domenica 20 novembre 2016

energia cosmica Sakti

L'Eterno Femminino è il principio creativo dal quale tutto ha principio e nel quale tutto ritorna, una misteriosa realtà che si custodisce dentro di sè; è un' insieme di mondi visibili e nascosti; è la fonte, la luce, la notte, l'oscurità. E' la forza Vita/Morte/Rigenerazione. Riunirsi a lei significa stare con sicurezza e orgoglio nel proprio corpo indipendentemente dai suoi doni e dai suoi limiti, parlare ed agire per proprio conto essere consapevoli, vigili, rifarsi ai poteri femminili innati dell'intuito e della percezione, riprendere i propri cicli, scoprire a che cosa si appartiene. Senza di lei le donne perdono la sicurezza del loro cammino, dimenticano perchè sono quì, trattengono senza lasciar andare, restano in silenzio mentre stanno ardendo. Si considera che la bellezza di una donna sorga da dentro che nutrito con il nettare della conoscenza inizia a splendere di una particolare luce divina che traspare attraverso il corpo; è questo il segreto dell'emanazione del fascino, della donna sensuale, armoniosa, giocosa intelligente e profondamente spirituale. Innumerevoli testi tantrici sottolineano il fatto che la loro dottrina è stata rivelata dalla Shakti o "forza cosmica" che simboleggia il mistero della Creazione e il mistero dell'Essere di tutto ciò che è e che diviene, che muore e rinasce in modo incomprensibile. Shakti significa essere capace di fare, avere la forza di agire; è il principio universale di potenza e creatività inseparabile da colui che la possiede il principio maschile, l'immutabilità, la forza statica, la coscienza, o Shiva. La loro sintesi è paragonabile ad una fiamma che ha consumato la materia ed ora è soltanto se stessa, pura energia, armonia cosmica, lo stato androginale; nell'alchimia è la più alta unione trasformativa di sostanze dissimili che insieme attivano energia, introspezione e conoscenza. Nel viaggio della nostra vita ognuno di noi deve sviluppare la parte mancante (maschile o femminile) ma a sua volta l'uomo deve riconoscere nella donna l'incarnazione della Shakti (femminile, lo Yin per la Cina, Ida per l'India), così come la donna deve riconoscere nell'uomo l'incarnazione di Shiva (maschile, lo Yang per la Cina, Pingala per l'India). Un contributo particolare alla riscoperta e alla valorizzazione della femminilità e del principio femminile proprio perchè tale energia può manifestarsi solo al fianco di un uomo capace di apprezzarne il valore; a sua volta l'uomo può realizzare la sua piena coscienza solo accompagnato dall'energia immensa di una donna e realizzare assieme un nuovo paradigma familiare basato sulla vera gioia di una relazione e l'amore incondizionato verso i propri figli e i propri progetti. L'AMORE TRA I DUE UNISCE I DUE MONDI, MASCHILE E FEMMINILE, CREANDO UN UNICO UNIVERSO DOVE TUTTO E' PERFETTO. La venerata Shakti, sorgente dell'energia, apre gli occhi e l'universo si riassorbe in pura coscienza, chiude gli occhi e l'universo si manifesta in lei! Nelle antiche culture il ciclo lunare è riconosciuto come espressione della parte femminile del divino nella terra e nelle donne; i differenti aspetti dell'intera vita di una donna quindi possono essere rappresentati dall'archetipo del divino che offrono ognuno la comprensione della nostra natura e sottolineando la necessità di divenirne consapevoli. E' il manifestarsi di un segreto interiore che richiama fascino e seduzione, spirituale e creativo a cui anche l'uomo può attingere come risorsa energetica in quanto contenente spirito ardente e produttivo. E' nostro dovere prendere coscienza della propria attinenza con la ciclicità per poterci risvegliare e riappropriarci della nostra essenza. Le donne in età fertile sono cicliche per natura ma anche quando si segnano le date del ciclo sul calendario non si rendono conto che l'evento sia appunto ciclico e non lineare come la cultura tipica della nostra società ci ha abituato invece a pensare trasformando così la vera natura femminile in qualcosa di stereotipato e distaccato dal vero principio creativo di ognuna, creando un profondo malinteso, una