perciò, diciamo, sì questa è la tua Fiamma Gemella, ma questo non annulla la possibilità che l’energia della tua Fiamma Gemella possa manifestarsi in una relazione fisica, con un partner materiale che conterrà ed esprimerà questa energia. Se capisci veramente la “lezione” della “fusione interiore” con la Mente Divina od Intelligenza, allora capirai che quell’energia può esistere dentro di te e che può essere espressa anche attraverso il canale di un altro essere umano.
Com’è possibile questo? Bene, quella persona è sia un canale per la Mente Divina od energia, che un individuo, come abbiamo detto prima. Perciò, ti puoi relazionare all’individuo come un individuo, ma anche come ad un canale per la Mente Divina od Intelligenza.
Ora, non è del tutto vero che non ci sia alcun genere sessuale nel mondo dello Spirito. Vedi, la base di tutti i flussi d’energia è Maschile e Femminile, che sono energie complementari. La maggior parte della antiche storie sulla creazione, inclusa quella degli Antichi Egizi, racconta di un “Principio” in cui l’energia della Sorgente si è divisa in Maschile e Femminile, e poi, da quel principio, tutte le altre forme sono nate e sono state create. Il pantheon degli antichi Egizi includeva Esseri Divini, o Dei e Dee, che erano sempre in coppia – per ogni divinità maschile, c’era una controparte femminile.
Perciò, nel mondo dello Spirito od energia, c’è sempre una “carica” maschile e femminile, o ciò che potreste chiamare “elettrico” e “magnetico”. Il maschile è elettrico, o attivo, e il femminile è magnetico o attrattivo.
Ora, queste sono le energie che sono al lavoro nella relazione delle Fiamme Gemelle. Quella che contiene l’energia Femminile Divina magnetizzerà o attrarrà quella che contiene l’energia Maschile Divina, e si uniranno per creare l’energia dell’“Uno” della Sorgente.
Ma, proprio come abbiamo spiegato prima nelle nostre parole riguardo all’Unione fra il Sé Superiore e il sé Fisico, entrambi i partner devono essere forti, equilibrati e potenti dentro di loro. Ogni partner deve aver raggiunto un equilibrio interiore personale dell’energia maschile e femminile per creare un forte fondamento, affinché possa essere rilasciato nell’“Uno” e i partner devono permettere a loro stessi di diventare un canale per la singola “carica” dell’energia Femminile o Maschile Divina in un’unione che può essere sia spirituale che fisica.
E, in un’Unione simile, c’è una volta ancora quel paradosso miracoloso – entrambi i partner esistono come individui distinti, eppure esistono anche come “Uno”. Essi sono consapevoli di loro stessi come individui, ma anche come “uno”, come un’“unità” o “diade” che è un essere che è più grande e più potente di quello che sono come individui.
Questo “sposalizio sacro” è, a sua volta, un riflesso della sacra unione del Maschile e del Femminile Divino nella Sorgente. Uno degli scopi della vostra evoluzione spirituale ed ascensione proprio ora è permettervi di entrare in queste unioni che rispecchiano lo “Sposalizio Divino”, e vi permettono di rimanere anche un individuo con la vostra vita e scopo.
Speriamo, perciò, che comprendiate che non dovete, in questa fase, sostenere l’energia della beatitudine per sempre. È una vibrazione troppo elevata per voi ora. State gradualmente imparando a “sintonizzarvi” con quella frequenza, così da poterla sostenere come una delle molte frequenze che siete ora capaci di sostenere come essere multidimensionale. Siate pazienti con voi stessi e non abbiate alcuna aspettativa di quanto e quanto lontano… sappiate che tutto accade secondo una Sincronicità Divina e che tutto va bene. Non state “fallendo” e non avete nulla da chiarire. Vi state lentamente abituando ad un altro modo d’essere e per il vostro corpo e sistema energetico ci vorrà un po’ di tempo per integrare veramente tutte queste nuove informazioni, evolversi ed adattarsi ad un nuovo modo di esprimere la verità di chi siete.
Perché… mentre siete davvero individui, esprimete anche, ognuno di voi, le passioni e l'amore della Mente Divina. Siete la Mente Divina in azione e come tali potete sperimentare la Gioia, la Creatività e l’Amore della Mente Divina. Entrare in un’Unione Sacra con una Fiamma Gemella è il modo più bello e gioioso di sperimentare questo Amore e Gioia. È davvero un dono meraviglioso per i figli della Terra in questo momento!
Possiate essere benedetti con Amore Incondizionato e Grazia. Sempre!”

venerdì 26 settembre 2014

Vampirismo energetico

Ti è mai capitato di provare un forte senso di ansia e di nervosismo dopo aver parlato con una persona in particolare? O di sentirti di colpo scarico/a e prosciugato/a energeticamenteAllora vuol dire che hai incontrato un “vampiro energetico”, ossia una persona che non riuscendo a vivere della propria energia e della propria luce ha bisogno di attingere e di “rubare” da quelle altrui.
“Lascia andare le persone che condividono solo lamentele, problemi, storie disastrose, paura e giudizio sugli altri. Se qualcuno cerca un cestino per buttare la sua immondizia, fa’ sì che non sia la tua mente.” (Dalai Lama)
Il vampiro lo trovi ovunque (al lavoro, in casa, al bar ecc.) e può essere di due tipi.
Il primo tipo è quello che si nutre  della tua energia consapevolmente cercando in tutti i modi di abbassare la tua autostima: non perde occasione di farti sentire sbagliato/a, indegno/a di essere amato/a, infierisce sui tuoi punti deboli e ti ostacola sia con le parole che con le azioni nei tuoi sogni e nei tuoi progetti…  beh, da questa tipologia è davvero bene che tu stia lontano/a senza pensarci troppo! C’è poi un secondo tipo di vampiro energetico che spesso è inconsapevole dell’effetto devastante  provocato dal suo comportamento. Generalmente non è una persona cattiva o malevola e può trattarsi di chiunque: un collega di lavoro che ti riversa continuamente addosso le sue lamentele e i suoi problemi, un parente troppo invadente che cerca di farti sentire in colpa se non rispondi alle sue continue richieste, un amico che ti tiene ore al telefono per parlarti delle sue continue difficoltà… e chi più ne ha più ne metta! In ogni caso, si tratta di individui che manipolano gli altri per sopperire  alle proprie insicurezze e fragilità e che in questo modo indeboliscono e rendono vulnerabile l’altra persona in quanto prendono senza dare nulla in cambio. Sono continuamente depressi o arrabbiati o si sentono  puntualmente vittima di qualcuno o di qualcosa. Inoltre le loro conversazioni ruotano sempre intorno a loro stessi: spesso si tratta di infiniti monologhi pieni di lamentele in cui ti parlano continuamente dei loro problemi mostrandosi totalmente incuranti di come stai tu! Ogni relazione sana è basata su uno scambio energetico e se questo non avviene puoi sentirti appunto spossato e scarico, prosciugato del tuo ottimismo e della tua serenità/vitalità– in più questo abbassa le tue vibrazioni energetiche e di conseguenza inizi ad attirare ulteriori situazioni e persone che non sono di alcun beneficio per te e la tua vita.
Se provi uno o più dei sintomi seguenti vuol dire che hai appena avuto a che fare con un vampiro energetico:
  • Il tuo umore crolla di colpo
  • Ti viene un improvviso mal di testa
  • Sei agitato e a disagio
  • Ti senti triste e affaticato
  • Provi un senso di ansia e di malessere
  • Ti senti in qualche modo deriso o preso di mira
  • Senti l’impulso di allontanarti dalla persona in questione
  • Il tuo corpo è in tensione e la respirazione diventa “corta” e veloce
  • Senti il bisogno di eccedere con i carboidrati o comunque di consolarti con il cibo
La regola base è quella di non cercare di guarire i vampiri energetici ma piuttosto di neutralizzarli.
Non cadere vittima dell’idea di essere l’unica loro fonte di benessere: apprezza e riconosci queste persone quando sono al loro meglio, quando dimostrano indipendenza, forza e capacità, anche se queste qualità compaiono solo raramente. Premia i comportamenti sanima non rinforzare mai le risposte che prosciugano la tua energia.
Ecco 5 semplici passi per proteggerti  dai loro “attacchi” e per neutralizzarli:
1) Se possibile allontanali dalla tua vita. Se si tratta di persone che non puoi evitare riduci la loro frequentazione e quando sei in loro presenza cerca di allontanarti fisicamente, di evitare il contatto visivo prolungato, di voltarti di spalle… meno ti fai coinvolgere meglio è! 
2) Impara a dire NO a chi vuole abusare della tua energia: non farti coinvolgere nel loro gioco e stabilisci gentilmente ma con fermezza dei limiti chiari che non devono essere oltrepassati (ad es. scusami ma adesso ho da fare, sono indietro con il lavoro, ho molto da studiare, ho un appuntamento ecc.). Per quanto imbarazzante e scomodo possa sembrarti, questo tuo atteggiamento li spingerà o a migliorare il loro comportamento nei tuoi confronti o ad allontanarsi.
3) Proteggi la tua sensibilità: non confidare i tuoi sentimenti più intimi a chi non sa rispettarli ed evita di parlare dei tuoi sogni e delle tue aspirazioni a chi non è in grado di comprenderli e potrebbe anzi scoraggiarti e buttarti giù in un tuo momento di debolezza.
4) Quando sei in loro presenza non abboccare al loro amo se vieni provocato in qualche modo: rimani calmo, respira profondamente e cerca di mantenere il controllo. Evita di farti coinvolgere in liti o discussioni che potrebbero spingerti a dire impulsivamente cose di cui potresti pentirti e che in seguito potrebbero essere usate a tuo svantaggio.
5) Circondati di persone positive e affidabili, connesse a se stesse e alla propria essenza, che ti siano di supporto e la cui vicinanza ti trasmetta fiducia e tranquillità.
