venerdì 21 novembre 2014

Il Libro di Enoch

Descrivere la genesi storica del Libro di Enochè abbastanza complicato. Gli studiosi sono attualmente sostanzialmente concordi nel vedere in esso il frutto di una rielaborazione conclusiva armonizzante a partire da 5 testi precedenti autonomi. Il numero 5 va probabilmente accostato ai componenti della Torah, col proposito del redattore finale di ricreare idealmente un nuovo pentateuco: per tale motivo si parla talvolta del Libro di Enoch come del Pentateuco di Enoch. Sebbene in passato vi siano state vivaci discussioni tra gli studiosi, grazie ai ritrovamenti di Qumran attualmente si può stabilire con certezza che la lingua originaria dei 5 testi autonomi era l'aramaico. La prima sezione, indicata come Libro dei Vigilanti (cc. 1-36), è datata a inizio-metà del II secolo a.C., in concomitanza alla rivolta in Giudea dei fratelli Maccabei contro l'occupazione ellenista. La sottosezione costituita dai cc. 6-11, nella quale non è citato Enoch, rappresenta un nucleo precedente al resto della sezione che ne ha catalizzato lo sviluppo. Va probabilmente datata al III secolo a.C., anche se G. W. Nickelsburg propone il IV secolo a.C., e J. Milik la ipotizza addirittura precedente alla formazione della Genesi (V-VI secolo a.C.). La seconda sezione, il Libro delle Parabole (cc. 37-71), secondo la maggior parte degli studiosi è stata composta nel I secolo a.C. (James Charlesworth si spinge fino al I secolo d.C.). Tuttavia lo studioso cattolico polacco Józef Milik nel 1976 ha ipotizzato che il Libro dei Giganti, testo apocrifo rinvenuto tra i manoscritti non biblici di Qumran (1Q23–4; 2Q26; 4Q203; 530–33; 6Q8), facesse in un primo tempo parte del Libro di Enoch appunto come seconda sezione. In seguito l'attuale Libro delle Parabole, che Milik ipotizza composto nel II-III secolo d.C. avrebbe rimpiazzato il Libro dei Giganti. Il movente principale dell'ipotesi è nei riferimenti al Figlio dell'uomo presenti nel Libro delle Parabole, titolo di origine giudaica (v. in particolare il Libro di Daniele c.7) ma che a partire dal Nuovo Testamento è stato dalla tradizione cristiana attribuito a Gesù. Questo spiegherebbe inoltre l'anomala assenza delLibro delle Parabole tra i manoscritti di Qumran. L'ipotesi però non ha trovato largo consenso tra gli altri studiosi. La terza sezione è il Libro dell'Astronomia o Libro dei Luminari Celesti (cc. 72-82), probabilmente di inizio II secolo a.C. Leonhard Rost posticipa la data della sezione a fine II secolo a.C., mentre J. Milik l'anticipa a fine III-inizio II secolo a.C. La quarta sezione, il Libro dei Sogni (cc. 83-90), è probabilmente coevo alla rivolta maccabaica (metà II secolo a.C.). La sottosezione chiamata Apocalisse degli Animali (cc. 85-90) è da Leonhard Rost datata a fine II-inizio I secolo a.C., mentre James C. VanderKam ipotizza per essa l'inizio del II secolo a.C. La quinta sezione, la Lettera di Enoch (cc. 91-104), risale probabilmente alla prima metà del I secolo a.C. La sottosezione chiamata Apocalisse delle Settimane, testimoniata come integra a Qumran (4Q212) ma spezzata nella redazione definitiva in 93,1-10; 91,11-17, è datata a inizio II secolo a.C. La sezione conclusiva (cc. 105-108) viene talvolta indicata come Apocalisse di Noè. Compare nelle versioni copte ma non greche. Ne è stato ritrovato un frammento aramaico a Qumran (4Q204). n definitiva le 5 sezioni del Libro di Enoch in aramaico erano presenti in Palestina nella prima metà del I secolo a.C. Attualmente