separazione dalla fonte esistenziale, sterilizzandone gli istinti e i cicli naturali di vita soggiogati dalla cultura o dall'intelletto o dall'io, propri o altrui. Quando una donna ha una relazione infranta con la propria natura si sente arida, affaticata, fragile, confusa, impaurita, sterile, senza sentimenti. E' una donna che ha paura di rivelarsi, di avventurarsi, di partire per un viaggio, di parlare, di provare il nuovo di umiliarsi davanti all'autorità, di perdere energia di fronte a progetti creativi; è una donna affogata nella routine domestica, nel lavoro o nell'inerzia perchè questi sono i posti più sicuri per chi ha perduto i propri istinti. Una donna che si risveglia è una donna che si toglie la maschera e vive secondo la propria natura femminile trovando equilibrio tra il dentro e il fuori, capace di trasformare in modo benefico tutto ciò con cui entra in contatto, di raggiungere uno stato di consapevolezza che permetta di fare sempre la scelta giusta al momento giusto nel completo rispetto di se stesse del prossimo e dell'ambiente. Significa risvegliare e ritrovare il collegamento ancestrale con l'archetipo della Grande Dea Madre con la Dea Lunare che rende ogni donna capace di affrontare situazioni estreme con grande forza e di rinascere dalle proprie ceneri. Nella preistoria la figura femminile era rispettata e venerata in quanto generatrice di prole ed era prevalentemente relegata al ruolo di madre e raccoglitrice; con l’affermarsi delle grandi civiltà la situazione cominciò a cambiare verificandosi la frammentazione della dea Gaia, la madre-terra. Le divinità che rappresentavano le differenti categorie di donne assunsero l’aspetto dell’amante licenziosa (Afrodite), di moglie frustrata (Era), di donna isolata (Artemide) e razionale (Atena). La vera discriminazione nei confronti delle donne è iniziata con la nascita delle religioni monoteiste un vero e proprio dogma per far sentire l’uomo superiore alla donna, nonostante si esalti la purezza e la verginità di alcune quali Maria la Madonna l’unica scampata al peccato originale. Nel medioevo le donne vennero incolpate d’atti di lussuria e fornicazioni d’ogni genere accusando di stregoneria quelle che avevano il potere di guarire le persone o un’ intuito superiore a quello degli uomini. La vera rinascita della donna ebbe inizio ai tempi della Prima Rivoluzione Industriale in cui divenne parte integrante e fondamentale della società poiché era impegnata nel sistema produttivo; dal secondo dopoguerra sono iniziate le lotte che hanno portato la condizione femminile alla situazione attuale, ossia alla reale, ma per alcuni solo ipotetica, parità dei sessi. In ricordo delle migliaia di vittime cadute per la difesa dei propri diritti nel 1910 venne istituita la giornata internazionale della donne fissando la data dell’8 marzo di ogni anno in cui le donne si riuniscono per festeggiare con trasgressioni di ogni tipo e genere perdendo il significato commemorativo della giornata mentre in alcuni paesi del mondo la donna è ancora costretta a coprirsi completamente e a vivere d’elemosina, in altri a causa di atroci tradizioni vengono mutilati gli organi genitali, altre vengono spinte al suicidio per la disperazione. Si pensa solo a festeggiare ponendo la donna nella pericolosa condizione di illudersi di avere in virtù della sua forza interiore conclamata il diritto di ritenersi superiore al genere maschile procurandole una caduta rovinosa dalla cima della sacra torre d’avorio sulla quale è giunta attraverso secoli di sofferenze; è sconfitta dalla sua stessa sacra essenza che vuole che ogni donna espleti se stessa nella potenza di un gesto o di uno sguardo e non nell’affannata corsa al raggiungimento di un obiettivo sterile che la esula totalmente dalla sacralità. "Secondo un’antica Profezia Andina, giungerà il giorno il cui lo spirito femminile si risveglierà dal lungo letargo e lotterà per cancellare odio e distruzione dalla civiltà attuale e dare infine origine a una società di pace, armonia e fratellanza nel futuro." “In cosa consisteva, nel passato, l’educazione della vera donna?” domandò Kantu.