E infine ricordati: il mezzo più potente per difenderti  e proteggerti da qualsiasi tipo di attacco o manipolazione esterna è amare te stesso/a.  Più metti in dubbio il tuo valore, le tue capacità e le tue risorse, più dai modo al vampiro energetico di indebolirti e di “cibarsi” della tua energia.
Non permetterglielo… rimani connesso al tuo vero Sé e nulla potrà toccarti!

mercoledì 24 settembre 2014

Perchè si ha paura?

La paura si manifesta sotto molte forme differenti, le paure si suddividono per settori: la paura di morire, la paura di ammalarsi, la paura di perdere una persona cara, la paura che ci sia una guerra civile, una rivoluzione o un conflitto, la paura di non avere abbastanza soldi. Quante paure possibili! ono tutte emozioni: Qui e ora sento o non sento l’emozione della paura. Per esempio, quando dite: ho paura di non avere abbastanza soldi, perché è un dato della vostra esistenza, questa paura non è, comunque, permanente. Come ogni altro fenomeno, va e viene; quando leggete un libro che vi interessa, quando guardate un film che vi cattura, non sentite più la paura di non avere abbastanza soldi, anche se abitualmente gioca un ruolo doloroso nella vostra vita; né quella paura né un’altra. La paura, anche se è la più impressionante delle emozioni, spesso la più crudele, è un’emozione che provo o che non provo, qui e ora. Dunque, se voi accettate, anche solo parzialmente, questo Insegnamento, la paura può scomparire dalla vostra vita. Essa non è in se stessa fondata, non è in se stessa giustificata, e se ammettiamo l’esistenza di una Saggezza o di Saggi, un Buddha, un Marco Aurelio, un Socrate o un Ramana Maharshi, ci aspettiamo da loro che ne siano completamente liberati. Un saggio che avesse una qualsiasi paura, non sarebbe più ai nostri occhi un saggio. Ora, guardate più da vicino. Ci sono tre tipi di paura. Innanzi tutto una paura che non è, a dire il vero, propriamente un’emozione, si tratta del sentimento di sicurezza personale, del sentimento del pericolo, che serve a preservarci dagli incidenti evitabili. Se non provassimo alcun tipo di timore nelle situazioni pericolose, commetteremmo delle imprudenze fatali. Questa paura è puramente riflessa. In India si cita spesso questo esempio: se un serpente avanza verso di me, io spicco un salto di lato per evitare che mi morda. Questa reazione è giustificata. Un istinto di sopravvivenza ci indica che certe situazioni sono pericolose per noi, in particolare per la conservazione della nostra esistenza o della nostra integrità fisica. Oltre questa paura che mira alla nostra protezione, cominciano le paure emozionali e queste sono di due tipi. In primo luogo quelle di cui comprendiamo la causa apparente: siete partiti senza sapere navigare molto bene su un piccolo veliero, il tempo cambia, si alza il vento, siete sempre più lontani dalla costa, non avete più il controllo dell’imbarcazione e vi preoccupate seriamente di come si metteranno le cose. Certamente la paura che provate è un’emozione che, nelle stesse condizioni, un saggio non proverebbe, ma almeno ci sembra che questa paura abbia una causa.
 Poi ci sono le paure che vi assillano, ma che non corrispondono a nessuna situazione precisa: paure vaghe, paure irragionevoli, paure di avvenimenti che potrebbero eventualmente prodursi, come quella che una bomba atomica cada su Puy-de-D^me, ma che appaiono poco probabili; paura di una malattia che non si è assolutamente manifestata in voi, paura della morte di una persona cara che è in piena salute. Poiché alcune paure fisiologiche sono giustificate come, per esempio, la salvaguardia della nostra salute, il ‘mentale’ crede di poter giustificare tutte le altre e, naturalmente, come sempre quando sono coinvolte le emozioni, razionalizza e trova degli argomenti. E’ nei riguardi di questo pensiero prodotto dall’emozione che dovete essere molto attenti: non vengo più a patti con questi pensieri che emergono dalle emozioni, qualunque essi siano, perché non fanno che eccitarle e nutrirle. Anche se non provate nessuna paura, è sufficiente che immaginiate delle scene terrificanti, che le immaginiate creandole dal nulla, e già cominciate a sentirvi a disagio. 
 Noi abbiamo paura soltanto di quello da cui siamo attratti. Conoscete la grande legge dell’attrazione e della repulsione. Io affermo questo: abbiamo paura soltanto di quello da cui siamo attratti, quando, per una ragione o per un’altra, rifiutiamo di riconoscerlo. D’altra parte, se siamo attratti da un avvenimento, da una situazione, significa che ci corrispondono, che le portiamo in noi, come unsamskara, cioè un’impressione inscritta in noi. Questa è la causa delle differenze tra le paure degli uni e degli altri. Non tutti hanno paura delle stesse condizioni, nelle stesse circostanze. Quando parlo di attirare, di attrazione, questi concetti devono essere intesi in un senso più profondo, non mi riferisco alla banale attrazione superficiale, come nel caso in cui si è attratti dalle belle donne o dalle macchine sportive. L’attrazione è una legge sempre operante, così come il ferro è attirato dalla calamita. Noi possiamo essere d’accordo o resistere a un’attrazione, ma essa non è per questo meno attiva. Attrazione o attrattiva possono significare che desideriamo una cosa, che la vogliamo, che la auspichiamo, e attrazione o attrattiva possono significare che siamo attratti, malgrado noi, come da una calamita. Per esempio, se metto un piede in fallo in montagna e scivolo su un pendio molto ripido senza potermi aggrappare a niente, la forza di gravità mi attira verso il basso, questa attrazione è inevitabile, eppure io resisto. Se non so sciare e mi sono lanciato imprudentemente su una discesa troppo difficile per me, sono anche in questo caso, attirato verso il basso della discesa, rifiuto questa attrazione e cado più o meno maldestramente. Ma se ci sono attrazioni fisiche, come quelle di cui ho fornito gli esempi precedenti, ci sono anche attrazioni psichiche o sottili che vi risultano più o meno sconosciute e misteriose, più o meno coscienti o invece rimosse e sepolte nell’inconscio, ma che tuttavia esistono e fanno sentire la loro influenza. Ricordatevi, allora, di questa formula: non possiamo avere paura che di ciò che, in una maniera o nell’altra, ci attrae. E, se volete capire le vostre paure, ci riuscirete solo se scoprirete questa attrazione in voi. In ogni caso, si tratta di un principio generale della conoscenza di sé, che è quello che qui ci interessa: se vogliamo comprendere un fenomeno, dobbiamo studiare, oltre al fenomeno stesso, anche il suo contrario. Se vogliamo capire qualcosa della gioia, dobbiamo studiare nello stesso tempo la sofferenza. Ricordatevi di questo gesto: vi mostro la mia mano, stesa, aperta, verticale, non c’è né concavo, né convesso. Ma, appena comincio a piegare questa mano perché voglio il concavo, nello stesso tempo disegno il convesso. L’uno non può esistere senza l’altro, e, nel mondo delle dualità, nessun paio di opposti esiste senza questa complementarità; non c’è arrivo senza partenza, non c’è gioia senza pena, non c’è successo senza insuccesso. Le due facce del fenomeno sono sempre legate e associate, per lo meno nel mondo relativo, nel mondo dei fenomeni che la Coscienza può trascendere o di cui la Coscienza di essere può liberarsi. La paura vi appare come un rifiuto: No, No, No. Ma essa non esiste senza un’affermazione positiva, senza un sì. Se avete paura di non avere abbastanza soldi, paura di non riuscire a pagare le fatture che vi arrivano, il rifiuto vi sembra come la negazione preventiva di una situazione dolorosa; dico No, anche prima che si produca la situazione di non poter pagare le fatture, lo rifiuto; questo rifiuto anticipatore costituisce la paura. Ma questo rifiuto che è una negazione non può esistere senza un’affermazione: quella del prossimo arrivo delle fatture in questione. E’ vero per tutte le emozioni negative: non può esserci odio se non vi è prima un amore deluso o ferito. E’ una legge generale: non vi può essere negazione, senza che prima vi sia un’affermazione, sempre. Potete concepire un’affermazione senza negazione: se dico semplicemente “il tappeto è blu” e se il colore blu non suscita nessuna reazione nel mio inconscio, affermo: “il tappeto è blu”, quello che il mio guru chiamava “positive statement”, “pure statement of truth”, un’affermazione positiva, è. Potete, dunque, formulare un’affermazione positiva senza negazione, ma non potete enunciare una negazione senza affermazione positiva; se dico: non è, nel non è c’è è e poi aggiungo non. In sanscrito questo è molto chiaro: è si dice asti, non è si dice nasti, na asti. Grammaticalmente, vedetelo bene, la negazione è sempre qualcosa che si aggiunge all’affermazione e mai il contrario. “Non è.” Comincio a dire “è” e aggiungo “non”, di conseguenza pongo la cosa che voglio negare. Se dico: “il tappeto è blu”, vi è unicamente affermazione; se dico: “il tappeto non è rosso”, prima pongo il colore rosso e poi in seguito lo nego. Si tratta di una legge alquanto sottile, le cui implicazioni non vi appaiono immediatamente del tutto chiare, (anzi, so bene per mia propria esperienza quanto sia difficile comprenderla appieno) ma alla quale dovete rimanere fedeli, se volete capire come vivete e come potete progredire. Infatti, la paura è un’emozione negativa, al contrario di una grande gioia che è anch’essa un’emozione, essa è la negazione di una realtà che prima ho affermato. Se un fenomeno è del tutto indifferente, non vi concerne, non ha niente a che vedere con voi, non potete averne paura. Avete paura solo di quello che vi concerne, quello da cui siete attratti, in un modo che bisogna scoprire. Credetemi o non credetemi, ma è sempre vero. Se una legge incontra una sola eccezione, non è più una legge. D’altra parte, se siamo attratti da una situazione e nello stesso tempo la neghiamo