martedì 29 marzo 2016

L'importanza della guida spirituale


Nella pratica Yoga e Tantra autentica è assolutamente necessaria l'esistenza di una guida spirituale realizzata: "Un cieco non può guidare un altro cieco"Un maestro Yoga autentico assume con totale responsabilità la guida del discepolo. Tra di loro si stabilisce una relazione ineffabile e libera che, prendendo in considerazione la nobiltà e l'altezza della meta prefigurata, supera nell'amore e nell’empatia anche la relazione genitore-figlio. Evidentemente qui ci riferiamo allo Yoga nei suoi aspetti più profondi. Esiste nei giorni d'oggi una tendenza molto pericolosa in cui si dice che non ci sia bisogno di una guida spirituale, che ognuno può farcela da solo. Un'analisi di buon senso ci fa comprendere che in realtà in ogni campo c'è bisogno di una guida e ancor di più nello Yoga dove alcuni aspetti devono essere attentamente sorvegliati e messi in pratica con saggezza, gradualmente. Tutti i grandi yogi sono d'accordo con questa idea fondamentale. Dall'altra parte, lo Yoga affrontato come una semplice ginnastica non è pericoloso se manca una guida, ma non produrrà nemmeno gli effetti benefici straordinari che può portare invece un'integrazione spirituale.

LA NECESSITA’ DI UNA GUIDA SPIRITUALE PER COLUI CHE CERCA LA VERITA’ ULTIMA
L’importanza attribuita alla relazione guida spirituale-aspirante, tra iniziatore e iniziato, nella tradizione spirituale dell'India come anche in molte vie spirituali esoteriche del mondo, ha fatto nascere nei filosofi moderni la domanda"Perché si deve accettare un altro come guida spirituale o guru?" Non è l'uomo dotato di sufficiente intelligenza per discernere tra ciò che gli è necessario e ciò che non gli è benefico? Non può scegliere da solo in qualunque campo della vita? Sicuramente l'uomo è dotato di ragione e abbastanza volontà per determinare e modificare il proprio destino. Ancora di più, i testi tradizionali sacri affermano che l'aspetto ultimo di ogni essere è di natura divina, quindi Dio stesso rappresenta la guida che c’è dentro ciascun uomo. Allora a cosa serve un guru esterno? Non basta che l'uomo ascolti la voce della guida interiore, invece che sottoporsi ad un altro che, in fin dei conti, è anch'egli mortale come qualunque altro uomo? Non ci sono tanti esempi di yogi, santi e mistici che non hanno avuto nessun guru e tuttavia hanno raggiunto la liberazione, seguendo la loro guida interiore? È vero che ogni uomo ha dentro il suo profondo la scintilla divina, il Sé spirituale. Ma quanti esseri umani lo possono sentire e possono realizzare la sua presenza? Quanti si possono aprire per ricevere la sua guida? L'uomo, così come si manifesta nel periodo attuale sulla terra, ha una visione limitata dall'ignoranza in cui si compiace e non può andare molto lontano da solo, né verso gli aspetti elevati né verso la profondità della sua anima. L'illusione, che è un effetto dell'ignoranza, agisce così fortemente sui suoi sensi, che è molto facile per un tale uomo sbagliare ed ascoltare la voce del suo ego inferiore credendo che questa sia la voce del Sé Divino. Teoricamente è possibile diventare consapevoli della nostra guida interiore ed evolvere da soli sulla via spirituale, come tra l'altro è stato dimostrato da alcuni esseri speciali della storia dell'umanità. Ma, generalmente, questa verità è limitata nella sua applicazione a causa dell'immaturità della coscienza umana nell'attuale stadio di sviluppo. L'essere umano conosce tramite i sensi, orientati il più delle volte verso l'esterno, e difficilmente riesce a rapportarsi verso ciò che non vede o non sente sulla via fisica, quindi gli è difficile credere in una guida che non può essere percepita fisicamente. Una guida invisibile difficilmente può ispirare fiducia. Per superare questa difficoltà naturale, la tradizione indiana riconosce gli AVATAR, incarnazioni del divino in una forma umana, che possono essere percepiti fisicamente e che determinano una trasformazione profonda nella coscienza dell'umanità. Purtroppo le incarnazioni divine sono rare e appaiono soltanto nei periodi cruciali dell'evoluzione dell'universo. Esistono tuttavia altre manifestazioni del divino, i suoi messaggeri che vengono nel mondo con un compito preciso: queste sono le guide spirituali in grado di portare gli esseri umani verso il Sé. Ma nemmeno loro nascono ogni giorno e non molti possono beneficiare del loro insegnamento e della loro guida verso la realizzazione ultima. L’ideale del guru umano o della guida spirituale nella tradizione indiana è l'essere capace di portare a compimento l'aspirazione di profonda trasformazione spirituale di un altro essere umano. Un tale maestro vivente ha percorso già la via spirituale scelta dal ricercatore ed è in grado di mostrare a quest'ultimo la direzione, ed ha anche il potere ditrasmettere al discepolo la verità della sua esperienza e della sua realizzazione. Quindi lui fa diventare vivo e dinamico l'ideale spirituale dell'aspirante, iniziandolo nel conoscere la verità e stimolandolo verso la pratica, per facilitare il concretizzarsi progressivo di questi aspetti nella vita del discepolo; senza un tale maestro è quasi impossibile raggiungere la realizzazione ultima. Il campo spirituale è ancora una zona poco esplorata dalla coscienza umana abituale e se non vogliamo smarrirci su questo ampio e alto territorio dobbiamo appellarci ad un guru che ci può portare direttamente alla meta. Nel RIG-VEDA (X.32.7) troviamo scritto: "Lo straniero chiede qual è la via a colui che conosce questa via. Insegnato da colui che conosce, lui non si smarrisce. Veramente questa è la benedizione della saggezza; lui trova la via che porta diritto in avanti". Le UPANISHAD dichiarano che soltanto colui che ha una guida può realizzare la verità ultima. BRAHMAN, l'Assoluto Divino, l'oggetto della suprema ricerca, non può essere conosciuto soltanto tramite il proprio sforzo mentale. La KATHA UPANISHAD (1.2.8.9) afferma: “Finché un altro non ti parla di BRAHMAN, non potrai trovare la via verso di Lui; perché Lui è più sottile che il sottile e la mente non Lo può raggiungere". Questa comprensione non può essere raggiunta tramite ragionamenti ma soltanto quando è indotta da un altro porta alla vera conoscenza. Soltanto ciò che è rilevato direttamente da un guru può diventare un conoscere vero, e la comprensione profonda può essere comunicata al ricercatore soltanto da colui in cui questo conoscere è vivo. Le UPANISHAD raccontano che anche coloro che erano maestri di una certa scuola spirituale andavano come discepoli da altri maestri quando desideravano realizzare la verità di altre vie. Quindi il più delle volte nemmeno questi saggi potevano assimilare in modo profondo un nuovo insegnamento senza un aiuto. Era necessario qualcosa in più che doveva essere indotto, la tecnica e il discernimento che renda vivo questo conoscere dentro loro stessi. Se i VEDA e le UPANISHAD confermano la necessità e l’indispensabilità di una guida spirituale e parlano di una tradizione della linea GURU-SHISHYA (nella quale il maestro è il primo aspetto, il discepolo è l'altro aspetto e il legame tra di loro è VIDYA, il conoscere), il tantrismo dà una forma molto chiara alla relazione maestro discepolo e la tratta in modo molto profondo. In questa tradizione, il guru rappresenta l'asse principale attorno alla quale si realizza ogni movimento della vita spirituale. Lui non è soltanto un professore capace di insegnare agli altri, ma è molto di più: lui viene visto come un rappresentante di Dio, come una manifestazione dello stesso Dio. Il supremo SHIVA che è senza forma, dice il testo KULARNAVA TANTRA, appare al ricercatore nella forma del guru. I TANTRA affermano in modo chiaro che nessun uomo può avanzare sulla via spirituale senza aiuto. L'uomo potrà leggere molti libri, praticare austerità, raggiungere sbalorditive capacità paranormali, ma la lettura dei testi sacri rimane conoscenza mentale sterile e il rito diventa routine meccanica se queste non sono energizzate e coscientizzate grazie alla personalità di un guru. Solo quegli atti ispirati nel discepolo da parte del suo maestro possono portare Bhakti (la devozione) e Mukti (la liberazione). Anche se un essere umano è dotato di qualità speciali e di un'aspirazione ardente, ha tuttavia bisogno di qualcuno che lo stimoli spiritualmente, che gli induca quella forza (Shakti) che lo farà agire senza errore e seguire sempre la retta via (anche nelle zone che sono oltre le capacità umane di comprensione). Questo aiuto è offerto da parte della guida spirituale. Qualunque sia la natura della sua sadhana (pratica spirituale), sia che si tratti della via della meditazione, dhyana, della devozione rituale, puja o mantra-pujaè sempre il guru colui che inizia, guida e porta l'aspirante verso la realizzazione ultima.

Qual è il ruolo di un maestro?
L'indispensabilità di una relazione guru-shishya (maestro-discepolo) è apparsa in quest'epoca di razionalismo o mera superstizione. Nonostante ciascuno di noi custodisca dentro di sé questa sorta di luce divina, sono ancora troppo pochi coloro che possono percepirne la presenza. Come ci si può aprire per ricevere il Suo insegnamento? Nel regno spirituale, come in altri settori, una preziosa guida con una conoscenza autentica, profonda, dotata di una ricca esperienza che ci viene offerta nel momento opportuno, può aiutarci immensamente a non perdere troppo tempo e a non sprecare energia e sforzi vani. Egli può inoltre aiutarci ad eliminare la sofferenza e la possibilità di un eventuale fallimento. Inoltre sa come agire con saggezza per eliminare le nostre cattive abitudini, che risulterebbero poi ostacoli alla nostra salita, facilitando allo stesso tempo il risveglio e l'amplificazione delle qualità che semplificheranno invece la nostra ascesa. In realtà, il ruolo di un maestro spirituale è quello di accompagnarci nel cammino spirituale fino alla fine, quella fine unica che è l'Infinito, o che alcuni chiamano DIO.