non è possibile stabilire se costituivano già un'opera unitaria come ci è pervenuta. Di questo periodo ci sono pervenuti anche frammenti di traduzioni in greco ed ebraico da ritrovamenti di Qumran (v. dopo). La traduzione greca è anteriore alla Lettera di Giuda, che la cita (v. paragrafo canonicità), e dunque va datata attorno alla metà del I secolo d.C. Vi è sostanziale accordo tra gli studiosi occidentali nel ritenere che a partire dalla traduzione greca fu successivamente realizzata la versione ge'ez, nel V-VI secolo. Radicalmente diversa è la posizione degli studiosi ed ecclesiastici copti, che ritengono la versione etiopica quella originale. Inoltre, data l'antichità del personaggio antidiluviano di Enoch, il libro rappresenterebbe il primo e più antico testo scritto da uomini. Inutile precisare che agli occhi della moderna critica storico-filologica questa posizione, oltre che falsa, appare anche un po' ingenua. Quanto alla tradizione ebraica, il Libro di Enoch venne definito come apocrifo, cioè non accolto tra i libri biblici, durante il cosiddetto concilio di Jamnia (fine I secolo d.C.), che stabilì definitivamente quali dei testi giudaici fossero da considerarsi canonici e quali non canonici. Lo scrittore cristiano Tertulliano sosteneva che il motivo di tale rigetto fosse da cercare nella fortuna che il testo avrà nella tradizione cristiana. È tuttavia più facile pensare che il rigetto ebraico fosse motivato dagli altri fattori che determinarono l'esclusione di altri testi giudaici, come il non essere scritto in ebraico e la non antichità della data di composizione. Quanto alla tradizione giudeo-cristiana, Enoch è citato esplicitamente nella Lettera di Giuda:
« Profetò anche per loro Enoch, settimo dopo Adamo, dicendo: «Ecco, il Signore è venuto con le sue miriadi di angeli per far il giudizio contro tutti, e per convincere tutti gli empi di tutte le opere di empietà che hanno commesso e di tutti gli insulti che peccatori empi hanno pronunziato contro di lui »   (Giuda 14-15)
  • 1 Enoch 60:8 "Enoch, settimo dopo Adamo"
  • 1 Enoch 1:9 "Ecco, il Signore è venuto con le sue miriadi di angeli per far il giudizio contro tutti, e per convincere tutti gli empi di tutte le opere di empietà che hanno commesso e di tutti gli insulti che peccatori empi hanno pronunziato contro di lui"
Che è stesso un ampliamento delle parole di Mosè:
  • Deuteronomio 33:2 Disse adunque: Il Signore venne di Sinai, E apparve loro di Seir; Egli risplendè dal monte di Paran, E venne dalle decine delle migliaia de’ santi, Avendo dalla sua destra il fuoco della Legge, per darla loro.
La citazione esplicita di Enoch all'interno di un testo biblico ha poi spronato alcuni autori successivi a citarlo o a rifersi implicitamente ad esso: Lettera di Barnaba (14,6); Giustino martire (Apologia 2,5); Taziano (Oratio adversus Graecos 8;20); Atenagora di Atene(Legatio pro christianis 24;25); Ireneo (Adversus haereses 1,15,6; 4,16,2; 4,36,4; 5,28,2);Tertulliano (Apologia 22; De Cultu foeminarum 1,2; 2,10; De idolatria 4,9; De virginibus velandis 7); Clemente di Alessandria (Eclogae propheticace 3,456;474; Stromata 3,9);Origene (Contra Celsum 5,52-54; In Ioannem 6,25; In numeros humilia 28,2; De principiis1,3,3; 4,35); Atti di Perpetua e Felicita (7; 12); Commodiano (Instructiones 1,3); Cipriano (De abitu virginum 14); Pseudocipriano (Ad Novatianum 3); Ippolito (Oratio adversus Graecos1,393); Lattanzio (Istitutiones 2,14; 4,27; 5,18; 7,7-26); Cassiano (Collatio 8,21).