e la rifiutiamo, questa situazione non è soltanto esteriore a noi, esiste in noi e noi la proiettiamo all’esterno. Ogni paura è una forma della paura della morte. Non siete obbligati a essere d’accordo subito con quello che dico, spetta a voi guardare e verificare, ma se quello che dico è vero, allora avrà presto o tardi un effetto liberatore su di voi. Ogni paura è paura di una forma o di un’altra di morte. La morte è certamente la scomparsa fisica, ma anche ogni compimento, ogni sparizione. Tutto muore continuamente e niente può morire. Mi hanno insegnato quando ero a scuola: “niente si perde, niente si distrugge, tutto si trasforma”, quello che muore a un livello, nasce a un altro livello. Il neonato muore per fare posto al bambino. Il bambino muore per far posto all’adolescente che muore per far posto al giovane che muore far posto all’uomo nel fiore dell’età. Il liceale muore per far posto all’universitario che muore per far posto all’uomo impegnato nella vita professionale. La giovane donna muore per far posto alla sposa e , in un certo qual modo, la sposa, la cui relazione è unicamente una relazione uomo-donna, muore per far posto alla madre. Ora, quello che chiamiamo ego – associato sempre a una forma di pensiero egocentrico, il ‘mentale’ – ricerca sempre la immutabilità, accetta solo una piccola parte di cambiamento, una piccola parte di questo gioco perpetua di morte e nascita; accetta quella parte che arbitrariamente gli conviene e non accetta gli altri cambiamenti, le altre morti e nascite che costituiscono il gioco dell’esistenza. Quello che rende la situazione un po’ più complessa è che alcuni di questi rifiuti, invece di essere pienamente compresi e assunti, sono negati, rifiutati e rimossi nell’inconscio. Può accadere che a una certa età un bambino abbia rifiutato di crescere, rifiutato di morire come bambino o bambina per diventare più grande e che un aspetto di questo gioco di morti e nascite sia stato falsato, mentre è una legge naturale. Brahma, Vishnu e Shiva sono sempre all’opera in noi. Il “corpo causale” in noi è contemporaneamente Brahma il creatore, Vishnu il conservatore e Shiva il distruttore. E’ la Legge che è inscritta in noi, quella dei fenomeni fisiologici, creazione, distruzione, è così che il nostro organismo si mantiene pur invecchiando poco a poco. Quello che è vero a un livello continua a essere vero a un altro livello. Le leggi che sono all’opera a livello fisico o fisiologico, lo sono anche a livello psichico o sottile. Le stesse leggi hanno la loro trasposizione a tutti i livelli. Prestate almeno per un momento un orecchio benevolo all’affermazione induista: qualsiasi paura è una forma della paura della morte nelle sue diverse manifestazioni relative, cioè compimento e sparizione, e questo l’ego non può accettarlo. Nel suo accecamento e nella sua stupidità, l’ego cerca di appropriarsi della verità suprema. La verità suprema, quella incarnata da Ramana Maharshi o dal Buddha o da qualunque Saggio è: “Io non cambio, sfuggo al tempo, non posso essere distrutto” – ma naturalmente solo l’atman o la Coscienza suprema può esprimersi in questo modo  – e anche: “Non c’è che l’Io”, poiché la dualità è scomparsa, poiché il saggio è uno con il tutto, e il tutto è diventato una forma o un’espressione di se stesso. E’ la “Realizzazione”, il “Risveglio”, la “Liberazione”. E l’ego, dal canto suo, cerca stupidamente – ma non appena abbiamo un po’ di compassione, invece di indignarci, lo troviamo quasi commovente – l’ego cerca di proclamare la caricatura di questa verità: io non cambio, sono indistruttibile, e non ci sono che io. Eh no! Dal punto di vista dell’ego, dal punto di vista dei kosha, i rivestimenti dell’atman, del corpo fisico e del corpo sottile, non è vero che “non ci sono che io”, anche se cerco di affermarmi e anche se soffro di ogni contraddizione e di ogni limite. E non sono immutabile, cambio con le circostanze della mia vita. Quello che ero, l’attimo dopo non lo sono più: l’uomo di 30 anni è scomparso per sempre nell’uomo di 35 anni che è scomparso per sempre nell’uomo di 50 anni, e colui o colei che eravate quando siete entrati in questa stanza oggi, è già scomparso per sempre nel momento in cui mi ascoltate. Brahma, Vishnu e Shiva, i tre aspetti di Ishwara, sono all’opera nell’universo. Se possiamo comprendere che sono tre manifestazioni di una realtà eterna e indistruttibile, tutti i nostri problemi sono risolti, certo, ma all’inizio del cammino queste sono solo parole per voi. Noi sappiamo, sappiamo perché è inscritto in noi, nel nostro corpo causale, nella nostra biologia, sappiamo che moriremo. A partire dal momento in cui siamo nati, siamo attirati, come l’ago dalla calamita, siamo attirati da questa morte cui ci avviciniamo ogni giorno di più. Che dobbiamo morire a 18 o a 80 anni , noi ci avviciniamo alla morte ogni giorno e lo sappiamo. L’India va oltre quello che l’occidentale è disposto ad ammettere, affermando che portiamo in noi il ricordo di migliaia di nascite e di migliaia di morti, quello che è chiamato comunemente ‘incarnazioni successive’. C’è una memoria profonda, inscritta nelle nostre cellule, nel nostro corpo sottile – se voi accettate o no l’esistenza di questo corpo sottile, questa poi è un’altra faccenda – e sappiamo profondamente, ancor più di quanto la fisiologia e la psicologia moderna siano pronte a confermare, sappiamo che moriremo, perché siamo morti migliaia di volte e ne conserviamo l’esperienza. Questo affermano Induismo e Buddhismo. Oggi, qua e là, nel quadro delle ricerche psicologiche troviamo che qualcuno ammette che alcuni esseri siano capaci di ritrovare il ricordo assai preciso di esistenze anteriori o anche di morti anteriori nelle forme di anamnesi, questa parola significa semplicemente “ritorno alla coscienza della memoria dimenticata”. D’altronde, forse avete osservato che i bambini piccoli parlano molto facilmente della morte, come se fosse una cosa molto semplice: “Dimmi mamma, quando morirai…” come se fosse tanto semplice quanto informarsi: “Dimmi mamma, quando vieni a passare otto giorni a casa?”, o ancora: “Quando sarò morto”. Io sono stato spesso colpito della facilità con cui i bambini parlano della morte, come se la comprendessero e non ne fossero affatto turbati. Mi ricordo la riflessione di una bimbetta mentre guardava i grossi elenchi telefonici di Parigi. Era meravigliata che vi fossero tanti nomi, tutti quei nomi in ogni pagina, e poi disse: “E un giorno, tutti questi nomi, tutti, tutti, tutti, saranno tutti morti”, come un’evidenza naturale che non era né triste, né dolorosa. Più tardi, attraverso meccanismi che oggi, in questa conversazione, possiamo solo sfiorare, la paura della morte comincia a costituirsi. Se un bambino non è segnato dal ricordo di una morte tragica o prematura in una vita anteriore, se non è influenzato da una tale samskara inconscio, se ha conosciuto delle morti tranquille, accettate, trova la morte normale e per niente paurosa. Man mano che l’ego si forma, si cristallizza, si contrae in se stesso, con quel desiderio di immutabilità che non può essere trovata, quel desiderio di stabilità che nessuno può scoprire, allora la paura della sparizione, della distruzione, del cambiamento, e naturalmente della morte comincia ad apparire come emozione. Ma tutte le paure non sono altro che forme della paura della morte, perché, dopo tutto, cosa può accaderci, per utilizzare il nostro linguaggio ordinario, di peggiore, di più tragico? Il “peggio” della mancanza di denaro, cosa potrebbe essere? Morire di fame e di freddo perché non si ha abbastanza per nutrirsi e scaldarsi. Bisogna guardare chiaramente dentro le vostre paure. E se avete paura della morte, è perché essa è inscritta in voi, e voi lo sapete, e ne siete attratti, attratti dalla morte che nello stesso tempo rifiutate. uesto meccanismo è sempre operante. In tutte le paure c’è questa attrazione che portiamo in noi, che ci concerne, che ci impegna, e questo rifiuto, questa contraddizione tragica tra una parte di noi che dice sì e una parte che dice no. Se la paura ci sembra un’emozione così insopportabile, è perché non permette nessuna unificazione interiore. Un’emozione è il rifiuto di essere uno con la situazione esterna. Se sono disperato, è perché sono in contraddizione o in conflitto con il fenomeno esterno che mi sembra disperante, la perdita di un oggetto prezioso per esempio. Ma la paura è l’emozione più dolorosa,  più terribile perché, più di ogni altra, rappresenta un conflitto all’interno di noi stessi. E’ insopportabile, terrificante perché ciò cui diciamo 'no' è in noi. Comprendete bene questo punto. Nelle emozioni ordinarie, l’essenziale di ciò cui diciamo 'no', si trova all’esterno di noi: dico no a un fenomeno che si è appena prodotto. Certamente, c’è una vulnerabilità interiore che ci fa reagire in modo particolare a quel fenomeno. L’avvenimento fa vibrare un’emozione latente e particolare per ciascuno di noi, altrimenti tutti soffrirebbero allo stesso modo nelle stesse circostanze. Perché alcuni individui sono completamente perduti se la persona che aspettavano è in ritardo di dieci minuti all’incontro, mentre altri, dopo tre quarti d’ora si accontentano di pensare: “bah, però sta un po’ esagerando…” e la cosa si ferma lì? Queste emozioni variano a seconda delle ferite latenti, non cicatrizzate che portiamo in noi, ma ciò che rifiutiamo, ciò cui diciamo ‘no’ l’abbiamo sotto gli occhi, è un orologio che segna le diciannove e trenta, mentre avevo appuntamento alle diciannove e una sedia di bistrot ancora vuota vicino alla mia: lui o lei non sono venuti. Nella paura non abbiamo niente sotto gli occhi, tranne una fantasia dell’immaginazione: “Il mio bambino morirà, lo so”. “In che modo il vostro bambino sta morendo e voi lo sapete? Il medico vi ha detto che è malato di leucemia?” “No, No, ma lo sento”, o qualunque