Il modello ideale di maestro spirituale
Spesso, una volta impegnati in una ricerca spirituale autentica, ci troviamo disorientati e confusi, non sapendo quale sia il passo successivo da fare. Ecco che appare con urgenza il bisogno di un maestro. Di fatto, in qualsiasi lavoro, in qualsiasi campo, chi abbia assimilato un rispettivo insegnamento andrà poi ad insegnare e a condividere con gli altri la propria esperienza. Pertanto, in ciascuno di noi vi è l'immagine perfetta di un essere che "sa tutto e può tutto" e a cui si può fare riferimento per adempiere ad un particolare scopo. Questa immagine corrisponde, in realtà, all'ideale del nostro maestro. L'ideale di guru nella tradizione indiana è rappresentato da un essere in grado di soddisfare l'aspirazione di profonda trasformazione spirituale di un altro essere. Un tale maestro autentico ha già percorso il cammino spirituale scelto in qualità di ricercatore ed è in grado di mostrarne la direzione, avendo il potere occulto di trasmettere al discepolo la verità della sua esperienza e la sua realizzazione. In realtà, egli ravviva e dinamizza l'ideale spirituale dell'aspirante, ovvero la liberazione e perfezione spirituale, iniziandolo alla conoscenza della verità e spingendolo allo stesso tempo verso la pratica, per facilitare una concretizzazione progressiva di questi aspetti, nella vita del discepolo. Senza un tale insegnante è quasi impossibile raggiungere la Realizzazione Ultima. Il dominio spirituale è una zona poco esplorata dalla comune coscienza umana e se non vogliamo perderci in questo vasto territorio, si deve fare appello ad un maestro che lo conosce e che ci può condurre direttamente alla meta.

Dipendenza e indipendenza nel rapporto maestro-discepolo
Poiché ogni guida spirituale o guru conduce personalmente il discepolo verso la realizzazione del sé SUPREMO divino, attraverso la  strada che meglio si adatta alla persona in causa, il discepolo deve trovare il proprio maestro e poi, una volta riconosciuto, dedicarsi a lui fino alla fine. Non si tratta di fanatismo o qualunque altra forma di proselitismo, come si tenderebbe a credere, ma solo di un'antica tradizione autentica, verificata dal tempo che ne ha offerto i risultati attesi. Per una mente occidentale, è piuttosto difficile da accettare. Ma se trovate un vero maestro, libero dai condizionamenti di questo mondo effimero e che conosce i segreti dell'universo in cui viviamo, la situazione cambia. Sicuramente vi siete posti molte domande durante questa vita. E solo una piccola parte ha trovato risposta. Immaginate ora di aver incontrato una persona che detiene tutte le chiavi e tutte le risposte. Credete di poter rinunciare alla sua consulenza ed orientamento? Niente affatto. Avete sempre chiesto un suo consiglio e aiuto, sapendo che quello che state facendo va bene ed è sulla buona strada. Questo potrebbe equivalere ad una prima fase dell'evoluzione del rapporto tra discepolo e maestro. La si potrebbe vedere come un qualche tipo di dipendenza, ma noi la chiameremmo piuttosto un ASCOLTARE. In questa fase siamo come un bambino che impara a camminare e richiede di continuo il sostegno del padre. Con il tempo, la situazione cambia, perché più il discepolo assimila esperienza, più deve essere in grado "di camminare sulle sue gambe". Un vero maestro non fa sì che i suoi discepoli diventino dipendenti da lui, anche se apparentemente ne rispettano pienamente la volontà. Mentre ci evolviamo spiritualmente diventiamo sempre più indipendenti, perché cominciamo a capire correttamente come funzionano le leggi divine e siamo in grado di prendere le decisioni migliori per la nostra evoluzione spirituale. La dipendenza iniziale di un discepolo dal suo maestro spirituale è e deve essere rigorosamente temporanea. Nel momento in cui inizia a verificarsi un'evoluzione spirituale, il discepolo deve gradualmente diventare autonomo.

Come trovare il vostro stesso maestro o guida spirituale
La tradizione spirituale Shivananda afferma che "Quando il discepolo è pronto, il maestro appare". Quello che dobbiamo fare è solo volerlo incontrare con tutta la nostra anima, e inoltre cominciare una severa disciplina interna che crei le premesse dell'apparizione del maestro nella nostra vita. Di fatto si parla di una ricerca spirituale intensa, un desiderio effervescente a lottare per avere successo e conoscere il nostro vero sé. In questo cammino potrete trovare varie persone che penserete siano dei maestri. Ma il Maestro è solo uno. E attenzione, spesso è possibile sbagliare. Ci sono molti ciarlatani che sono pronti a offrire "sostegno" in cambio di determinati benefici. Voi dite che è difficile discernere chi sia il vostro vero maestro. Ma vedrete che l'incontro con lui vi darà una comprensione maggiore e un sentimento tale che vi farà capire che è davvero lui.

la verità genera paura.

Non so se ci avete mai fatto caso, ma nelle storie religiose, nei sutra del Buddhismo e Induismo, come nelle parabole delle religioni monoteiste, vi sono due distinti e specifici tipi di seguaci spirituali… Quelli comuni, corrispondenti alle folle numerose che si accalcano clamanti nelle speciali occasioni in cui i grandi Maestri vengono tra loro, e quelli più particolari che li seguono silenziosamente da vicino e pendono direttamente dalle labbra dei loro maestri. Non so se si riesce a capire la grande differenza che c’è tra questi due tipi di "ascoltatori" della Verità. I primi, che anche ai giorni nostri credono di essere in regola semplicemente dedicando alla spiritualità brevi e fugaci periodi della loro vita di tutti i giorni, e gli altri (invero assai di meno) i quali hanno capito che per riuscire a comprendere ed assimilare-bene la verità bisogna dedicare allo spirito molto più tempo di quanto, invece, essi dedicano alla loro componente materiale, vale a dire il loro corpo, la loro persona e l’ego individuale. Per esempio, quando nelle sacre scritture si parla di vita eterna, i primi credono e sperano che essa significhi l’esistenza eterna di essi stessi come persone, come se indicasse l’esistenza di un loro personale corpo-eterno, e ciò sta a dimostrare quanto poco essi capiscano di verità spirituali. Se si preoccupassero di dedicare più tempo alla conoscenza segreta, essi non potrebbero certo fare un errore simile. Le ingiunzioni spirituali dei grandi Esseri che hanno insegnato le dottrine sulla verità dell’esistenza e della vita oltre la vita, parlano chiaro. Tutto ciò che in questo mondo è nato dovrà perire, tutte le cose materiali, compresi i nostri corpi e le nostre menti umane, dovranno scomparire, perché questa è la legge di natura della ‘maya’, o Illusione. L’unica cosa che è sempiterna, permanente ed esisterà per sempre è la nostra "vera-essenza". Ma che cos’è questa nostra vera-essenza, e come è possibile conoscerla e riuscire ad identificarcisi, questo è il difficile problema…
Inanzitutto necessita cominciare a tentare di fare luce su questa verità misteriosa, avvalendoci delle istruzioni segrete del Chan e dei sutra mistici delle dottrine esoteriche, oltre che cercandola all’interno di noi stessi con la meditazione profonda, solo pochi individui possono resistere a questo forte impatto. Non a caso, molti neofiti della Meditazione mostrano subito particolari segni di insofferenza e di incomprensione, non riuscendo a fare la meditazione in un modo calmo e tranquiillo. Tant’è che, dopo massimo due o tre tentativi, neanche ci riprovano. Perfino alcuni dei più esperti, o perlomeno quelli che erano già a conoscenza sperimentando diverse tecniche di meditazione, addirittura accampavano le scuse più strane per giustificare la loro rinuncia.
Ad un primo momento, queste manifestazioni di incapacità a sostenere il peso delle profonde rivelazioni segrete mi avevano fatto pensare alla incapacità di una vera comprensione da parte della grande maggioranza di quelle persone che pure sembrano provare interesse nel frequentare i diversi centri di meditazione e le varie scuole di dottrine religiose. Ma poi ho capito che il problema non stava nel loro non-comprendere, ma nel mal-comprendere. Infatti, poiché è sempre il nostro ego che determina la spinta spirituale e la vera motivazione di accettazione della verità, che è antitetica all’ego, lui allora comprende ma non accetta il fatto che deve farsi da parte, affinchè la giusta comprensione emerga, e quindi si difende rabbiosamente emettendo una forte scarica di… paura. Paura di svuotamento delle proprie energie, paura di andare verso un metafisico ‘horror-vacui’ e, in definitiva, una irrazionale paura di scomparire, perdendo così la sua speranza di poter ottenere proprio quella vita-eterna, a cui l’ego si era tenacemente attaccato.
Quindi, la verità… genera paura. Probabilmente, agli inizi, anche agli individui più spiritualmente dotati può venire una sorta di paura ansiogena per ciò che la mente razionale non può e non vuole comprendere. Possiamo ricordarci della "notte oscura dell’anima" di S. Giovanni della Croce, dei turbamenti di S. Teresa, ma anche delle varie esperienze profondamente struggenti dei grandi santi e mistici Orientali, come Milarepa, come Ramana Maharshi, come il patriarca del Chan, Hui-kè (discepolo di Bodhidharma), tanto per citarne solo alcuni. Perciò, la paura di per sé non è una categorica barriera od ostacolo che possa impedire la forza di volontà, che il perfetto discepolo dovrà obbligatoriamente applicare. La paura è una reazione del tutto umana e poiché il vero adepto è solo colui che ha compreso che la sua natura umana dovrà forzatamente sparire per poter ottenere quella famosa vita-eterna, ecco che egli dovrà lottare contro di essa per sconfiggerla, come nella leggenda di S. Giorgio ed il drago, per poter risultare un "Jina" (Vittorioso), come lo fu il Buddha, che dovette sconfiggere all’interno della sua mente le orde di Mara (la parte satanica e negativa del nostro sé, vale a dire l’ego umano e mortale).
Il problema principale è che con la fuga dalla verità, non si risolve niente. Anzi. La cosa peggiora nettamente. Coloro i quali hanno avuto la grandissima fortuna di essere avvicinati, o essere venuti in contatto, con il Dharma, e non sono stati in grado di affidarcisi e di continuare l’opera, lavorando intensamente su se-stessi, e invece hanno purtroppo scelto di abbandonare il divino-servizio di saper trovare la loro vera natura, la loro vera essenza, non fanno altro che ritardare il loro raggiungimento della vita-eterna. In questo modo, essi perpetuano la loro ricaduta nel mondo samsarico della vita-e-morte, reincarnandosi milioni di volte, così da continuare a sperimentare il dolore e la sofferenza in un ciclo di esistenze senza fine. Così, la loro vita-eterna è una eterna esistenza nel mondo dell’illusione, della falsa identificazione egoica in individui che saranno continuamente costretti, in una forma o l’altra, ad entrare e uscire da questa terribile e drammatica Ruota delle Esistenze, senza mai capire e senza mai arrivare a conoscere la Verità del Dharma, che è l’unica vera via-di-fuga da questa trappola infernale, o come il Buddha diceva, da questa casa-in-fiamme, per salvarsi dalla quale bisognerebbe di corsa saltar fuori senza tergiversare, e senza avere stupidi dubbi illusori o false certezze generate sulla base della nostra ignoranza metafisica. Quindi, cari amici, non è la paura il nostro vero nemico. Il vero nemico è ancora e sempre il nostro ego umano, cioè la mera identificazione con questo personaggio illusorio, e temporaneo, che la fa da padrone senza che il nostro interiore vero-Sé possa scoprirlo e smascherarlo. Perché solo con la nostra resistenza e la forza di volontà di continuare l’autentico Sentiero del Dharma, cioè proprio quello che dice la cruda Verità, la Verità che… fa paura, potremo smascherare e sconfiggere questo ego ingannatore e dispotico, che ci rende schiavi e condannati ad una vita destinata continuamente alla morte, per poi rinascere ed ancora morire. Solo con la verità del Dharma, e con la vera motivazione di farla-finita con l’illusione, noi potremo finalmente approdare alla vera vita-eterna che ci darà la pace e la gioia sempiterna e senza fine del più autentico Nirvana. Shanti!