Il Libro di Enoch tuttavia non venne in definitiva accolto nel canone cristiano (a eccezione della Chiesa Copta), che fu definito solo all'inizio del IV secolo. Per i testi dell'Antico Testamento, il criterio canonico cristiano fu fondamentalmente quello di accogliere i testi presenti nella Settanta, la traduzione greca dell'AT di origine giudaica e usata nella tradizione cristiana già a partire dalla composizione del Nuovo Testamento (I secolo d.C.). Il Libro di Enoch non compare appunto nella Settanta. l pari di molti altri testi apocrifi, la non accoglienza del Libro di Enoch nel canone ebraico e cristiano ne causò un lento e progressivo abbandono: la copiatura amanuense dei testi sacri era particolarmente costosa (per ogni pagina di pergamena serviva la pelle di una pecora), e veniva ovviamente dedicata ai testi che venivano usati per studio o preghiera. Non si deve pertanto pensare a una caccia o persecuzione ai testi apocrifi. L'ultimo accenno al Libro di Enoch risale al IX secolo, dopo il quale non ne restavano che citazioni frammentarie contenute nei testi patristici. A inizio Seicento lo studioso francese Nicolas-Claude Fabri de Peiresc disse di essere in possesso di un testo in lingua ge'ez (l'antica lingua etiope), corrispondente al perduto Libro di Enoch. Esaminato dall'orientalista Hiob Ludolf, in realtà risultò essere nient'altro che un trattato dal titolo Misteri del Cielo e della Terra di un certo Abba Bahaila Michael che non aveva niente a che fare col testo apocrifo. La vera riscoperta del Libro di Enoch avvenne a fine XVIII secolo. Nel 1773, al suo ritorno da un viaggio in Abissinia (attuale Etiopia), il viaggiatore scozzese James Bruce portò con sé in Europa 3 copie di un libro scritto in lingua ge'ez. Una copia fu venduta alla Biblioteca Bodleiana dell'Università di Oxford, un'altra alla Regale Libreria di Francia (attuale Bibliothèque Nationale de France), mentre la terza copia fu conservata dallo stesso Bruce. Non ci si rese conto del vero valore del testo fino a che non venne studiato dall'orientalista francese Silvestre de Sacy (maestro tra l'altro di Champollion) che ne pubblicò nel 1800 una parziale (cc. 1;2;5-16;22;32) traduzione in latino. Nel 1821 l'ecclesiastico ebraista inglese Richard Laurence pubblicò una traduzione in inglese completa del manoscritto Bodleian, titolata Il libro di Enoch, il profeta: un'opera apocrifa ritenuta perduta per anni, ma riscoperta alla fine dell'ultimo secolo in Abissinia, ora tradotta per la prima volta da un manoscritto etiopico della Bodleian Library. Ne curò altre riedizioni nel 1833 e 1838. L'orientalista tedesco August Dillmann criticò severamente il lavoro di Laurence, giudicandolo inaffidabile. Nel 1833 l'orientalista tedesco Andreas Gottlieb Hoffmann pubblicò una traduzione in tedesco titolata Il libro di Enoch in traduzione integrale, con commento, introduzione e note. Il lavoro però si basava in parte su quello di Laurence, accogliendone alcuni errori. Altri lavori, considerati anch'essi di scarsa qualità, vennero pubblicati dall'ecclesiastico inglese Edward Murray nel 1836 e dallo studioso tedesco August Friedrich Gfrörer nel 1840. La prima edizione affidabile del testo apparve nel 1851 a cura dell'orientalista tedesco August Dillmann, titolata Libro di Enoch, edizione fedele dei cinque codici, con varianti di lettura, alla quale seguì nel 1853 una traduzione tedesca. In ambito anglosassone fondamentale è stata l'edizione del 1912 pubblicata da Richard H. Charles. Questa edizione critica e il resto del lavoro dello studioso sul Libro di Enochrappresentano una pietra miliare per lo studio del testo. 

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