altra paura: “Ci sarà la guerra e mi condurranno in un campo di deportati”. Dov’è questo campo di deportati? Vedete come la paura detta “irragionevole” sia un’emozione particolare; ciò cui diciamo ‘no’ è dentro di noi. E’ questo che rende la paura insopportabile, perché il nemico che vorremmo negare con tutte le nostre forze, è interiore e dirò di più: è una parte di noi. Noi affermiamo, siamo dunque inizialmente positivi e immediatamente neghiamo, siamo negativi. Affermo: morirò un giorno. Non è esterno a me, è in me che gioca la legge della nascita e della morte, e lo so. Comunque, anche se eliminiamo completamente l’idea orientale delle esistenze anteriori, sappiamo nelle nostre cellule che invecchiamo, che abbiamo cominciato, come si suole dire, il conto alla rovescia nel momento stesso in cui siamo nati. Dunque una parte di noi afferma: è così, morirò; e per certe ragioni, certe cause, rifiutiamo questa morte verso cui siamo invincibilmente attirati; non voglio morire. E’ chiaro nel caso della morte, ma è sempre vero. A voi scoprirlo. So bene che è sconvolgente da ascoltare e difficile da credere che abbiamo paura di ciò che in realtà vogliamo. Ma capite che non siete unificati. Una parte ha paura, un’altra vuole proprio ciò che vi terrorizza. Avete paura di ciò che in realtà volete. Affermo che è sempre così, questo è vero sempre. Ed è l’unico segreto che può aiutarvi a vedere chiaro, a essere un giorno completamente liberi delle vostre paure attraverso la vera conoscenza di se stessi. Semplicemente, cercate di ascoltare bene ciò che vi dico e di vedere come potete applicarlo seriamente alle vostre vite, alla vostra realtà. Farò adesso un altro esempio, più semplice. E’ quello della madre per la quale il figlio è un peso, un fardello. Anche per una vera madre, una madre che ha desiderato di esserlo, un bambino è un carico molto pesante. Osservate una madre che non vive che per il suo bambino. Salta agli occhi che, a volte, quel figlio è un peso e che una parte di lei grida: “No, non ne posso più, bisogna occuparsi di lui tutto il giorno, non ne posso più, è troppo faticoso”. Cosa succede quando ci sembra di portare un peso troppo grande? Vogliamo che la situazione migliori, cioè che il fardello scompaia. Dunque bisogna che questo bambino sparisca, dunque – abbiamo il coraggio di chiamare le cose con il loro nome – “bisogna che questo bambino muoia”. Solo che un simile pensiero è completamente censurato. E’ necessario che una madre sia molto avanti sul cammino della verità per riconoscere alla luce del sole che una parte di lei desidera la morte del figlio adorato. Cosa succede in una simile situazione? Per il fatto stesso che questo desiderio, questo augurio – che naturalmente non riguarda la totalità dell’essere, ma che comunque c’è – è rifiutato, si trasforma in paura e la madre comincia ad assillare il bambino: “Non salire lassù, ti ucciderai; non correre così, ti ucciderai”. C’è qualcosa di anormale. Se questa donna ha paura che il figlioletto muoia, è innanzi tutto perché lo desidera e poi perché è riuscita a rimuovere questo desiderio nel suo inconscio. Ecco un esempio semplice, meno complesso, ma anche meno interessante della paura della nostra morte inevitabile. La madre si augura che il figlio muoia, nega questo desiderio che allora si esprime nel timore che il bambino muoia: “Cosa fa? Dove è andato? Cosa gli è successo?” Paure totalmente infondate. Non è tragico vivere nella paura, nella sofferenza a causa di un avvenimento che non si è prodotto e che, statisticamente, ha una probabilità molto esigua di prodursi? E’ la follia stessa dell’emozione. Questa legge della paura è sempre all’opera e, a volte, in un modo molto più complesso. Spero che alcuni esempi facilmente comprensibili possano, almeno, aiutarvi fin d’ora a situarvi in modo diverso di fronte a un certo numero di paure. Se avete paura di qualcosa senza ragione, è perché la desiderate. Ora, ci sono diverse maniere di desiderare e la parola “desidero” può essere difficile da comprendere, ecco perché sarete maggiormente aiutati se utilizzerete un’altra espressione: “E’ perché sono attratto, forse persino affascinato come lo è la preda da un serpente che la fissa negli occhi”. Se comparaste in voi stessi le vostre paure essenziali, vedreste che sono molto diverse: una persona ha paura di cadere gravemente ammalata, un’altra non ha mai provato un’inquietudine del genere. C’è chi ha paura del disonore, della vergogna, della messa al bando da parte della società, e chi invece non è nemmeno sfiorato dall’idea che questa paura possa sorgere in lui. Alcuni hanno paura della morte di una persona cara, di un parente, di un figlio, altri della guerra civile, di un cataclisma, della rivoluzione, della bomba atomica e altri ancora hanno paure meno spettacolari. La paure variano molto da un individuo all’altro. Se la paura fosse razionale o ragionevole, le paure umane sarebbero molto più simili. Ma non è così. Certo, trovate molte persone che hanno paure simili, perché gli esseri umani si raggruppano in grandi categorie psicologiche. Ma queste parentele ci illudono, facendoci credere che le nostre paure fanno parte del fondo comune dell’umanità. La paura sì, ma poi voi avete le vostre paure particolari, perché avete le vostre attrazioni particolari. Quello da cui siamo attirati, lo portiamo in noi e lo proiettiamo al di fuori di noi. E’ inscritto in noi tutti che moriremo, siamo nati per morire. Fin dalla nascita comincia il cambiamento, l’invecchiamento e, conseguentemente, la morte. E questa attrazione rifiutata, la proiettiamo all’esterno, sotto la forma delle differenti paure della morte, per malattia, per incidente in macchina o in aereo, per un attentato. Vedete, vedete come le vostre paure sono irrazionali, anche se il mentale è così abile a razionalizzarle. Conosco alcuni Francesi che, dopo aver ascoltato i racconti sulla mancanza di sicurezza nelle strade di New York o di Chicago, hanno paura di recarsi negli Stati Uniti. Come se il solo fatto di mettere piede sul suolo americano fosse la garanzia di essere assassinati. Altri percorrono gli Stati Uniti in lungo e in largo per sei mesi senza la minima preoccupazione. Guardate la varietà delle vostre paure e non accettate le razionalizzazioni che vi propone il mentale.
Come qualsiasi altra emozione, la paura non è mai giustificata. Solo che c’è. Che si tratti di una legge universale, come quella dell’invecchiamento e del cambiamento inevitabile, o di un trauma dell’infanzia impresso in voi, una situazione dolorosa, un fenomeno che sul momento vi terrorizzò, il samskara esiste in voi. Più o meno inconsciamente voi lo sapete, lo negate e lo proiettate all’esterno. E’ una legge della psicologia moderna, ma è anche una delle leggi scoperte dalla saggezza antica. L’essenza stessa del trauma rimane identica nell’avvenimento antico e nella paura attuale, ma la forma può cambiare. Ci sono delle trasposizioni, delle equivalenze. Avete potuto essere atterriti una volta da vostro padre quando eravate molto piccoli. Sul momento si trattava di un fenomeno reale, non immaginario. Si è impresso in voi come un samskara e determinerà un certo numero di paure che proverete oggi, paura di fenomeni che sono il simbolo o la trasposizione di quella collera paterna di un tempo. Una trasposizione facile può essere la paura dell’autorità di qualunque genere, il prete, il poliziotto, le encicliche del papa o le leggi. Ci possono essere, invece, situazioni ancora più ‘trasposte’, molto meno riconoscibili e che diventano comprensibili solo se trovate veramente l’essenza dell’emozione e non la sua apparenza, la sua forma esteriore. Dopo aver ricevuto questo insegnamento da Swamiji, ho guardato le mie paure in un modo del tutto differente: com’è possibile che desidero ciò di cui ho tanta paura e che vorrei veramente che non succedesse mai? Eppure, se ho fiducia in Swamiji, devo credere che è così assertivo perché sa quello che dice. Che cosa desideri? Ho visto emergere in me la paura della morte eventuale di alcune persone. Ah, allora desidero la loro morte? In superficie, certamente, una voce grida: “No, no, non è vero”. E’ il modo in cui la superficie tenta di negare, di reprimere ancor più la profondità. E’ successo a me, succederà a voi. Ho avuto paura della morte di alcune persone e mi sembrava che fosse una cosa terribile per me, ma poi mi sono ricordato dell’insegnamento di Swamiji. Allora, coraggio! Apriamoci alla nostra verità; e, ogni volta, è apparsa una rivelazione straordinaria – sì, una simile scoperta non è poca cosa, è vero; ho paura di questa morte come una cosa terribile e, nel più profondo di me stesso una parte di me la desidera, è attratta. Mi affascina, in un modo o nell’altro, qualunque sia la ragione per la quale voglio che questo fenomeno si produca. Io non sono unificato, una parte di me rifiuta, io rifiuto il mio rifiuto e questo si trasforma in paura. Potete cercare di avere questa onestà, questo gusto della verità e, diciamolo, questo coraggio di fronte alle vostre paure? In cosa questa cosa mi concerne, perché questo mi interessa tanto? Possiamo usare anche la parola “interessato”. Diciamo che una persona è disinteressata, nel senso buono del termine, cioè che non immette motivazioni egoistiche o egocentriche in una data situazione. Agisce senza ricercare nessun profitto. Ma diciamo anche che una cosa ci interessa quando ci appassiona, quando ci attira in modo particolare. A cosa sono interessato? “No, no, questo non mi interessa, al contrario, mi fa orrore.” Menzogna Se qualcuno tra voi mi dice: “Arnaud, ho paura della malattia e della morte”. – “Ah, come e perché questo vi interessa tanto? Perché vi appassiona a tal punto da farvi paura?” Sì, per quanto mi concerne, nessuno prima di Swamiji era sceso tanto nei dettagli. Le risposte che avevo ottenuto altrove erano sempre le