mercoledì 23 marzo 2016

L'ovoide di Roberto Assagioli e la riscoperta del Sé



 Il pensiero di Roberto Assagioli è stato mal interpretato da alcuni autori contemporanei, soprattutto quelli new-age o delle moderne psicologie.
La sua base di partenza sono la psicanalisi e la psicologia, ma egli va ben oltre, e coniuga queste due dscipline ad una spiritualità necessaria volta alla riscoperta del sé. Altrimenti, di per sé, tali discipline sarebbero confinate allo studio degli aspetti esteriori della personalità.
Non che lo studio dell’inconscio, della sessualità, delle patologie o delle morbosità non sia stato importante, ma esso va coniugato in uno spettro più ampio che vada al di là della singola individualità.

Assagioli è influenzato principalmente da Jung, Bergson (piani conoscitivi di intelletto e intuizione) e Schopenauer (che ha traghettato le concezioni metafisiche indù in Europa), e anche da Vedanta e Upanisad.

Con la psicosintesi ricerca di ricomporre l’Armonia che per lui è la ricomposizione e cooperazione dei diversi io ed energie presenti nell’uomo, ed in questo ci possono aiutare proprio i sistemi indù, dalle scritture alla pratica dello yoga, o anche il buddismo.
Gli uomini possono sviluppare le facoltà che già hanno in loro, ma anche svilupparne di nuove e superiori: per fare ciò l’energia pura del pensiero e una ferrea e ben direzionata volontà sono essenziali. La conoscenza deve essere diretta, Intuizione senza mediazione del ragionamento o esperienze umaniAnche il sentimento è strumento per raggiungere più alti stati di coscienza. Mentre il corpo è un indicatore del problema da risolvere. La vera educazione deve durare per tutta la vita e consiste nello sviluppo armonico delle energie e delle potenzialità dell’uomo. Una delle facoltà latenti sempre presenti nell’uomo è l’intuizione spirituale. Più che sottolineare l’aspetto morboso di una malattia, come aveva fatto la psicanalisi sino ad allora, vedeva le potenzialità sane e creative della psiche. Il termine sintesi stava per armonia (alchemica, ma anche delle culture orientali ed occidentali). La presa di coscienza della lotta della molteplicità di forze presenti all’interno di una singola personalità umana era il punto di partenza; l’obiettivo di base era risvegliare l’autocoscienza e l’esperienza della volontà, per arrivare alla Conoscenza Consapevole del Sé.
Tutti gli elementi vanno mantenuti in una “tensione creativa”, considerando che nessuno degli impulsi dell’uomo è di per sé negativo, ma siamo noi che gli conferiamo, con i nostri pensieri e le nostre azioni, una valenza positiva o negativa.
Però questi devono essere controllati e indirizzati nella giusta direzione da un “centro superiore”. L’armonizzazione personale deve però andare oltre: alla conquista della psicosintesi transpersonale, un processo di autorealizzazione che attraverso la conoscenza del Sé Superiore (immutabile) portano alla conoscenza della Realtà Universale. Particolare attenzione viene data da Assagioli alla via meditativa e alla contemplazioneProcesso di realizzazione spirituale: 1)      crisi che precedono il risveglio spirituale  2)      crisi prodotte dal risveglio spirituale  3)      reazioni  4)      trasmutazioni e sublimazione  5)      Notte Oscura dell’Anima (misticismo). Ciò implica delle purificazioni e il superamento delle 5 paure: della morte (istinto di conservazione), della solitudine (istinto sessuale), della debolezza (istinto gregario), di non essere stimati (istinto di autoaffermazione), dell’ignoto (istinto ad indagare). La vera paura dell’uomo è quella di soffrire, ma “ogni dolore proviene dall’ignoranza e per questo ognuno deve sforzarsi di avere Rette Vedute” Rifiutare il dolore porta a un suo inasprimento, comprenderne il valore spirituale ci eleva. Alla conoscenza e alla comprensione deve seguire un piano d’azioneCome si conosce preliminarmente noi stessi? Assagioli parla da psicanalista: ipnosi, associazioni libere, parole stimolo, studio dei sogni, immagini, espressione scritta, disegno libero.


L’ovoide di Assagioli: la nostra psiche:

1. Inconscio inferiore, il passato, dove sono i ricordi rimossi (attività elementari, impulsi primitivi, emotività, morbosità, facoltà parapsicologiche inferiori).
2. Inconscio medio o subconscio, facilmente accessibile: elaborazione delle esperienze e sede del lavoro intellettuale, immaginativo e creativo
3. Inconscio superiore o superconscio: intuizioni, premonizioni
4. Campo della coscienza attiva e pensante
5. Io personale: non sempre è unificato e centrato (dinamico e costantemente influenzabile)
6. Sé transpersonale, a cui tutti dovrebbero tendere (immutabile). Vi sono delle capacità extrasensoriali ma sono coscienti e frutto di una volontà specifica
7. Inconscio collettivo, comune al genere umano (fa sentire l’uomo irrequieto e contraddittorio).

La Realtà è dotata di Intelligenza, Finalità e Volontà.
Le funzioni umane sono “riflessi” parziali di qualità ed aspetti della Realtà trascendente.

Simbolo: è un modello dal significato universale ma anche una forma di linguaggio. Ne individua 15, presenti praticamente in tutte le culture religiose: introversione, discesa, ascesa, espansione, risveglio, illuminazione, fuoco, evoluzione, potenziamento, amore, sentiero, trasmutazione, nuova rinascita, liberazione.
Tutti gli istinti ed impulsi fondamentali quali la tendenza all’affermazione di sé e le energie combattive e sessuali, sono forze vive e reali, indistruttibili.
La loro repressione può essere causa di disturbi nervosi e psichici.
Queste energie vanno quindi espresse ma trasformate, elevate e sublimate.
Va adottato un atteggiamento obbiettivo verso la sessualità, considerando l’istinto sessuale come un fatto naturale e liberandosi così da paure e condanne morali. Successivamente si può attuare un trasferimento di tali energie verso altri piaceri dei sensi, per poi arrivare ad una estensione del sentimento che si prova verso una sola persona, verso gruppi sempre più vasti fino a comprendere ogni vivente. Infine le energie possono essere sublimate verso attività di natura artistica o intellettuale.
Secondo Assagioli vi è una grande somiglianza fra l’energia sessuale e le energie creative.
Per quanto riguarda la meditazione, Assagioli parla di meditazione riflessiva (lavorìo ordinato della mente, per poi passare alla concentrazione), recettiva (concentrazione della mente ad un livello superiore, a partire dal silenzio mentale), creativa (rigenerazione della personalità).
Anche le parole “evocatrici” stimolano attività ad esse associate.
Con la tecnica del “come se” si agisce come se si possedesse lo stato interiore desiderato (“ogni atto esterno deve essere immaginato o visualizzato, anche inconsciamente”). L’auto-osservazione di ciò produce rinforzo.
La volontà è una qualità spirituale, e più ed elevata più si avvicina alla Volontà Universale. La sua elevazione è strettamente connessa alla Consapevolezza.
Più ci si avvicina alla volontà universale più si riesce a cogliere il piano divino.
Per Assagioli in questa volontà vi rientrano anche delle potenzialità superindividuali.
Per idee ed immagini Assagioli intende rappresentazioni di bisogni, istinti, impulsi e desideri.
Immagini, idee, movimenti ed azioni producono le condizioni fisiche ad essi corrispondenti.
Le immagini e le idee suscitano sentimenti ed emozioni, che a loro volta intensificano le prime.
Attenzione, interesse e ripetizione rafforzano le idee e le immagini.
L’immagine dell’obiettivo da raggiungere mette in moto un’attività diretta a raggiungere tale obiettivo (processo creativo).
La volontà va integrata con l’Amore: essi sono presenti in proporzione inversa nella stessa persona.
Per ottenere la sintesi tra amore e volontà è necessario un controllo cosciente e costante.
L’Amore è rivolto verso l’esterno e tende ad unire.
La Volontà, dinamica, tende ad essere separativa.
Per unirsi con la Volontà Universale, la volontà personale deve essere forte, costante, sapiente e buona: la meta deve essere chiara e le azioni della volontà ben indirizzate ad essa, attraverso le giuste scelte e decisioni.
Tutte le forze vanno dirette verso intenti superiori.