Osservando il suo volto, Mama Maru prese a spiegarle:
“Anticamente per imparare ad essere una vera donna si doveva ricevere un’iniziazione. La donna entrava da sola nel Tempio del Puma dove vi rimaneva per sette giorni e otto notti. Adagiata su una pietra del tempio assaporava la vera solitudine. Nell’oscurità più assoluta affrontava la sua paura dell’ignoto e, immersa nel silenzio più impenetrabile, cercava di conoscere la sua vera natura; e ti assicuro che è una battaglia difficilissima.
La lotta più dura da sostenere non è quella combattuta contro un avversario, uomo o donna che sia, ma quella sostenuta contro se stessi.
Lì, dove non percepiva il benché minimo rumore, la donna cominciava a udire i suoni emessi dal suo stesso corpo: il battito del cuore, i suoni sordi dei polmoni, del fegato, del pancreas, dell’intestino, dello stomaco, delle ovaie.
Ogni organo cominciava a intonare la propria musica: suoni mai uditi, mai ascoltati.
In quel ritiro assoluto, attraverso la meditazione, la riflessione e l’analisi di tutta la sua vita, la donna vinceva i propri timori, le proprie paure, fino a scoprire chi fosse realmente e che cosa fosse venuta a fare sulla terra. Colei che entrava nel Tempio del Puma ne usciva preparata, consapevole del proprio potere e della propria forza.
Così, persino la donna sterile poteva uscire in grado di concepire dei figli”.
Kantu ascoltava le parole dell’anziana curandera, cercava di cogliere il significato di ogni parola, di ogni gesto di quella donna, che aveva già percorso una parte del proprio cammino.
Con lo sguardo rivolto verso il fuoco, Mama Maru continuò:
“Ma per poter cominciare la sua iniziazione, la donna doveva prima superare una serie di prove che mitigassero il suo carattere per poter quindi imparare, nel Tempio, a controllare a poco a poco il proprio corpo e la propria mente.
Di tutto quel percorso, la lotta più grande che doveva affrontare era quella del controllo della mente. Lì dentro era continuamente assalita da paure e dubbi: doveva imparare ad avere fede, perché chi non ha fede in se stesso è perduto. Concentrata su se stessa, la donna ripercorreva con il ricordo tutto ciò che aveva fatto da quando era venuta al mondo. Per la prima volta in vita sua affrontava e giudicava se stessa. Rinchiusa in quel recinto la donna doveva imparare ad attraversare la porta dell’eternità senza timore. E se lo voleva davvero, ce la poteva fare.
Tutte le donne possono, è solo questione di volontà.
Una volta che avrai compreso la potenza che risiede dentro di te, potrai alzare la testa, guardare gli altri con amore e dolcezza e agire con serenità e determinazione”. Ognuno di noi individualmente può mettersi davanti al Grande Mistero dell’esistenza e riportarlo nella vita quotidiana, nei nostri rapporti e nel nostro modo di reagire; è la via in cui ognuno può scoprire chi e che cosa è realmente sviluppando conoscenze che possono essere fortemente in contrasto con il copione che la società vuole che rappresentiamo. Con una chiara intenzione, una costante disciplina e un potente discernimento si mette in moto un misterioso “piano”  in cui sappiamo per certo che nessun testo o parola sacra, nessuna cerimonia o rito segreto, nessuna guida, guru o fede spirituale può farlo al nostro posto; la ragione è che il piano o la porta in cui entriamo è già dentro di noi, dobbiamo solo riprogrammare il nostro software. Riprogrammare? Ma come si fa? Molto semplice; se Ermete Trismegisto nella Tavola Smeraldina più di tremila anni fa scriveva “come sopra, così sotto” allora significa che in noi c’è una parte di Dio, il Tutto. Si tratta quindi di riuscire a renderlo consapevole e darne coscienza attraverso alcuni approcci e varie metodologie che facilitano in particolari stati di coscienza la creatività, l’intuizione e l’immaginazione. Le pratiche esperienziali che conduco sono perciò occasioni per mettere in discussione le nostre certezze, sapendo che, se miglioriamo noi stessi, sicuramente migliorerà il mondo intorno a noi, che può essere il mondo famigliare, del lavoro, delle amicizie e delle relazioni sociali. La creatività non è una prerogativa di pochi uomini ma una capacità di tutti gli esseri viventi comprese le piante e le rocce; la creatività è un’attenta esplorazione nel nostro mondo interiore non fermandosi alle apparenze ma andando in profondità, con il cuore
mettendo la propria firma in tutto quello che si fà in modo originale e nel nostro modo di vedere e percepire le cose capace di condurci sul nostro personale sentiero della rivelazione diretta.