risposte spirituali classiche: “Non abbiate paura, Dio vuole il vostro bene, abbandonate il vostro destino nelle mani di Dio; voi non sapete ciò che è bene e ciò che è male, da un male può arrivare un bene; abbiate una fiducia assoluta; chi vuole salvare la sua vita la perderà, cosa importa morire fisicamente se salvate la vostra anima”. Certo, le spiegazioni induiste o cristiane sono vere e possono trasformare radicalmente un’esistenza, ma sono meno chiare, meno incisive, meno profonde dell’insegnamento che ho ricevuto da Swamiji. Ascoltatelo: quello che vi fa paura è ciò che vi fa orrore? No, è ciò che vi appassiona, è ciò che più vi interessa, è ciò da cui vi sentite particolarmente attirati. Se siete disinteressati, se quella cosa non vi interessa, se non ne siete coinvolti, se non ne siete attratti, allora non può farvi paura. Perché l’idea di poter essere uccisi per le vie di New York vi affascina tanto? – “Assolutamente no, mi fa orrore.” No! Vi appassiona. Perché? Ecco il segreto della paura. Perché? Ancora una volta siamo riportati alla conoscenza di noi stessi, alla conoscenza del soggetto. Chi ha paura? L’essere ordinario, più che del soggetto, si interessa più agli oggetti, cioè a tutto quello di cui può prendere coscienza, le situazioni felici, quelle tragiche. E’ questo interesse, l’attrazione o la repulsione per gli oggetti che riempie le vostre vite e le vostre preoccupazioni. Invece, chi è impegnato su un Cammino di ascesi si interessa al soggetto: chi ama, chi vuole, chi desidera, chi soffre, chi è attratto, chi è respinto,chi ha paura? Il segreto delle vostre paure lo troverete in voi stessi e non osservando all’esterno le possibilità di una guerra, i rischi di un omicidio, le statistiche delle compagnie d’assicurazione sugli incidenti del fine settimana. Niente di tutto questo vi darà la risposta alle vostre paure. Guardate in voi stessi. Perché mi interessa, perché mi attrae e perché ne ho tanta paura? Tutte le emozioni sono costituite da rifiuti. Se non c’è negazione della realtà, non può esserci emozione. E’ la legge dell’emozione. Invece di dire sì a ciò che è, rifiuto che ciò che è, sia. Sono stato fermato dalla polizia sulla strada, dopo la constatazione mi aspettavo di avere 300 franchi di ammenda, invece sono condannato a 1500 franchi di multa e il ritiro della patente per un mese: ecco, nero su bianco sotto i miei occhi; io non posso accettare che ciò che è sia, ed emerge l’emozione, ma emerge a causa di una sensibilità che mi è propria. Rifiuto un fatto esteriore a me. Ma quello che nego nell’emozione particolare della paura, è un fatto unicamente interiore, in cui tutto quello che proietto all’esterno è una mia invenzione. Per questo la paura è un’emozione particolare, la più importante di tutte. Rifiuto un fatto unicamente interiore. Se oggi avete paura di una guerra civile in Francia e di essere uccisi, fucilati da un plotone d’esecuzione, dov’è la minaccia? Generalmente, i condannati hanno paura prima, nel momento in cui i fucili sono veramente puntati contro di loro non hanno più paura. Dov’è la minaccia? Se avete paura della morte di vostro figlio quando invece è in piena salute, dov’è la minaccia? Una parte di voi afferma la realtà che è all’interno di voi stessi, una parte la rifiuta. E’ terrificante perché il nemico è in voi stessi. Non sapete contro cosa vi battete, cosa volete cercare di negare, di rifiutare e come potete intervenire. Se il nemico è esterno a voi, avete un’idea del modo in cui potete agire. Se c’è veramente una malattia, posso usare gli antibiotici, altri trattamenti, ma la paura, nel senso fondamentale della parola, paura, è sempre un fenomeno irrazionale che il mentale giustifica: “Sì, ho letto i giornali, la situazione è molto grave, i Russi invadono la Polonia!” Tutto ciò per giustificare una paura che non si fonda su alcuna realtà, a parte una realtà interna a voi stessi. Quello che rende la paura particolarmente terrificante, è che portiamo in noi stessi quello che temiamo e lo portiamo con noi ovunque andiamo. Dobbiamo chiarire ancora un punto, difficile da comprendere: è la teoria induista delle vasana. Gli Indù di una volta erano dei grandi psicologi e avevano scoperto l’inconscio (o il subconscio, come dicono gli indianisti per non utilizzare la parola incosciente). Quello che esiste in noi allo stato nascosto, latente – in India utilizzano molto il termine inglese latent che significa semplicemente nascosto, per opposizione a patent, visibile – è chiamato vasana. E’ un termine comune al Vedanta e allo Yoga che ha assunto molte sfumature di significato nella bocca dei vari maestri. Le brevi definizioni dei glossari, lessici e indici delle parole sanscrite non spiegano mai la pienezza del significato di vasana. Ho visto tradurre vasana con tendenze latenti, desideri, complessi, e io l’ho tradotto con richiesta, per mantenere il genere femminile perché vasana è femminile. La tradizione induista ha insegnato sempre che le vasana sono in noi una tendenza a rifare ciò che è stato fatto, a rivivere ciò che è stato vissuto, a provare di nuovo ciò che è stato già provato. Il dinamismo proprio delle vasana, tradotto talvolta con ‘dinamismo subcosciente’, è quello di riprodurre situazioni già conosciute, anche se sono state dolorose. E sapete bene che questo è stato affermato anche dalla psicologia moderna. Ci sono in noi delle tendenze alla ripetizione. uesta è la causa della nevrosi da insuccesso, cioè la ripetizione dello stesso fallimento. Un impiegato può essere licenziato dalle varie ditte in cui lavora fino a sei volte di seguito, senza aver commesso nessun errore particolare e sempre per motivi che non sembrano dipendere da lui: è stato soppresso il posto che occupava, c’è stata una fusione della società che ha comportato una diminuzione del personale, la società è fallita. Alcune persone hanno perso sei volte nella loro vita la loro occupazione e ogni volta, in superficie, questo licenziamento è stato molto doloroso per loro. Altre persone si sono sposate, credendo ogni volta che fosse la volta buona, molte volte hanno rotto la relazione e hanno sempre incontrato di nuovo lo stesso tipo di uomo o di donna. L’essenza di questi incontri è simile. In superficie, l’apparenza poteva essere differente, ma con un occhio che vede al di là della superficie ci si poteva rendere conto che, in una violinista di concerto o una professoressa di inglese o un’assistente sociale, l’essenza della relazione era la stessa e per tre volte un uomo ha fallito nello stesso tipo di matrimonio. La nevrosi da ripetizione è una riscoperta della psicologia moderna, ma gli Indù la insegnavano già 2500 anni fa. E’ anche un aspetto di quest’insegnamento sulla paura: la vasana è in noi, con la tendenza a ritrovare situazioni già vissute, in questa esistenza o prima di questa nascita, anche se in superficie noi le rifiutiamo con tutte le nostre forze. No, non voglio, non voglio un altro fallimento, ma nel profondo mi affascina e questo mi fa vivere nella paura. L’emozione rende confuse le vostre azioni che, sotto la sua influenza, non sono altro che reazioni. Non avete il comportamento giusto che potrebbe evitare la ripetizione dell’insuccesso e andate dritto verso quello che pretendete rifiutare, perché l’inconscio è il più forte. Dunque, una volta di più, presentate la vostra candidatura, difendete il vostro curriculum, su otto candidati siete stati scelti voi e, un anno e mezzo dopo, vi ritrovate licenziati, perché, nel profondo, siete voi che l’avete voluto per motivi che sono incomprensibili a livello cosciente, ma assolutamente chiari per l’inconscio. Quello che temete è ciò da cui siete attratti e alcuni esseri sono attratti dall’insuccesso, affascinati da esso. Eh sì! L’essere umano è molto complesso e la psicologia induista include una parte importante di psicologia del profondo. Alcuni monaci del monte Athos sono stati anch’essi dei profondi psicologi, ma si esprimono in un linguaggio che non comprendiamo più, perché parlano di demoni e noi proclamiamo: “Non è scientifico”. Ma se poteste comprendere il significato che si nasconde dietro questo intervento dei demoni, vedreste quale psicologia il cristianesimo ha conosciuto. Oggi, l’insegnamento cristiano include la teologia, il dogma, la morale, le devozioni come il rosario, la preghiera, non comprende più la psicologia, per questo i preti, e anche i monaci, quando hanno bisogno di un insegnamento psicologico, si rivolgono a psicologi profani. Chi ha una vocazione religiosa si fa psicoanalizzare da un analista ateo per sapere se la sua vocazione è sincera. Normalmente la Saggezza dovrebbe essere una totalità. In India lo è ancora, e questa teoria delle vasana nell’inconscio ha un grande valore psicologico. Nella descrizione dell’essere umano – niente Atman, Sé Supremo, Assoluto – il Vedanta distingue quattro aspetti: buddhi, chitta,manas, ahamkar. Ahamkar significa esattamente “ciò che fa il me”, altrimenti detto, è il senso dell’ego separato e individualizzato, a partire dal quale si dispiega tutta la dualità: io contrapposto al non- io, ed è questo senso dell’ego limitato che può scomparire.  