lunedì 21 marzo 2016

ISTRUZIONE CIRCA LE PREGHIERE PER OTTENERE DA DIO LA GUARIGIONE


 L'anelito di felicità, profondamente radicato nel cuore umano, è da sempre accompagnato dal desiderio di ottenere la liberazione dalla malattia e di capirne il senso quando se ne fa l'esperienza. Si tratta di un fenomeno umano, che interessando in un modo o nell'altro ogni persona, trova nella Chiesa una particolare risonanza. Infatti la malattia viene da essa compresa come mezzo di unione con Cristo e di purificazione spirituale e, da parte di coloro che si trovano di fronte alla persona malata, come occasione di esercizio della carità. Ma non soltanto questo, perché la malattia, come altre sofferenze umane, costituisce un momento privilegiato di preghiera: sia di richiesta di grazia, per accoglierla con senso di fede e di accettazione della volontà divina, sia pure di supplica per ottenere la guarigione.
La preghiera che implora il riacquisto della salute è pertanto una esperienza presente in ogni epoca della Chiesa, e naturalmente nel momento attuale. Ciò che però costituisce un fenomeno per certi versi nuovo è il moltiplicarsi di riunioni di preghiera, alle volte congiunte a celebrazioni liturgiche, con lo scopo di ottenere da Dio la guarigione. In diversi casi, non del tutto sporadici, vi si proclama l'esistenza di avvenute guarigioni, destando in questo modo delle attese dello stesso fenomeno in altre simili riunioni. In questo contesto si fa appello, alle volte, a un preteso carisma di guarigione.
Siffatte riunioni di preghiera per ottenere delle guarigioni pongono inoltre la questione del loro giusto discernimento sotto il profilo liturgico, in particolare da parte dell'autorità ecclesiastica, a cui spetta vigilare e dare le opportune norme per il retto svolgimento delle celebrazioni liturgiche.
E' sembrato pertanto opportuno pubblicare una Istruzione, a norma del can. 34 del Codice di Diritto Canonico, che serva soprattutto di aiuto agli Ordinari del luogo affinché meglio possano guidare i fedeli in questa materia, favorendo ciò che vi sia di buono e correggendo ciò che sia da evitare. Occorreva però che le determinazioni disciplinari trovassero come riferimento una fondata cornice dottrinale che ne garantisse il giusto indirizzo e ne chiarisse la ragione normativa. A questo fine è stata premessa alla parte disciplinare una parte dottrinale sulle grazie di guarigione e le preghiere per ottenerle.

 ASPETTI DOTTRINALI

1. Malattia e guarigione: il loro senso e valore nell'economia della salvezza

«L'uomo è chiamato alla gioia ma fa quotidiana esperienza di tantissime forme di sofferenza e di dolore». Perciò il Signore nelle sue promesse di redenzione annuncia la gioia del cuore legata alla liberazione dalle sofferenze (cfr. Is 30,29; 35,10; Bar 4,29). Infatti Egli è «colui che libera da ogni male» (Sap 16,8). Tra le sofferenze, quelle che accompagnano la malattia sono una realtà continuamente presente nella storia umana e sono anche oggetto del profondo desiderio dell'uomo di liberazione da ogni male.
Nell'Antico Testamento, «Israele sperimenta che la malattia è legata, in un modo misterioso, al peccato e al male». Tra le punizioni minacciate da Dio all'infedeltà del popolo, le malattie trovano un ampio spazio (cfr. Dt 28,21-22.27-29.35). Il malato che implora da Dio la guarigione, confessa di essere giustamente punito per i suoi peccati (cfr. Sal 37; 40; 106,17-21).
La malattia però colpisce anche i giusti e l'uomo se ne domanda il perché. Nel libro di Giobbe questo interrogativo percorre molte delle sue pagine. «Se è vero che la sofferenza ha un senso come punizione, quando è legata alla colpa, non è vero, invece, che ogni sofferenza sia conseguenza della colpa e abbia carattere di punizione. La figura del giusto Giobbe ne è una prova speciale nell'Antico Testamento. (...) E se il Signore acconsente a provare Giobbe con la sofferenza, lo fa per dimostrarne la giustizia. La sofferenza ha carattere di prova».
La malattia, pur potendo avere un risvolto positivo quale dimostrazione della fedeltà del giusto e mezzo di ripagare la giustizia violata dal peccato e anche di far ravvedere il peccatore perché percorra la via della conversione, rimane tuttavia un male. Perciò il profeta annunzia i tempi futuri in cui non ci saranno più malanni e invalidità e il decorso della vita non sarà più troncato dal morbo mortale (cfr. Is 35,5-6; 65,19-20).
Tuttavia è nel Nuovo Testamento che l'interrogativo sul perché la malattia colpisce anche i giusti trova piena risposta. Nell'attività pubblica di Gesù, i suoi rapporti coi malati non sono sporadici, bensì continui. Egli ne guarisce molti in modo mirabile, sicché le guarigioni miracolose caratterizzano la sua attività: «Gesù andava attorno per tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, predicando il vangelo del regno e curando ogni malattia e infermità» (Mt 9,35; cfr. 4,23). Le guarigioni sono segni della sua missione messianica (cfr.Lc 7,20-23). Esse manifestano la vittoria del regno di Dio su ogni sorta di male e diventano simbolo del risanamento dell'uomo tutto intero, corpo e anima. Infatti servono a dimostrare che Gesù ha il potere di rimettere i peccati (cfr. Mc 2,1-12), sono segni dei beni salvifici, come la guarigione del paralitico di Betzata (cfr. Gv 5,2-9.19-21) e del cieco nato (cfr. Gv 9).
Anche la prima evangelizzazione, secondo le indicazioni del Nuovo Testamento, era accompagnata da numerose guarigioni prodigiose che corroboravano la potenza dell'annuncio evangelico. Questa era stata la promessa di Gesù risorto e le prime comunità cristiane ne vedevano l'avverarsi in mezzo a loro: «E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: (...) imporranno le mani ai malati e questi guariranno» (Mc 16,17-18). La predicazione di Filippo a Samaria fu accompagnata da guarigioni miracolose: «Filippo, sceso in una città della Samaria, cominciò a predicare loro il Cristo. E le folle prestavano ascolto unanimi alle parole di Filippo sentendolo parlare e vedendo i miracoli che egli compiva. Da molti indemoniati uscivano spiriti immondi, emettendo alte grida e molti paralitici e storpi furono risanati» (At 8,5-7). San Paolo presenta il suo annuncio del vangelo come caratterizzato da segni e prodigi realizzati con la potenza dello Spirito: «non oserei infatti parlare di ciò che Cristo non avesse operato per mezzo mio per condurre i pagani all'obbedienza, con parole e opere, con la potenza di segni e di prodigi, con la potenza dello Spirito» (Rm 15,18-19; cfr. 1Ts 1,5; 1Cor 2,4-5). Non è per nulla arbitrario supporre che tali segni e prodigi, manifestativi della potenza divina che assisteva la predicazione, erano costituiti in gran parte da guarigioni portentose. Erano prodigi non legati esclusivamente alla persona dell'Apostolo, ma che si manifestavano anche attraverso i fedeli: «Colui che dunque vi concede lo Spirito e opera portenti in mezzo a voi, lo fa grazie alle opere della legge o perché avete creduto alla predicazione?» (Gal 3,5).
La vittoria messianica sulla malattia, come su altre sofferenze umane, non soltanto avviene attraverso la sua eliminazione con guarigioni portentose, ma anche attraverso la sofferenza volontaria e innocente di Cristo nella sua passione e dando ad ogni uomo la possibilità di associarsi ad essa. Infatti «Cristo stesso, che pure è senza peccato, soffrì nella sua passione pene e tormenti di ogni genere, e fece suoi i dolori di tutti gli uomini: portava così a compimento quanto aveva scritto di lui il profeta Isaia (cfr. Is 53,4-5)». Ma c'è di più: «Nella croce di Cristo non solo si è compiuta la redenzione mediante la sofferenza, ma anche la stessa sofferenza umana è stata redenta. (...) Operando la redenzione mediante la sofferenza, Cristo ha elevato insieme la sofferenza umana a livello di redenzione. Quindi anche ogni uomo, nella sua sofferenza, può diventare partecipe della sofferenza redentiva di Cristo».
La Chiesa accoglie i malati non soltanto come oggetto della sua amorevole sollecitudine, ma anche riconoscendo loro la chiamata «a vivere la loro vocazione umana e cristiana ed a partecipare alla crescita del Regno di Dio in modalità nuove, anche più preziose. Le parole dell'apostolo Paolo devono divenire il loro programma e, prima ancora, sono luce che fa splendere ai loro occhi il significato di grazia della loro stessa situazione: "Completo quello che manca ai patimenti di Cristo nella mia carne, in favore del suo corpo, che è la Chiesa" (Col 1,24). Proprio facendo questa scoperta, l'apostolo è approdato alla gioia: "Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi" (Col 1,24)». Si tratta della gioia pasquale, frutto dello Spirito Santo. E come san Paolo, anche «molti malati possono diventare portatori della "gioia dello Spirito Santo in molte tribolazioni" (1Ts 1,6) ed essere testimoni della risurrezione di Gesù».
 