  

mercoledì 9 novembre 2016

Gruppi di origine sikh

Fra i maestri di origine sikh che sono stati attivi e sono conosciuti in Italia, uno dei più noti è Baba Pyare Lal Bedi (1909-1993), più noto come Baba Bedi XVI, considerato il sedicesimo discendente del fondatore del sikhismo, Nanak (1469-1539). Padre del noto attore Kabir Bedi (e di altri due figli, Ranga e Gulhima Bedi), Baba Bedi – in modo non dissimile, ma con un’impostazione diversa rispetto a Yogi Bhajan – ha diffuso una spiritualità in cui sono rintracciabili tratti della sua origine sikh (per quanto l’autore affermasse che “le religioni hanno governato attraverso la paura”), inserendosi consapevolmente nella corrente “acquariana” e del New Age, proponendo insegnamenti non solo sulla meditazione e sulla consapevolezza di Dio, ma soprattutto sull’evoluzione della personalità e il benessere psicofisico.
Nato il 5 aprile 1909 nel Punjab, in India, Baba Pyare Lal Bedi intraprende un curriculum universitario che lo porta a studiare a Oxford, Heidelberg e Ginevra, e a svolgere un periodo in qualità di ricercatore presso l’Università di Berlino. Personaggio poliedrico, come atleta vince alcune importanti competizioni di lancio del martello, e nel 1934 – in India – è coinvolto in attività politiche di stampo rivoluzionario di sinistra, che lo porteranno fra l’altro nelle prigioni inglesi; fa parte del direttivo della delegazione dell’India settentrionale al primo Congresso del Partito Comunista dell’India, e diventa membro dell’esecutivo nazionale dell’Unione dei Contadini dell’India. Durante questo periodo fonda e dirige una pubblicazione trimestrale socio-politica (Contemporary India) e un settimanale di sinistra, il Monday Morning. Dopo l’indipendenza dell’India – nel 1947 – e in seguito alla spartizione fra India e Pakistan, presta per cinque anni aiuto ai profughi. Nel 1953, dopo vent’anni di attività politica – anche se, in precedenza, aveva conosciuto Annie Besant (1847-1933), della Società Teosofica, in occasione di una conferenza –, “segue la voce del cuore” e si dedica completamente alla vita spirituale.
Alcuni eventi particolari lo portano a distaccarsi da ogni religione e a scoprire che la conoscenza arriva direttamente dalla “sorgente esoterica”, portando ispirazione e guida. Nel frattempo, la prima moglie, Freda Marie Houlston (1909-1977) – che aveva collaborato alla lotta di liberazione dell’India – diventa monaca buddhista. Nel 1961 Bedi fonda a Nuova Delhi l’Istituto di Ricerca sul Non-Conosciuto. Nel 1972 si trasferisce in Italia, dove sviluppa la sua peculiare filosofia per l’Era Acquariana, tenendo corsi per l’apprendimento della Terapia Vibrazionale e dedicandosi allo sviluppo della personalità umana mediante l’“espressione psichica”. Nel 1981 organizza e presiede a Milano il 2° Congresso Internazionale sulla Reincarnazione e dà inizio al Movimento Mondiale per “vivere secondo la Coscienza Etica” come mezzo per raggiungere la pace sociale. Durante il suo periodo italiano, Baba Bedi ha svolto annualmente – oltre all’organizzazione di un corpus composto da oltre cento corsi di studio per trasmettere il contenuto della sua ricerca – un Simposio Acquariano, principale spazio di incontro e comunicazione fra quanti si sono interessati alla Filosofia Acquariana.
Il lascito di Baba Bedi XVI in Italia è di una certa consistenza, e alla sua divulgazione devono la nascita vari centri sorti per sua espressa volontà e ancora oggi attivi. Baba Pyare Lal Bedi muore il 31 marzo 1993, e le sue ceneri sono immerse nel fiume Gange il 4 gennaio 1998.