Buddhi è l’intelligenza obiettiva che non pensa, ma “vede”. E’ la buddhi che produce la scienza, è la buddhi che permette agli uomini di vedere la realtà com’è e, nella misura in cui noi vediamo la realtà com’è, viviamo tutti nello stesso mondo. Manas è lo psichismo, il pensiero, le emozioni, tutto ciò che reagisce all’interno di voi nella vostra relazione con le situazioni che vivete, più o meno deformate dal vostro egocentrismo, dai vostri desideri, dalle vostre paure e dai vostri gusti. Manas è il funzionamento psichico tradito dalla soggettività. Chitta è tradotto talvolta in inglese con memory, memoria. Chitta è l’aspetto dello psichismo che è direttamente dipendente dal passato prossimo o remoto e gran parte di questa memoria, sepolta nell’inconscio, sussiste allo stato latente. Chitta è il ricettacolo, il deposito di tutto ciò che ci ha segnato e che questa memoria profonda ha conservato, in particolare i samskara, cioè le impressioni. Dunque, chitta include tutto l’inconscio ed è in questo settore dello psichismo, così ben descritto dall’India, che troviamo anche le vasana con la loro tendenza a rifare ciò che già è stato fatto, a riprodurre ciò che è stato già prodotto, a rivivere ciò che è stato già vissuto. Vedete che conoscenza psicologica profonda faceva già parte integrante del Vedanta, collegata alla metafisica dell’Atman e del Brahman. Questo contribuisce anche a spiegare il fenomeno della paura. Nel profondo di me stesso, esiste la tendenza a rimettermi nelle situazioni che in superficie voglio, ma anche nelle situazioni che in superficie non voglio assolutamente. Dunque c’è conflitto, e appare la paura. Non avrei paura di certe situazioni se, nel profondo di me stesso, non le volessi. E’ sconvolgente sentire questo, e mi ricordo bene del mio turbamento quando, con un’acutezza cui non potevo sfuggire, Swamiji mi ha dato quest’insegnamento. “Ma allora è terrificante se porto dentro di me tutti i miei nemici, non ne verrò mai fuori.” Ma, appunto, la forza della tradizione induista è di studiare il determinismo e i condizionamenti umani solo nella prospettiva dell’affrancamento, della liberazione, della salvezza. Non potrete mai essere liberi da un nemico che non conoscete; ma potete essere liberi da un nemico che conoscete. Se accettate il cammino della conoscenza di sé, se non v’interessate più agli oggetti, ma al soggetto che prende coscienza degli oggetti, siano essi esterni come le situazioni in cui vi trovate a vivere, o interni, come le sensazioni e le emozioni, troverete la via d’uscita, troverete la liberazione. Vi propongo, allora, di ritornare alle vostre paure, qualunque esse siano, nello spirito di quello che vi ho detto oggi. La paura naturale, istintiva che ci permette di proteggere la nostra esistenza – si tratta di un dato fondamentale che si collega a quello che è chiamato talvolta l’istinto di conservazione. La paura che è una pura emozione, destinata anch’essa a sparire, ma che si spiega più o meno con le circostanze nelle quali vi trovate. Non è di queste paure che sto parlando oggi. Esse rappresentano il rifiuto di una situazione che lì, davanti ai vostri occhi: ci sono le onde, voi rifiutate che ci siano le onde; c’è una corrente che vi allontana sempre più dalla costa e voi la rifiutate, cercate inutilmente di negare ciò che è. In questo caso siamo più vicini al meccanismo abituale delle emozioni. Ma oggi parlo di quelle paure che, ce ne rendiamo pienamente conto, non sono razionali, anche se il mentale cerca di razionalizzarle. Il mentale, il pensiero viziato dalle emozioni, cerca di rendere logiche le sue elucubrazioni ma, se siamo appena un po’ rigorosi, ci accorgiamo che non lo sono affatto. Non c’è ragione che io tremi di paura se mio genero di trent’anni va per due mesi negli Stati Uniti, solo perché ci sono degli omicidi nel cuore della notte in certe strade delle metropoli americane. Allora, osate ricordarvi di quest’insegnamento rivoluzionario: “Fear is negative attraction”, ecco le parole stesse di Swamiji, la paura è un’attrazione negativa. Non siete attratti positivamente, dicendo sì con tutto il cuore; siete attratti negativamente, dicendo no, ma questo non impedisce che siate “affascinati”. E, d’altra parte, non sareste interessati da un fenomeno fino a questo punto, se non fosse la manifestazione esteriore di quello che portate in voi. Io affermo che una parte di voi vuole quello che giurate di rifiutare con tutte le vostre forze, e se non potete vedere questo, non comprenderete mai il meccanismo stesso della paura. Ma, se ve ne ricordate e cercate di vedere se è vero o no, se guardate in voi stessi, verrete a capo delle vostre paure. Finché vorrete liberarvi dalle vostre paure considerandole unicamente come qualcosa che rifiutate, non comprenderete mai la verità e non sarete liberi. Immaginiamo una paura qualunque, stupida, insignificante. Io, per esempio, mi sono trascinato dietro per quarant’anni la paura di perdere i bagagli, ogni volta che prendevo il treno. Verificavo continuamente dov’erano, non osavo andare nel vagone ristorante lasciandoli nello scompartimento; non capivo come la gente potesse lasciare una valigia per occupare il posto, eppure il furto di valigie era raro sui treni francesi. Questa paura è persino una delle cause emozionali per le quali ho percorso in lungo e in largo l’Asia in automobile, così tutti i miei bagagli erano nella macchina chiusa a chiave, e non ho mai temuto che gli Indiani o gli Afgani potessero rompere il vetro e svaligiarmi. Perché questa paura di perdere i bagagli? E Swamiji mi disse: “Cerca! Hai paura di perdere i tuoi bagagli perché li vuoi perdere”. Una volta, avevo diciassette anni, sotto l’Occupazione, quando i treni erano strapieni, compresi i corridoi, i soffietti e i predellini, al momento di arrivare a destinazione, non ho più trovato i miei bagagli nell’enorme mucchio che sbarrava il passaggio da un vagone all’altro. Sono sceso alla mia stazione, sconvolto, terrificato, invece di cercare e ritrovare le valigie. Sono sceso con la morte nel cuore, perché l’unico vestito in tessuto sintetico, al quale le restrizioni ci davano diritto ogni anno, si trovava perduto con il resto. L’unica cosa da fare era di fermarsi a riflettere: i bagagli devono essere necessariamente nel mucchio che ostruisce la porta d’accesso ai gabinetti e va fino al vagone seguente, non lascerò il treno finché non li avrò trovati. Ma io sono sceso, con le mani vuote e il cuore stretto in una morsa. Swamiji ha affermato: “Hai voluto perdere i tuoi bagagli”. “No! Non è possibile!” – “E se hai ancora paura di perderli, è perché ancora vuoi perderli.” Vi darò la risposta. Potrà convincere due o tre di voi, interesserà forse altri due o tre, e molti la troveranno arbitraria. E’ solo per esperienza personale che si può dare valore a questo tipo di testimonianze che sono ridicole per gli altri, ma che ci sconvolgono quando si impongono a noi, non come elucubrazioni di un mentale che ha letto troppo Freud, ma come una vera e propria esplosione di verità. Si trattava di un simbolismo lacerante. Io ero diviso tra un attaccamento nevrotico a mia madre – per ragioni molto banali, un figlio maggiore detronizzato da un fratello e da una sorella più piccoli – e sapevo, in qualche parte di me, che quest’attaccamento non era armonioso, non era giusto. Nel profondo di me, volevo liberarmene, ma ne ero incapace e, per certe ragioni, l’idea di rompere con mia madre era insostenibile. In realtà, non si trattava di arrabbiarsi con lei, ma di tagliare – come si dice – il cordone ombelicale per diventare adulto. E, nella mia adolescenza, quando ho cominciato a viaggiare solo, mia madre ha continuato a prepararmi le valigie – “cosa ti vuoi portare? Porta questo, non portare quest’altro” – avevo preso l’abitudine di lasciarla fare. Perdere la valigia era il simbolo della mia emancipazione da mia madre. A diciassette anni avevo appena preso il mio diploma di filosofia, sarei andato all’università, il liceo era finito, diventavo grande. E ho perduto stupidamente una valigia sul treno, ritrovandomi senza neppure una giacca e con soltanto il pantalone e la maglia che avevo addosso. Inconsciamente, ho perduto quei bagagli perché lo volevo, è vero. Se sapeste per quanto tempo mi sono battuto contro Swamiji, perché lui non mi dava la risposta. Ha affermato: “Li hai persi perché hai voluto perderli, e hai ancora paura di perdere le tue valigie sui treni perché questo desiderio è in te”. Sì! Una volta li avevo veramente perduti a diciassette anni e continuavo a volerli perdere a quaranta. Perdere i miei bagagli, cosa che mi faceva così paura, significava liberarmi interiormente di questa madre che faceva le mie valigie. La valigia era diventata il simbolo della madre, perché è la madre che provvede, che dà al bambino tutto ciò di cui ha bisogno da quando è un neonato, e la valigia, nella quale erano custodite tutte le mie cose, rappresentava quello che i miei genitori mi fornivano. Perdere i bagagli significava perdere quello che dovevo ai miei genitori, era diventare self-dipendent, come si dice in inglese, non dipendere se non da me stesso. Naturalmente, in superficie, io rifiutavo tutto questo meccanismo. Dunque, per il mio mentale, c’era solo il fenomeno più evidente: ho paura di perdere i bagagli. Qualunque sia la paura, finché la interpretate in termini di rifiuto, non ne verrete a capo. Finché cercherete di capire perché non volete perdere i vostri bagagli, non ne verrete a capo. Quando comprenderete perché li volete perdere, sarete liberi dalla paura. La causa è semplicemente la vasana con la sua stupida tendenza a riprodurre quello che è stato già vissuto, a rivivere le stesse situazioni. E abbiamo qualche prova qui al Bost del fatto che facciamo di nuovo in quest’esistenza esattamente quello che abbiamo fatto nelle esistenze anteriori. Vedete che capovolgimento dell’ottica abituale! Non dimenticatelo. Vi ho svelato il segreto. Ho paura della morte? Significa che mi affascina e che le vado incontro. Tutte le vostre paure interpretatele così: lo voglio talmente che ne ho paura? Sì! Se potete mettere in pratica quest’insegnamento, sarete salvi. Con questo nuovo atteggiamento nei confronti delle vostre paure, se avete il coraggio, la determinazione, la stoffa dell’apprendista-discepolo, otterrete dei grandi risultati. Si, morirete, è certo, ineluttabile. Ma CHI morirà? Che cosa bisogna fare, cosa bisogna scoprire per essere liberi da ogni paura? E perché tutti gli insegnamenti spirituali, tutti senza eccezione, vi promettono “la morte della morte”, la Vita eterna?