2. Il desiderio di guarigione e la preghiera per ottenerla

Premessa l'accettazione della volontà di Dio, il desiderio del malato di ottenere la guarigione è buono e profondamente umano, specie quando si traduce in preghiera fiduciosa rivolta a Dio. Ad essa esorta il Siracide: «Figlio, non avvilirti nella malattia, ma prega il Signore ed egli ti guarirà» (Sir 38,9). Diversi salmi costituiscono una supplica di guarigione (cfr. Sal 6; 37; 40; 87).
Durante l'attività pubblica di Gesù, molti malati si rivolgono a lui, sia direttamente sia tramite i loro amici o congiunti, implorando la restituzione della sanità. Il Signore accoglie queste suppliche e i Vangeli non contengono neppure un accenno di biasimo di tali preghiere. L'unico lamento del Signore riguarda l'eventuale mancanza di fede: «Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede» (Mc 9,23; cfr. Mc 6,5-6; Gv 4,48).
Non soltanto è lodevole la preghiera dei singoli fedeli che chiedono la guarigione propria o altrui, ma la Chiesa nella liturgia chiede al Signore la salute degli infermi. Innanzi tutto ha un sacramento «destinato in modo speciale a confortare coloro che sono provati dalla malattia: l'Unzione degli infermi». «In esso, per mezzo di una unzione, accompagnata dalla preghiera dei sacerdoti, la Chiesa raccomanda i malati al Signore sofferente e glorificato, perché dia loro sollievo e salvezza». Immediatamente prima, nella Benedizione dell'olio, la Chiesa prega: «effondi la tua santa benedizione, perché quanti riceveranno l'unzione di quest'olio ottengano conforto, nel corpo, nell'anima e nello spirito, e siano liberi da ogni dolore, da ogni debolezza, da ogni sofferenza; e poi, nei due primi formulari di preghiera dopo l'unzione, si chiede pure la guarigione dell'infermo. Questa, poiché il sacramento è pegno e promessa del regno futuro, è anche annuncio della risurrezione, quando «non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate» (Ap 21,4). Inoltre il Missale Romanum contiene una Messa pro infirmis e in essa, oltre a grazie spirituali, si chiede la salute dei malati.
Nel De benedictionibus del Rituale Romanum, esiste un Ordo benedictionis infirmorum, nel quale ci sono diversi testi eucologici che implorano la guarigione: nel secondo formulario delle Preces, nelle quattro Orationes benedictionis pro adultis, nelle due Orationes benedictionis pro pueris, nella preghiera del Ritus brevior.
Ovviamente il ricorso alla preghiera non esclude, anzi incoraggia a fare uso dei mezzi naturali utili a conservare e a ricuperare la salute, come pure incita i figli della Chiesa a prendersi cura dei malati e a recare loro sollievo nel corpo e nello spirito, cercando di vincere la malattia. Infatti «rientra nel piano stesso di Dio e della sua provvidenza che l'uomo lotti con tutte le sue forze contro la malattia in tutte le sue forme, e si adoperi in ogni modo per conservarsi in salute».
 
3. Il carisma di guarigione nel Nuovo Testamento

Non soltanto le guarigioni prodigiose confermavano la potenza dell'annuncio evangelico nei tempi apostolici, ma lo stesso Nuovo Testamento riferisce circa una vera e propria concessione da parte di Gesù agli Apostoli e ad altri primi evangelizzatori di un potere di guarire dalle infermità. Così nella chiamata dei Dodici alla prima loro missione, secondo i racconti di Matteo e di Luca, il Signore concede loro «il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattie e d'infermità» (Mt 10,1; cfr. Lc 9,1), e dà loro l'ordine: «Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demoni» (Mt10,8). Anche nella missione dei settantadue discepoli, l'ordine del Signore è: «curate i malati che vi si trovano» (Lc 10,9). Il potere, pertanto, viene donato all'interno di un contesto missionario, non per esaltare le loro persone, ma per confermarne la missione.
Gli Atti degli Apostoli riferiscono in generale dei prodigi realizzati da loro: «prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli» (At 2,43; cfr. 5,12). Erano prodigi e segni, quindi opere portentose che manifestavano la verità e forza della loro missione. Ma, a parte queste brevi indicazioni generiche, gli Atti riferiscono soprattutto delle guarigioni miracolose compiute per opera di singoli evangelizzatori: Stefano (cfr. At 6,8), Filippo (cfr. At 8,6- 7), e soprattutto Pietro (cfr. At 3,1-10; 5,15; 9,33-34.40-41) e Paolo (cfr. At 14,3.8-10; 15,12; 19,11-12; 20,9-10; 28,8-9).
Sia la finale del Vangelo di Marco sia la Lettera ai Galati, come si è visto sopra, ampliano la prospettiva e non limitano le guarigioni prodigiose all'attività degli Apostoli e di alcuni evangelizzatori aventi un ruolo di spicco nella prima missione. Sotto questo profilo acquistano uno speciale rilievo i riferimenti ai «carismi di guarigioni» (cfr. 1 Cor12,9.28.30). Il significato di carisma, di per sé assai ampio, è quello di «dono generoso»; e in questo caso si tratta di «doni di guarigioni ottenute». Queste grazie, al plurale, sono attribuite a un singolo (cfr. 1 Cor 12,9), pertanto non vanno intese in senso distributivo, come guarigioni che ognuno dei guariti ottiene per se stesso, bensì come dono concesso a una persona di ottenere grazie di guarigioni per altri. Esso è dato in un solo Spirito, ma non si specifica nulla sul come quella persona ottiene le guarigioni. Non è arbitrario sottintendere che ciò avvenga per mezzo della preghiera, forse accompagnata da qualche gesto simbolico.
Nella Lettera di san Giacomo si fa riferimento a un intervento della Chiesa attraverso i presbiteri a favore della salvezza, anche in senso fisico, dei malati. Ma non si fa intendere che si tratti di guarigioni prodigiose: siamo in un ambito diverso da quello dei «carismi di guarigioni» di 1Cor 12,9. «Chi è malato, chiami a sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo rialzerà e se ha commesso peccati, gli saranno perdonati» (Gc 5,14-15). Si tratta di un'azione sacramentale: unzione del malato con olio e preghiera su di lui, non semplicemente «per lui», quasi non fosse altro che una preghiera di intercessione o di domanda; si tratta piuttosto di un'azione efficace sull'infermo. I verbi «salverà» e «rialzerà» non suggeriscono un'azione mirante esclusivamente, o soprattutto, alla guarigione fisica, ma in un certo modo la includono. Il primo verbo, benché le altre volte che compare nella Lettera si riferisca alla salvezza spirituale (cfr. 1,21; 2,14; 4,12; 5,20), è anche usato nel Nuovo Testamento nel senso di «guarire» (cfr. Mt 9,21; Mc 5,28.34; 6,56; 10,52; Lc 8,48); il secondo verbo, pur assumendo alle volte il senso di «risorgere» (cfr. Mt 10,8; 11,5; 14,2), viene anche usato per indicare il gesto di «sollevare» la persona distesa a causa di una malattia guarendola prodigiosamente (cfr. Mt 9,5; Mc 1,31; 9,27; At 3,7).
 
4. Le preghiere per ottenere da Dio la guarigione nella Tradizione

I Padri della Chiesa consideravano normale che il credente chiedesse a Dio non soltanto la salute dell'anima, ma anche quella del corpo. A proposito dei beni della vita, della salute e dell'integrità fisica, S. Agostino scriveva: «Bisogna pregare che ci siano conservati, quando si hanno, e che ci siano elargiti, quando non si hanno». Lo stesso Padre della Chiesa ci ha lasciato la testimonianza di una guarigione di un amico ottenuta con le preghiere di un Vescovo, di un sacerdote e di alcuni diaconi nella sua casa.
Uguale orientamento si osserva nei riti liturgici sia Occidentali che Orientali. In una preghiera dopo la Comunione si chiede che «la potenza di questo sacramento... ci pervada corpo e anima». Nella solenne liturgia del Venerdì Santo viene rivolto l'invito a pregare Dio Padre onnipotente affinché «allontani le malattie... conceda la salute agli ammalati». Tra i testi più significativi si segnala quello della benedizione dell'olio degli infermi. Qui si chiede a Dio di effondere la sua santa benedizione «perché quanti riceveranno l'unzione di quest'olio ottengano conforto nel corpo, nell'anima e nello spirito, e siano liberi da ogni dolore, da ogni debolezza, da ogni sofferenza».
Non diverse sono le espressioni che si leggono nei riti Orientali dell'unzione degli infermi. Ricordiamo solo alcune tra le più significative. Nel rito bizantino durante l'unzione dell'infermo si prega: «Padre santo, medico delle anime e dei corpi, che hai mandato il tuo Figlio unigenito Gesù Cristo a curare ogni malattia e a liberarci dalla morte, guarisci anche questo tuo servo dall'infermità del corpo e dello spirito, che lo affligge, per la grazia del tuo Cristo». Nel rito copto si invoca il Signore di benedire l'olio affinché tutti coloro che ne verranno unti possano ottenere la salute dello spirito e del corpo. Poi, durante l'unzione dell'infermo, i sacerdoti, fatta menzione di Gesù Cristo mandato nel mondo «a sanare tutte le infermità e a liberare dalla morte», chiedono a Dio «di guarire l'infermo dalle infermità del corpo e a dargli la via retta».
 
5. Il «carisma di guarigione» nel contesto attuale

Lungo i secoli della storia della Chiesa non sono mancati santi taumaturghi che hanno operato guarigioni miracolose. Il fenomeno, pertanto, non era limitato al tempo apostolico; tuttavia, il cosiddetto «carisma di guarigione» sul quale è opportuno attualmente fornire alcuni chiarimenti dottrinali non rientra fra quei fenomeni taumaturgici. La questione si pone piuttosto in riferimento ad apposite riunioni di preghiera organizzate al fine di ottenere guarigioni prodigiose tra i malati partecipanti, oppure preghiere di guarigione al termine della comunione eucaristica con il medesimo scopo.
Quanto alle guarigioni legate ai luoghi di preghiera (santuari, presso le reliquie di martiri o di altri santi, ecc.) anch'esse sono abbondantemente testimoniate lungo la storia della Chiesa. Esse contribuirono a popolarizzare, nell'antichità e nel medioevo, i pellegrinaggi ad alcuni santuari che divennero famosi anche per questa ragione, come quelli di san Martino di Tours, o la cattedrale di san Giacomo a Compostela, e tanti altri. Anche attualmente accade lo stesso, come, ad esempio da più di un secolo, a Lourdes. Tali guarigioni non implicano però un «carisma di guarigione», perché non riguardano un eventuale soggetto di tale carisma, ma occorre tenerne conto nel momento di valutare dottrinalmente le suddette riunioni di preghiera.
Per quanto riguarda le riunioni di preghiera con lo scopo di ottenere guarigioni, scopo, se non prevalente, almeno certamente influente nella loro programmazione, è opportuno distinguere tra quelle che possono far pensare a un «carisma di guarigione», vero o apparente che sia, e le altre senza connessione con tale carisma. Perché possano riguardare un eventuale carisma occorre che vi emerga come determinante per l'efficacia della preghiera l'intervento di una o di alcune persone singole o di una categoria qualificata, ad esempio, i dirigenti del gruppo che promuove la riunione. Se non c'è connessione col «carisma di guarigione», ovviamente le celebrazioni previste nei libri liturgici, se si realizzano nel rispetto delle norme liturgiche, sono lecite, e spesso opportune, come è il caso della Messa pro infirmis. Se non rispettano la normativa liturgica, la legittimità viene a mancare.
Nei santuari sono anche frequenti altre celebrazioni che di per sé non mirano specificamente ad impetrare da Dio grazie di guarigioni, ma che nelle intenzioni degli organizzatori e dei partecipanti hanno come parte importante della loro finalità l'ottenimento di guarigioni; si fanno per questa ragione celebrazioni liturgiche (ad esempio, l'esposizione del Santissimo Sacramento con la benedizione) o non liturgiche, ma di pietà popolare incoraggiata dalla Chiesa, come la recita solenne del Rosario. Anche queste celebrazioni sono legittime, purché non se ne sovverta l'autentico senso. Ad esempio, non si potrebbe mettere in primo piano il desiderio di ottenere la guarigione dei malati, facendo perdere all'esposizione della Santissima Eucaristia la sua propria finalità; essa infatti «porta i fedeli a riconoscere in essa la mirabile presenza di Cristo e li invita all'unione di spirito con lui, unione che trova il suo culmine nella Comunione sacramentale».
Il «carisma di guarigione» non è attribuibile a una determinata classe di fedeli. Infatti è ben chiaro che san Paolo, allorché si riferisce ai diversi carismi in 1 Cor 12, non attribuisce il dono dei «carismi di guarigione» a un particolare gruppo, sia quello degli apostoli, o dei profeti, o dei maestri, o di coloro che governano, o qualunque altro; anzi è un'altra la logica che ne guida la distribuzione: «tutte queste cose è l'unico e il medesimo Spirito che le opera, distribuendole a ciascuno come vuole» (1Cor 12, 11). Di conseguenza, nelle riunioni di preghiera organizzate con lo scopo di impetrare delle guarigioni, sarebbe del tutto arbitrario attribuire un «carisma di guarigione» ad una categoria di partecipanti, per esempio, ai dirigenti del gruppo; non resta che affidarsi alla liberissima volontà dello Spirito Santo, il quale dona ad alcuni un carisma speciale di guarigione per manifestare la forza della grazia del Risorto. D'altra parte, neppure le preghiere più intense ottengono la guarigione di tutte le malattie. Così san Paolo deve imparare dal Signore che «ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza» (2Cor 12,9), e che le sofferenze da sopportare possono avere come senso quello per cui «io completo nella mia carne ciò che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1,24).

sabato 19 marzo 2016

Il Vegetarianismo.


Vegetarianismo.

Il termine italiano vegetarianismo deriva da vegetarianoneologismo diffusosi agli inizi del XX secolo come adattamento dell'inglese vegetarian, a sua volta derivato da vegetable (che vive e cresce come una pianta), dall'antico francese vegetable (vivente, degno di vivere) con radice dal latino vegetus (sano, attivo, vigoroso). Nel vegetarianismo si possono distinguere diverse pratiche alimentari, che si producono in abitudini dietetiche che, sebbene possono essere anche molto differenti l'una dall'altra, sono tutte accomunate dalla rigorosa esclusione della carne di qualsiasi animale. 1) latto-ovo-vegetarianismo: esclude gli alimenti che derivano dall'uccisione diretta di animali sia terrestri sia marini, quali carne, pesce, molluschi e crostacei; ammette qualunque alimento di origine vegetale, i prodotti animali indiretti, ovvero latte e derivati, uova e miele, oltre ad alghe, funghi (di cui fanno parte i lieviti) e batteri (come i fermenti lattici). Questo regime vegetariano è il più diffuso nei paesi occidentali, tanto che nel linguaggio comune la dieta associata è erroneamente indicata, per sineddoche, come dieta vegetariana; 2) latto-vegetarianismo: come il latto-ovo-vegetarianismo, ma esclude anche le uova. È un modello dietetico frequente nella tradizione asiatico-indiana, di cui fanno parte le diete sattva o yogiche e altre di estrazione induista come la dieta vaishnava, tra i cui precetti è compresa l'astensione dai funghi; 3) ovo-vegetarianismo: come il latto-ovo-vegetarianismo, ma esclude anche latte e derivati; 4) vegetalismo o veganismo dietetico: esclude tutti gli alimenti di origine animale (carne, pesce, molluschi e crostacei, latte e derivati, uova, miele e altri prodotti delle api) e ammette qualunque alimento di origine vegetale, oltre ad alghe, funghi e batteri; 5) crudismo vegano: ammette esclusivamente cibi vegetali non sottoposti a trattamenti termici oltre i 46 °C (è ammessa l'essiccazione). Questo modello dietetico è composto prevalentemente da fruttaverduranoci e semicereali e legumi germogliati. È da distinguersi dal crudismo non vegano, in cui si utilizzano latticini non pastorizzati e perfino carne e pesce crudi; 6) fruttarismo: pratica alimentare a base di frutta, frutta secca e semi. Oltre alla frutta intesa come frutto dolce della pianta (melapescaalbicocca, ecc.), viene contemplato anche il consumo di ortaggi a frutto come pomodori,peperonizucchine e cetrioli. Si basa sull'idea che la frutta sia il cibo elettivo per l'uomoColoro che seguono queste pratiche alimentari sono classificati comunemente come vegetariani, anche se all'interno di tale gruppo gli individui sono distinti in base al tipo specifico di dieta seguita (latto-ovo-vegetariani, latto-vegetariani, ovo-vegetariani, vegetaliani o vegani, crudisti vegani e fruttariani). Normalmente, i vegetariani che includono l'alimentazione in una più vasta scelta etica evitano anche alimenti che comprendono tra gli ingredienti ridotte quantità di cibi animali, per esempio prodotti da forno preparati con struttolatte in polvere o uova, pasta all'uovobrodo di carneLa maggiore consapevolezza dei vegetariani su come seguire una dieta vegetariana equilibrata, grazie soprattutto alla facile reperibilità di informazioni e testi divulgativi, e una più adeguata informazione e preparazione tra la classe medica, nonché l'aumentata disponibilità sul mercato di nuovi prodotti per vegetariani (inclusi cibi "fortificati"), hanno portato una maggior affermazione, validità e convenienza delle diete vegetarianeLe diete vegetariane più diffuse sono basate su cereali, legumi, verdura e frutta (sia fresca che secca) e, in misura ridotta, comprendono latte, latticini e uova per coloro che ne fanno uso. Molti prodotti comunemente usati in una dieta vegetariana sono normalmente diffusi in tutto il mondo, ad esempio pastapanerisofagioli o piselli. Molti altri prodotti, non indispensabili ai fini dell'equilibrio della dieta ma comunque solitamente usati nella preparazione dei pasti vegetariani, sono invece normalmente assenti in una classica dieta occidentale e appartengono ad altre tradizioni quali quelle dei paesi asiatici, arabi, centro e sud americani o dell'area mediterranea, configurando così le diete vegetariane come diete multietniche e senza barriere nazionali. Ad esempio, troviamo cereali come kamutmiglio e quinoa, preparazioni a base di cereali quali bulgurcous-cous e seitansoia e prodotti a base di soia (tofutempeh e proteine vegetali ristrutturate), alghe alimentari, semi oleaginosi di varia natura (anche sotto forma di crema, come il tahin), condimenti come shoyumiso e tamari, dolcificanti come il malto. Prodotti a base vegetale, quali ad esempio hamburger,yogurt o latti vegetali, possono essere usati in sostituzione dei corrispettivi prodotti con carne, latte e uova. 

Il vegetarianismo nei grandi movimenti religiosi.


Le prime testimonianze attendibili di una pratica vegetariana risalgono all'incirca al VI secolo a.C. e sono associate alla nascita dei primi grandi movimenti religiosi: l'Induismo, in cui si trovano molti argomenti e pratiche a favore del vegetarianismo; lo Zoroastrismo, sorto nell'antica Persia (attuale Iran) e poi diffusosi e affermatosi in tutta l'Asia centrale e basato sugli insegnamenti del profeta Zoroastro (o Zarathustra), vegetariano e contrario ad ogni genere di azione violenta; il Giainismo, sorto in India e basato sugli insegnamenti di Mahavira, che proponeva ai fedeli un'alimentazione strettamente vegetariana; il Buddismo, nato anch'esso in India sotto la guida di Buddha, che esortava al rispetto per tutti gli esseri senzienti e la difesa della vita; il Taoismo, sviluppatosi in Cina grazie all'opera di Laozi, che considerava la natura come sacra, una concezione che favorì il diffondersi di abitudini vegetariane presso molti suoi seguaci.Il vegetarianismo di natura religiosa ha radici antiche e risale ai primi grandi movimenti del VI secolo a.C.. Una pratica alimentare vegetariana è tuttora diffusa presso gli aderenti a quei culti che suggeriscono o prescrivono il divieto del consumo di carni (e in alcuni casi di ogni prodotto di origine animale) e l'adesione al vegetarianismo come pratica di salute spirituale, mentale e/o corporea o come parte di una più vasta etica biocentrica di armonia e rispetto verso tutte le altre forme di vita. In altri casi invece il vegetarianismo viene integrato nella propria condotta in coloro che seguono particolari dottrine spirituali o percorsi di ricerca interiore per una più completa armonia personale. 

Il vegetarianismo in Occidente.

l vegetarianismo dall'Antica Grecia al Medioevo.