lunedì 22 settembre 2014

unicorno

Forse non tutti sanno quanto grande sia il potere di un Unicorno…
Queste creature purissime e meravigliose, portano sulla loro fronte un corno, capace di cose straordinarie. Infatti molte creature del male cercano da secoli di impossessarsene,
cercando di uccidere gli Unicorni per assimilarne la forza e l’energia, allo scopo di diventare potenti ed invincibili. Data l’innocenza di queste creature docili e straordinarie,
c’è una Fata che combatte demoni e stregoni, per salvaguardarle e mantenere la forza degli Unicorni pura,il suo nome è Kaya, ed è la protettrice degli Unicorni da moltissimo tempo. 
Splendide creature, che volano nella fantasia, nel loro mondo ove tutto è meraviglioso, in un mondo particolare, dove esistono castelli fatati e creature invisibili, un fantastico universo colorato dalla loro presenza. I loro corpi sono bianchi, le loro teste scure e i loro occhi di un blu profondo… volano in alto Unicorni alati, nel cielo azzurro, dai mille colori, attraversando infiniti mondi, infinite galassie, per offrirci il loro splendore, essi ci trasportano lontano, in un mondo pieno di luce e fantastici sogni, nella loro fantastica fantasia. L’Unicorno, animale fantastico e bellissimo che popola miti e leggende, ha caratteristiche fiabesche, sognanti e “magiche”, e con il suo riconosciuto carattere fantastico gode di un tale favore, nell’immaginazione collettiva, da popolare anche i sogni. Seguiamoli, attraversiamo insieme a loro il fantastico mondo degli Unicorni, la fantasia non ha limiti, basta saperla usare bene. Anche William Shakespeare, nel III Atto de “La tempesta”, ne parla come un animale incredibile. Del fatto però che anche in tempi di Shakespeare si parlasse di questo animale non ci si deve meravigliare: da sempre l’Unicorno è stato una figura molto importante e di prestigio. Infatti, non era raro sentire di sovrani che possedevano nelle loro collezioni privare i corni di Unicorno, oppure trovare nelle farmacie delle polveri di corno che, tradizionalmente, erano considerate incredibilmente potenti come contro veleno. Si diceva che l’Unicorno fosse un animale molto docile, incapace di fare del male a qualsiasi essere vivente e dotato di una particolare sensibilità, che lo rendeva capace di evitare imminenti pericoli e di superare qualsiasi ostacolo, persino capace di purificare l’acqua da ogni sostanza nociva, solo toccandola. Si diceva anche che fosse talmente prezioso, che sulla terra se ne trovasse solo uno vivente per volta. La leggenda vuole che l’Unicorno fosse un animale così puro che solo persone dall’animo puro e candido potessero cavalcarlo. È per questa ragione che spesso l’Unicorno veniva raffigurato cavalcato da una vergine, da un Mago, una Fata o da un ElfoIl corno che aveva sulla fronte, l’Alicorno, era lungo circa 50 centimetri e si diceva fosse dotato di poteri magici. Si credeva, ad esempio, che se il corno veniva toccato da una persona gravemente malata, questa potesse guarire istantaneamente, e la credenza nelle capacità taumaturgiche del corno, è basata su un racconto medievale secondo il quale molti animali si radunavano insieme intorno ad una pozza d’acqua nel mezzo della notte, ma l’acqua era avvelenata ed essi non potevano berne, fino a quando non appariva un Unicorno che immergeva il suo corno nell’acqua che tornava pulita.

Scrive Johannes Van hesse di Utrecht nel 1389: “Ancor oggi, viene detto, animali malevoli avvelenano queste acque dopo il tramonto, così che niuno possa ivi dissetarsi. Ma nel mattino presto, appena sorge il sole, un unicorno esce dall’oceano, intinge il suo corno nell’acqua per espellere il veleno così che gli altri animali ne possano bere durante il giorno. Questo come lo descrivo, io vidi con i miei occhi.” Ma l’atteggiamento degli uomini nei confronti di questa creatura è stato nei secoli molto discordante. In Occidente era abitualmente considerato selvaggio e indomabile, mentre in Oriente era pacifico, mansueto e ritenuto portatore di buona fortuna; mentre alcuni lo annoveravano come un flagello della natura, altri usavano raffigurarlo addirittura nei simboli araldici delle loro famiglie, quasi conferisse importanza e prestigio. L’Unicorno non compare spesso nei sogni, in sogno esso indica il bisogno di ritagliarsi uno spazio intimo e perché no, segreto, che non sia minimamente sfiorato dalla banalità o dalla tristezza del quotidiano. Esso appare più facilmente nei sogni di bambini o di persone particolarmente sensibili che sentono la paura di crescere e cambiare, che avvertono la fatica di vivere in un ambiente in cui non ricevono adeguato nutrimento interiore: sono coloro che non si fermano alla superficie delle cose e che hanno bisogno di ben altro che le cure materiali. L’Unicorno che compare nei loro sogni è l’espressione del loro mondo interiore, del loro “sentire”, di un desiderio di “unicità”, profondità e completezza. Così anche nei sogni degli adulti l’immagine fantastica dell’Unicorno esalta gli aspetti psichici legati alle emozioni più pure, alla possibilità di vivere sentimenti idilliaci, a desideri di bellezza e di bontà, al senso di meraviglia verso la vita, all’ingenuità e all’integrità personale.
Ma può anche esprimere il ritiro nei confronti della realtà, la paura verso il rapporto sessuale, il rifiuto verso le implicazioni pratiche e materiali di un rapporto d’amore o di una qualsiasi relazione, mettendo in evidenza l’adesione ad un mondo immaginato e sognato che ha il sapore dell’ideale. La concezione dell’Unicorno nasce fra la Cina e l’India: viene infatti descritto per la prima volta nel Li-Ki come uno dei quattro animali benevoli, insieme al Drago, alla Fenice e alla tartaruga. In Cina indicava l’arrivo di un regnate perfetto. Il corno era la rappresentazione della “spada divina” ed era rivolto verso l’alto, il mondo spirituale. Simboleggiava la mitica terra da cui tutti noi proveniamo, fuori dal tempo, fuori dallo spazio, in quello “sconosciuto infinito” che è dentro di noi e che attende ancora di essere esplorato. Il suo nome originale era K’i-lin, nome che secondo la tradizione cinese riuniva il principio maschile e quello femminile, ed era raffigurato come un grande cervo con coda di bue e zoccoli di cavallo, armato di un solo corno, dai peli dorsali di cinque colori e da quelli del ventre gialli o bruni. Non calpestava erba viva né uccideva animali viventi, e compariva solamente nel momento in cui venivano al mondo dei regnanti perfetti.

In Occidente s’iniziò più tardi a confondere questo animale con il rinoceronte, al cui corno da sempre erano attribuite della capacità curative, ma nella tradizione cinese i due animali erano nettamente distinti. In seguito la figura dell’Unicorno si diffuse verso nuovi paesi e la ritroviamo in culture estremamente differenti da quella cinese: in Persia, ad esempio, si parla di un immenso Unicorno a tre zampe, che aveva il potere di purificare l’oceano.  L’Unicorno o liocorno, è una creatura magica dal corpo di cavallo, con un singolo corno in mezzo alla fronte. Il nome deriva dal latino unicornis, a sua volta dal prefisso uni- e dal sostantivo cornuc, “un solo corno”, ed è tipicamente raffigurato come un cavallo bianco dotato di attributi magici, con un unico lungo corno avvolto a torciglione sulla fronte. Molte descrizioni attribuiscono all’Unicorno anche una barbetta caprina, una coda da leone e zoccoli divisi. Una primissima rappresentazione può riconoscersi in un animale raffigurato nelle Grotte di Lascaux (Francia, Paleolitico superiore), dotato di un corno lunghissimo sulla testa e pelame sotto il muso. Simbolo di saggezza, nell’immaginario cristiano poteva essere ammansito solo da una vergine, simbolo della purezza. Agile, infaticabile e fiero, sfugge ai cacciatori che lo inseguono invano, mentre una vergine candida e pura addomestica l’animale selvaggio, il quale si affretta a stendersi dolcemente ai suoi piedi. La leggenda dell’Unicorno è diversa dalle altre perché è durata più a lungo, ed è stata condivisa dalle menti più illuminate di tutte le nazioni. Una delle caratteristiche principali del mito dell’Unicorno è il fatto che non è mai nato dalla paura umana come molte creature mitologiche: l’Unicorno è sempre stato considerato un simbolo del bene, un animale solitario, indomabile e misterioso, ma sempre innatamente buono. È anche una creatura estremamente fiera, e questo orgoglio si racconta che causò la sua estinzioneL’Unicorno è associato al Mercurio, elemento di sostanziale importanza quale “aurum non vulgi”, spirito di vita. Si credeva che se il corno fosse stato rimosso, l’animale sarebbe morto. Nella tradizione medievale, il corno a spirale è denominato “alicorno”, e gli veniva attribuita la capacità di guarire l’epilessia, le convulsioni e di neutralizzare i veleni. Questa virtù venne desunta dai resoconti di Ctesia (medico, storico e viaggiatore vissuto intorno al VI secolo a.C.) sull’Unicorno in India, dove sarebbe stato usato dai governanti per fabbricare coppe in grado di rendere innocui i veleni. La pratica dell’uso antivenefico dei corni di Unicorno ebbe una certa diffusione nell’Europa Medioevale, di sicuro molto influente fu la figura di Ctesia che, tra le sue opere, ne compose una, “Indikà”, dove parlava appunto dell’India. Anche se a noi ne sono pervenuti solamente pochi frammenti, abbiamo scoperto delle descrizioni molto interessanti e suggestive, che hanno contribuito a creare intorno a questo paese un alone di mistero:
“In India ci sono degli asini selvatici grandi come cavalli e anche di più. Hanno il corpo bianco, la testa rossa e gli occhi blu. Sulla fronte hanno un corno lungo circa un piede e mezzo. La polvere di questo corno macinato si prepara in pozione ed è un antidoto contro i veleni mortali. La base del corno, circa due palmi sopra la fronte, è candida; l’altra estremità è appuntita e di color cremisi; la parte di mezza è nera.