La pratica vegetariana era una componente centrale anche nella corrente religiosa dell'orfismo, sorto in Grecia anch'esso intorno al VI secolo a.C. e incentrato sulla figura mitica di Orfeo, che nel suo rapporto con la natura e la sua vicinanza al mondo animale presenta uno dei suoi aspetti più importanti. Il vegetarianismo è presente nell'antica Grecia anche nel mito dell'età dell'oro: secondo le leggende diffuse nell'epoca su questa antica mitica era, il popolo umano delle origini, che viveva in una condizione di pace, benessere e abbondanza, si nutriva di soli vegetali: la caccia, l'allevamento e anche l'agricoltura erano sconosciuti e superflui in quanto la terra produceva spontaneamente e in abbondanza tutto il cibo necessario ai suoi abitanti. Pitagora (570-495 a.C. circa) è considerato l'iniziatore e l'emblema stesso del vegetarianismo dell'antica Grecia. I biografi e gli autori del mito pitagorico, fra cui Ovidio, spiegano totalmente o in parte il vegetarianismo di Pitagora con la credenza nella metempsicosi. Il Pitagora di Ovidio inoltre condanna anche il sacrificio rituale, ritenendo che la perversa dieta carnea, negazione della condizione felice dell'antica età dell'oro, sia nata col sacrificio cruento agli dèi: in tal modo, il vegetarianismo pitagorico si configura non soltanto come una scelta privata, ma anche come un rifiuto dai risvolti politici e sociali. Tuttavia, tra i seguaci di Pitagora solo coloro appartenenti alla cerchia più stretta praticavano regolarmente il vegetarianismo, mentre i discepoli della cerchia più esterna non avevano l'obbligo di rispettare la regola vegetarianaNella metempsicosi credeva anche Empedocle (490-430 a.C. circa), dedito anch'egli alla dieta pitagorica e ugualmente contrario al sacrificio animale. Secondo la leggenda, dopo una vittoria olimpica alla corsa dei carri, per rispettare l'usanza che il vincitore sacrificasse un bue, fece fabbricare un bue di mirra, incenso e aromi e lo distribuì secondo rito.Eraclito, mentre dimorava sulle montagne vicino a Efeso per mediatare, si cibava di sole piante. Sebbene successivamente con Aristotele (384-322 a.C.) venga negata agli animali la ragione, il logos, instaurandosi un confine netto tra l'uomo e l'animale, non tutti i suoi discepoli concordavano con questa visione, e sembra che molti siano stati vegetariani. Tra questi, Teofrasto (371-287 a.C.), autore di un trattato sulla pietà, condanna il sacrificio cruento e il consumo di carne, affermando che uccidere un animale è ingiusto, perché lo si priva della vitaSenocrate (396–314 a.C.) e probabilmente Polemone (350-270/269 a.C.), scolarchi dell'Accademia di Atene, e alcuni dei principali platonici e neoplatonici, tra i quali Plutarco (46-120 d.C.), Porfirio (232-309 d.C.), Apollonio di Tiana (2-98 d.C.) e Plotino(203/205–270 d.C.), sono altre figure importanti dell'antica Grecia dedite al vegetarianismo. Anche Epicuro era vegetariano e invitò i suoi discepoli a esserlo. Plutarco, in polemica con Aristotele e con le idee degli stoici (Seneca a parte, il quale in gioventù era vegetariano, sia per motivi di salute che per pietà verso gli animali) secondo le quali non esisterebbe alcuna relazione di giustizia tra l'uomo e gli animali, nel suo dialogo Sull'intelligenza degli animali comincia con una condanna della caccia e della macellazione, in quanto fonte di insensibilità e crudeltà e quindi causa di un danno sociale, e presenta un gran numero di argomenti a favore della razionalità animale. Porfirio, nell'Astinenza degli animali, tratta il sacrificio degli animali e il consumo della carne come uno sviluppo del sacrificio umano e del cannibalismo, e riconosce una piena continuità fra uomo e animale, rivendicando per quest'ultimo non solo la ragione, ma anche un linguaggio, pur se l'essere umano non è in grado di comprenderlo: «è infatti come se i corvi sostenessero che solo la loro è voce e che noi siamo privi di ragione perché non diciamo parole facilmente riconoscibili ad essi». Fondamentalmente, afferma Porfirio, gli argomenti dell'uomo contro la ragione animale sono dovuti alla ghiottoneria. Nel III secolo viene fondato nell'antica Persia il manicheismo, che presto si diffonde in tutto l'Impero romano e i cui iniziati non si cibavano né di carne né di uova e non bevevano vino – una forma di vegetarianismo che traeva origine dal loro sistema religioso, basato su una visione dualistica imperniata sul conflitto tra i due principi opposti della Luce e delle TenebrePiù tardi, tra il XII e il XIV secolo, si diffonde in Europa il catarismo: la convinzione che tutto il mondo materiale fosse opera del Male comportava la negazione dell'atto sessuale – considerato come un'aberrazione, soprattutto in quanto responsabile della procreazione, cioè di una nuova prigionia per un altro spirito – e pertanto i catari rifiutavano ogni alimento originato da un atto sessuale (carne e uova – ma non il pesce, in quanto in epoca medievale non era ancora nota la genesi per riproduzione sessuale degli animali acquatici). 

Il vegetarianismo nell'età moderna.


La Gran Bretagna è considerata la patria del vegetarianismo moderno. Il primo paladino del vegetarianismo dell'isola britannica a suscitare l'attenzione è il cappellaio Roger Crab, che emerge sulla scena inglese durante la rivoluzione degli anni quaranta del Seicento. Crab, che aderì ad una forma di vegetarianismo stretto (ovvero seguiva, come venne definita in seguito, una dieta vegana), considerava il consumo di carne un lusso e causa di rialzo dei prezzi e di aggravamento della povertàNella seconda metà del Seicento, durante l'espansione coloniale della potenza inglese e l'avvio dello sfruttamento degli schiavi neri per la produzione dello zucchero, si aggiungono al vegetarianismo nuovi argomenti legati al mutamento del contesto storico. Una figura emblematica di questa fase è lo scrittore inglese Thomas Tryon, che denuncia il comportamento dell'europeo cristiano definendolo un oppressore intollerante il cui lusso e i cui sprechi «non possono essere mantenuti se non principalmente grazie alla grande Oppressione degli Uomini e degli Animali». Nel Settecento il vegetarianismo inizia ad essere un argomento sostenuto e diffuso anche dai medici, in nome della salute e delle caratteristiche dell'anatomia e della fisiologia umana che, a partire dall'apparato digerente, dalla dentatura e dalle mani, dimostrerebbero la natura vegetariana dell'uomo. Tra i più noti medici e scienziati fautori del vegetarianismo nell'Europa di questo periodo troviamo in Svezia Linneo e i suoi discepoli, in Francia Louis Lémery e Philippe Hecquet, in Inghilterra Edward Tyson, John Arbuthnot e George Cheyne, in Italia Antonio Cocchi la cui influenza ebbe dimensioni internazionali e che nel 1743 pubblicò Del vitto pitagorico per uso della medicina, destinato ad essere più volte ristampato e tradotto sia nel Settecento che nell'Ottocento e a suscitare un vivo dibattito, soprattutto tra i medici italiani dell'epocaIn questo periodo Voltaire torna sulla questione della crudeltà verso gli animali e del vegetarianismo in numerose opere, mentre in Inghilterra, soprattutto dalla fine del Settecento, si parla sempre più di vegetarianismo e si susseguono alcune pubblicazioni notabili. Nel 1791 esce il pamphlet The Cry of Nature, di John Oswald, in cui l'autore presenta una presa di posizione politica a favore del vegetarianismo, considerando il mutamento radicale del rapporto con gli animali e la natura un nodo politico essenziale per giungere alla fondazione di una società egualitaria. Nel 1802 viene pubblicatoAn Essay on Abstinence from Animal Food, as a Moral Duty, di Joseph Ritson, un attacco frontale all'antropocentrismo. Nel 1811 esce The Return to Nature, di John Frank Newton, una difesa basata su testimonianze di tipico medico ed etnologico del regime vegetariano e, un paio di anni più tardi, nel 1813, Percy Shelley pubblicaVindication of Natural Diet, in cui indica la dieta carnea come un simbolo del lusso che, insieme ad altri falsi bisogni indotti tra i poveri, ritiene all'origine dello sfruttamento del lavoro e delle disuguaglianze sociali

L'Ottocento e la costituzione della Vegetarian Society.


In Inghilterra questo fermento del vegetarianismo nel panorama culturale del paese porterà, nella prima metà dell'Ottocento, alla nascita di un movimento vegetariano inglese e alla costituzione della Vegetarian Society, fondata il 30 settembre 1847 a Ramsgate. Nei decenni successivi sorsero altre società vegetariane anche in altri paesi: nel 1867 il teologo Eduard Baltzer fonda la prima società vegetariana della Germania, verso la fine dell'Ottocento viene fondata la Société Végétarienne de France, mentre l'Associazione Vegetariana Italiana sorgerà solo nella seconda metà del Novecento. Negli Stati Uniti dell'Ottocento troviamo molte vegetariane nel nascente movimento per i diritti delle donne: tra queste, Harriet Beecher Stowe(conosciuta per il suo La capanna dello zio Tom), che nel 1896 pubblica un articolo sui diritti degli animali su Heart and Home, un periodico destinato al pubblico femminile; Margaret Fuller, che in Woman in the Nineteenth-Century afferma che l'integrazione della donna nella vita pubblica avrebbe portato ad una femminilizzazione della cultura, la quale avrebbe posto fine ad ogni forma di sofferenza, compresa l'uccisione degli animali per l'alimentazione umana; Elizabeth Stuart Phelps Ward, autrice di libri contro la vivisezione; ed inoltre Lucy Stone, Amelia Bloomer, Susan Anthony, Elizabeth Cady Stanton, le quali si riunivano abitualmente insieme all'antischiavista Horace Greeley, direttore del Tribune, per brindare «ai diritti delle donne e al vegetarianismo»Una figura importante di questo periodo è l'inglese Henry Stephens Salt, vegetariano etico instancabile difensore con numerose opere di quelli che l'autore stesso comincia a chiamare animal rights (diritti animali). Salt vedeva anche una evidente contraddizione in chi dichiarava di battersi per la protezione degli animali continuando a seguire una dieta carneaTra le figure celebri del vegetarianismo tra l'Ottocento e gli inizi del Novecento si distinguono tra gli altri: il poeta francese Alphonse de Lamartine che, pur avendo in seguito abbandonato questo regime alimentare dopo essere stato cresciuto vegetariano dalla madre, nelle sue opere continuò ad insistere sul tema della crudeltà dell'uccisione degli animali e della dieta carnea; il compositore tedesco Richard Wagner, autore anche di scritti contro la vivisezione, le cui idee, tuttavia, erano influenzate da un antisemitismo che lo condusse a incriminare il consumo di carne come il male che aveva contaminato la razza ariana; lo scrittore russo Lev Tolstoj, passato al vegetarianismo nel 1885, durante il suo periodo di profonda crisi spirituale che lo spinse ad adottare una posizione di difesa nonviolenta per gli oppressi; il politico indiano Mohandas Gandhi, trasferitosi a Londra a vent'anni per studiare legge dove entrò presto in contatto con i membri della Vegetarian Society, di cui divenne prima socio e poi dirigente; il commediografo irlandese George Bernard Shaw, che diede un notevole contributo alla diffusione della causa vegetariana, battendosi anche contro la vivisezione e gli sport cruenti. Altre femministe inglesi di questo periodo furono vegetariane, come Charlotte Despard, leader della Woman's Freedom League. 

Il Novecento e la questione filosofica.


L'espansione internazionale del movimento vegetariano porta nel 1908 alla fondazione dell'International Vegetarian Union, mentre nel novembre del 1944 nasce in Inghilterra, a Londra, la Vegan Society, fondata da Donald Watson, che vedeva l'abbandono di latte, latticini e uova come una logica conseguenza della scelta vegetariana, dato il legame tra la produzione di questi alimenti e l'industria dell'allevamento. Durante gli anni sessanta del Novecento il vegetarianismo sarà molto diffuso nel nascente movimento di rivolta giovanile antiautoritaria come parte del rifiuto della vita borghese e della scelta di una povertà volontaria vissuta come indipendenza mentale e frugalità salubre per il corpo e lo spirito. Nel 1975 viene pubblicato Liberazione animale, del filosofo australiano Peter Singer, la prima opera contemporanea sui diritti animali che conosce una vasta diffusione internazionale. Nell'opera Singer fornisce argomenti razionali contro il pregiudizio e la discriminazione di specie (specismo) e indica il vegetarianismo come un obbligo etico nel rispetto della vita degli animali: secondo le conclusioni dell'autore, il piacere del palato offerto dalla carne animale all'uomo risulta irrilevante a fronte dei maltrattamenti subiti dall'animale nell'allevamento e della sua uccisioneL'opera di Singer, nonostante le numerose critiche di cui è stato oggetto, ha tuttavia consentito l'avvio per un dibattito filosofico e pubblico sui diritti animali e, tra le opere più significative in questo campo, si inserisce I diritti animali, pubblicato qualche anno più tardi, nel 1983. L'autore, il filosofo statunitense Tom Regan, criticando e rigettando le posizioni di Singer, mira a dimostrare che la vita animale ha valore intrinseco e che quindi gli animali devono essere trattati non come mezzi ma come fini: il vegetarianismo, pertanto, si configura nella teoria di Regan come una doverosa e logica conseguenza del fatto di riconoscere il diritto di vivere all'animaleNel corso degli anni e tuttora molti altri pensatori si sono confrontati su questi temi, e nonostante la diversità degli approcci sostenuti, tutti concordano nel ritenere il vegetarianismo – e, attualmente, in particolare il vegetalismo – una scelta morale obbligata. 

Il vegetarianismo oggi.


Oggi il vegetarianismo si è consolidato come un fenomeno in genere socialmente meglio accettato e convenzionale, affiancato da una crescente diffusione di periodici dedicati, libri e siti internet e dalla nascita di numerose associazioni locali e nazionali, e con una presenza di dimensioni crescenti sul mercato alimentare. Le ragioni che comunemente sono alla base di una scelta vegetariana includono motivazioni etiche di rispetto per la vita animale, principi religiosi, attenzione per la salute e preoccupazione per l'ambiente. Tali motivazioni non sono tutte necessariamente adottate insieme, e anche se spesso due o più di loro possono coesistere negli stessi soggetti, solitamente una prevale sulle altre. Inoltre, l'influenza delle diverse motivazioni può variare in relazione al sesso (ad esempio in Italia la scelta etica è più sentita tra le donne, mentre gran parte degli uomini scelgono di seguire un regime vegetariano per il benessere fisico e una maggiore attenzione per la salute), al paese (ad esempio in India la motivazione religiosa è quella prevalente), nonché in relazione allo specifico regime vegetariano: il latto-ovo-vegetarianismo e le sue varianti latto-vegetarianismo e ovo-vegetarianismo sono adottati per lo più per ragioni religiose e/o salutistiche, il vegetalismo principalmente per ragioni etiche di rispetto per la vita e la sofferenza degli animali, il crudismo vegano soprattutto per ragioni salutistiche, il fruttarismo per questioni religioso-spirtuali. 

Salute.


La crescente evidenza della relazione tra consumo di cibi animali – e in particolare di carni rosse (manzo, maiale, agnello e capra) e carni conservate (carni affumicate, stagionate o salate o con l'aggiunta di conservanti chimici) – e rischio di malattie croniche quali patologie cardiovascolari, cancro e diabete, la frequente diffusione di malattie virali e parassitarie presso gli animali allevati, il crescente uso di antibiotici e altri farmaci negli allevamenti, da una parte, e i numerosi studi sui benefici dei cibi vegetali in generale e sulle diete vegetariane in particolare, dall'altra, hanno fortemente contribuito negli ultimi decenni alla diffusione delle diete vegetariane presso le popolazioni dei paesi più ricchi. Più recentemente, inoltre, i rischi derivanti da un'eccessiva assunzione di grassi saturi e colesterolo, di cui sono ricchi latte, latticini e uova, la correlazione tra consumo di prodotti lattiero-caseari e coronaropatia e cancro al seno e la vasta diffusione dell'intolleranza al lattosio, hanno spostato l'attenzione anche verso le diete vegane. Rispetto ai non-vegetariani, tra i vegetariani è stata osservata una minore incidenza per quanto riguarda alcune delle più diffuse patologie dei paesi ricchi: sovrappeso e obesità (in particolare tra i vegani), cardiopatia ischemica, alcuni tipi di tumore (della prostata, del colon-retto, dello stomaco, della vescica, linfoma non Hodgkine mieloma multiplo), ipertensione arteriosa (in particolare tra i vegani), diabete mellito di tipo 2 (in particolare tra i vegani) e morbo di Alzheimer. I vegetariani sono inoltre risultati soggetti ad un rischio minore anche per quanto riguarda appendicite acuta, artrite reumatoide, asma bronchiale, calcolosi biliare, cataratta (in particolare tra i vegani), diverticolite, costipazione (in particolare tra i vegani) e calcolosi urinaria. Le diete vegetariane – e in particolare le diete vegane – sono inoltre state utilizzate con successo nel trattamento di alcune patologie: malattie cardiovascolari, tumore alla prostata, ipertensione, diabete mellito di tipo 2, artrite reumatoide, asma bronchiale, fibromialgia e malattie renaliAlcuni studi hanno rilevato una più alta incidenza di disturbi del comportamento alimentare tra gli adolescenti vegetariani rispetto alla popolazione generale degli adolescenti, tuttavia secondo gli studiosi l'adozione di diete vegetariane non aumenta in alcun modo il rischio di sviluppare disordini alimentari, sebbene la scelta di una dieta vegetariana possa essere utilizzata per camuffare un preesistente disturbo del comportamento alimentare. Per questo motivo le diete vegetariane sono in qualche modo più diffuse tra gli adolescenti con disturbi del comportamento alimentareRispetto ai non-vegetariani, i vegetariani, e in particolare i vegani, sono anche risultati meno soggetti all'accumulo di inquinanti ambientali quali DDT, DDE e PCB, risultati significativamente inferiori sia nel latte materno di donne vegetariane, sia nelle concentrazioni plasmatiche e fecali dei vegetariani, inoltre si è constatato che più a lungo una persona segue una dieta vegana, più i livelli di diossine e PBDE tendono a scendere. È stato osservato che le donne anziane (tra i sessanta e i settant'anni) vegetariane presentano valori di stress ossidativo del DNA significativamente ridotti rispetto a donne anziane non-vegetariane, e non dissimili dai valori di donne più giovani (20-30 anni), inoltre si è ipotizzato che una dieta vegana può avere un ruolo nel condizionare parametri genici atti a promuovere una maggiore protezione contro l'insorgenza di patologie e una maggiore durata della vita. In due studi è stata osservata nei vegetariani anche una migliore qualità dell'umore (bassa frequenza di emozioni negative) rispetto ai non-vegetarianiMentre c'è evidenza che non vi sono differenze significative nella densità minerale ossea (BMD) tra latto-ovo-vegetariani e non-vegetariani, i dati sui vegani sono ancora scarsi: alcuni studi condotti in Asia (Cina e Thailandia) hanno rilevato valori minori di BMD rispetto ai non-vegetariani, ma si trattava di donne con apporti di proteine e calcio molto bassi, entrambi fattori di rischio per la salute ossea a lungo termine. Comunque, mentre non vi sono differenze significative tra latto-ovo-vegetariani e non-vegetariani per quanto riguarda il rischio di fratture, in donne vegane con un apporto di calcio inferiore ai 525 mg/die è stata osservata una maggiore incidenza. Secondo l'Academy of Nutrition and Dietetics i vegetariani, per favorire una buona salute ossea, devono assicurarsi l'assunzione di buoni apporti di calcio, magnesio e potassio (frutta e verdura), vitamina K (vegetali a foglia verde scuro), vitamina D (esposizione alla luce solare, prodotti fortificati o supplementi), un apporto adeguato ma non eccessivo di proteine, isoflavoni della soia e ridurre al contempo gli apporti di sodio