Coloro che bevono utilizzando questi corni come coppe, non vanno soggetti, si dice, alle convulsioni o agli attacchi di epilessia. Inoltre sono anche immuni da veleni se, prima o dopo averli ingeriti, bevono vino, acqua o qualsiasi altra cosa da queste coppe.
Gli altri asini, sia quelli domestici sia quelli selvatici, nonché tutti gli animali con lo zoccolo indiviso, non hanno né astragalo né fiele, ma questi hanno già sia uno che l’ altro. Il loro astragalo, il più bello che io abbia mai visto, è simile a quello del bue come aspetto generale e dimensioni, ma è pesante come piombo e completamente color cinabro”.
I critici della storia antica hanno versato vagonate di inchiostro nel tentativo di confutare le cose scritte da Ctesia: ipotesi avanzate, che egli si fosse lasciato condizionare da immagini e dipinti indiani, o che si riferisse ad un semplice animale molto conosciuto in Persia, l’onagro, una specie di asino al quale aveva accordato sfumature mitologiche. Oppure aveva semplicemente visto un rinoceronte e lo aveva descritto con tanta enfasi da stravolgerlo completamente, o ancora, si era confuso con una comunissima antilope tibetana, che ha delle grandi orecchie dritte che, viste di profilo, potrebbero sembrare un solo corno. In Grecia però, nel III secolo d.C., Eliano, un naturalista che ben conosceva il rinoceronte, al punto che nei suoi scritti quest’ultimo non viene neanche trattato, parla di un animale che viveva all’interno dell’India, che era grande come un cavallo, di pelo rossiccio, e che gli indigeni chiamavano kartazonos. Aveva una corno sulla testa, era nero e dotato di anelli; era scontroso, e lottava anche con le femmine della sua specie, salvo nel periodo degli amori. Iniziò così il mito dell’Unicorno, animale fantastico e raro, elegante e forte, dotato di poteri misteriosi, con l’andare del tempo divenne una vera e propria preda da inseguire e catturare, infatti nel XII secolo, quando le frontiere dell’Asia profonda cominciarono ad aprirsi all’Europa, si aprì anche una caccia spietata all’Unicorno. Nessuno si chiedeva più se questa creatura esistesse o meno, si pensava solo a cercarne una che si avvicinasse il più possibile alle descrizioni tradizionali, per conquistare fortuna e gloria. In un documento apocrifo conosciuto come “Lettera del Prete Gianni”, di metà XII secolo, gli Unicorni erano annoverati senza dubbio tra le meraviglie dell’Oriente. E l’illusione di trovarne durò a lungo, anche Marco Polo ne parlò nei suoi scritti. Dopo la scoperta dell’America i sospetti sull’esistenza dell’Unicorno si rinvigorirono di nuova forza, e specialmente la credenza dell’enorme affinità dell’animale con l’acqua; basti notare che in moltissime rappresentazioni l’Unicorno è sempre vicino a questo elemento: sul greto dei fiumi, sulle spiagge. Il fatto è spiegato che i coloni americani e soprattutto i canadesi, ritrovavano nelle loro spiagge lunghi corni che arrivavano fino a due metri. Anche nel Palio delle Contrade di Siena, palio di origini medievali e che si corre, come ognuno sa, ancor oggi, seppur in un contesto diverso, vi è, tra le 17 contrade, quella del Leocorno (Unicorno), rappresentata da un cavallo col corno in testa. Tra i ritrovamenti nella cosiddetta “Cava dell’Unicorno” (Einhornhöhle) in Germania, nel 1663, alcune ossa vennero selezionate e montate dal sindaco di Magdeburgo, Otto von Guericke, come un Unicorno. Questo Unicorno aveva solo due zampe, e venne ricostruito partendo da ossa fossili. Lo scheletro venne esaminato da Gottfried Leibniz, in precedenza scettico, ma da allora si convinse dell’esistenza dell’Unicorno. Con l’affermarsi della moderna scienza naturalistica, l’Unicorno cominciò ad uscire dai Bestiari per entrare nelle prime opere di sistematica naturalistica (che conterranno comunque, almeno fino alla metà del XIX secolo, accanto ad animali reali, anche animali fantastici, parzialmente o del tutto mitizzati). Tuttavia, nel corso del secolo, l’impossibilità di trovarne un esemplare, indirizzerà la scienza naturalistica ad escludere definitivamente l’Unicorno dalla lista degli animali esistenti. Ma l’unicorno ha continuato ad esistere nei miti e nella fantasia, e la sua grazia e bellezza sono diventate simbolo di una grazia e bellezza spirituale e di una purezza che appartiene alle sfere superiori. Il corno è un evidente simbolo fallico, ma la sua posizione al centro della fronte (zona preposta all’uso della ragione, “terzo occhio” per la capacità di vedere oltre il tangibile ed il materiale) sublima ogni carica erotica ed ogni fisicità. Ecco che l’Unicorno concentra in sé tutta la carica dell’amore nel senso più ampio, ma senza le implicazioni del sesso. Simbolo del Cristo e dell’amore vero, puro e disinteressato che fugge ogni lusinga della materia, la sua immagine elegante si lega al mondo della fantasia, a qualcosa di incorruttibile e non soggetto alle leggi del tempo, della necessità, e della realtà. L’Unicorno è una figura frequentemente raffigurata in araldica, secondo la tradizione, ma con gli zoccoli biforcati dei cervidi e del bue, la coda del leone ed una barba di capra sotto la gola. Frequente soprattutto tra gli ornamenti esteriori dello scudo. Nella letteratura cortese aveva risonanze più propriamente erotiche: il liocorno cacciatore invincibile, poteva essere ammansito solo dall’amore per la fanciulla. La coppia vergine-liocorno viene a rappresentare il violento conflitto interiore tra due valori: la salvaguardia della verginità come massima purezza da un lato, e la fecondità (corno come simbolo fallico) dall’altra. L’Unicorno fu spesso indicato, in tale contesto, quale simbolo della sublimazione dell’amore, della rinuncia all’amore per salvarlo da un deperimento ineluttabile. La ricerca di un animale reale come base per il mito dell’Unicorno, accettando la concezione degli scrittori antichi che esisteva davvero ai confini delle terre conosciute, ha aggiunto un’ulteriore aura di mitologia all’Unicorno. In epoca recente, si è cercato un animale che avesse almeno alcune caratteristiche della creatura leggendaria, tuttavia la loro forza non risiede nella credibilità “reale” di questi animali, bensì nella concezione che non è possibile nemmeno oggi spiegare e comprendere tutto ciò che la natura ci presenta, ogni sua rappresentazione, ogni sua parte e potenzialità. D’altra parte, secoli fa anche la semplice idea che l’uomo potesse volare era ridicola, ma qualcuno ci ha creduto… ed eccoci sulla LunaQuesto allora è l’Unicorno… Alla purezza ed innocenza dell’Unicorno bianco, animale del bene con la magia del suo corno benefico, si contrapponeva un’altra creatura considerata reale, la donna-pesce, altrove descritta come donna-uccello: la SirenaQuesta era raccontata nel Medioevo come simbolo di dannazione, uno dei sette peccati capitali, quello della lussuria. Al lato opposto il corno, il candore, l’elemento acqua, che avvicinavano d’altronde l’Unicorno al regime femmineo del simbolo, e di esso si faceva talora non solo il simbolo del Cristo, ma anche della vergine stessa. Una Sirena con doppia coda e canto che ammalia, come nell’antica Grecia raccontò Omero nell’Odissea. Il suo Ulisse riuscì ad salvarsi dalle Sirene solo dopo aver ordinato alla ciurma di tapparsi le orecchie e di venir legato all’albero maestro della nave, per non perdere il piacere di starle a sentire. Una donna-pesce dai lunghi capelli, con seni prorompenti e nudi, strumento del peccato, è scolpita su un capitello del duomo di Modena con la sua coda biforcuta: ricorda che fa parte degli armenti di Satana, con un canto lussurioso a cui è impossibile resistere. Così aveva sostenuto Bernardo di Chiaravalle, il padre spirituale dei templari: “Cosa sono mai le parole delle donne che vivono nel mondo se non canto di sirene?” Fiancheggiata da due Unicorni, la Sirena però non è piú la seduttrice che provoca una decadenza. È una Maga che incanta con la sua musica, e le braccia levate verso il cielo fanno di lei una sacerdotessa dell’arte, che seduce spiritualmente sollecitando il sentimento religioso a legarsi all’espressione dei Bello.