La presenza di gora sikh (“sikh bianchi”) in Occidente si deve largamente a Yogi Bhajan (1929-2004), un maestro sikh che emigra in Canada nel 1969, da cui passa poi negli Stati Uniti. Nel 1968 a Toronto fonda l’organizzazione 3HO (Healthy, Happy, Holy Organization: Organizzazione Sana, Felice e Santa), conosciuta in alcuni paesi come Sikh Dharma. 3HO si è inserita in un momento di grande interesse nell’America del Nord per lo yoga e la meditazione, e ha cominciato a proporre corsi su questi argomenti, introducendo gradualmente i partecipanti alla fede sikh. In pochi anni oltre trecento centri sono sorti nell’America del Nord e in Europa, con oltre trentamila membri in trentacinque paesi. Ripetutamente, le autorità sikh di Amritsar hanno lodato il lavoro di Yogi Bhajan e ne hanno riconosciuto la legittimità.
Esiste tuttavia negli Stati Uniti una parte della comunità di immigrati sikh che sopporta con difficoltà la presenza di un’organizzazione sikh composta prevalentemente da non indiani, e accusa Yogi Bhajan di avere introdotto in un movimento sikh idee che provengono dall’induismo e dall’ambiente del New Age (una casa editrice legata a 3HO ha del resto pubblicato alcune delle guide più influenti nella comunità New Age americana). Altri osservatori notano, peraltro, che i gora sikh di 3HO sono, semmai, più rigorosi di molti sikh indiani nella loro fedeltà ai principi e anche alle pratiche del sikhismo (cinque “k” comprese). È vero che Yogi Bhajan ha insistito nel suo insegnamento su certi aspetti del tantrismo e sul kundalini yoga: ma non si tratta del primo maestro sikh ad avere subito influenze tantriche. Non mancano, del resto, indiani che hanno aderito con entusiasmo al movimento di Yogi Bhajan, dove peraltro costituiscono tuttora una minoranza. Una volta consolidato il suo movimento, Yogi Bhajan si è impegnato in una serie di iniziative di dialogo inter-religioso e per la pace nel mondo, che sono culminate nella Giornata internazionale di preghiera per la pace, istituita nel 1985, mentre nel 1994 3HO è stata riconosciuta come organizzazione non governativa dalle Nazioni Unite (nel cui ambito è particolarmente attiva la moglie di Yogi Bhajan, Bibi Inderjit Kaur).
In Italia la presenza di discepoli di Yoghi Bhajan risale al 1970 e all’opera dei fratelli Menghi, Paolo (“Arpal”, 1945-1997) e Gianfranco (“Gurumersingh”), che conoscono il maestro sikh negli Stati Uniti e, tornati in Italia, promuovono l’apertura di centri a Bologna e a Roma (Centro Mandala). Nel 1990 il Centro Mandala esce dalla sfera di influenza di Yogi Bhajan, e diventa una scuola di yoga indipendente con una forte polarità psicoterapeutica, guidata dopo la morte di Paolo Menghi dalla moglie; parimenti, all’inizio degli anni 1990 “Gurumersingh” lascia la comunità, la religione sikh e l’insegnamento del kundalini yoga. Gradualmente – come del resto in altri Paesi – l’attività ispirata a Yoghi Bhajan si sviluppa in Italia secondo due direttive principali: la prima riprende il modello di 3HO (tramite una Associazione Italiana Sikh Dharma), e comprende coloro che attraverso gli insegnamenti del maestro si convertono alla religione sikh; la seconda è la Associazione Nazionale Insegnanti di Kundalini Yoga IKYTA (International Kundalini Yoga Teachers Association) Italia, formalmente costituita il 17 gennaio 2004, che riunisce coloro che sono autorizzati a insegnare il kundalini yoga e che si impegnano a rispettarne i principi così come definiti dallo stesso Yogi Bhajan, ma non sono necessariamente di religione sikh (anzi, si contano fra loro cattolici e seguaci di altre religioni, oltre a persone che hanno un accostamento personale al magistero di Yogi Bhajan).
Molto importante è quindi distinguere, e non confondere, da una parte 3HO – Sikh Dharma, una realtà che fa parte integrante della religione sikh, dall’altra l’Associazione Nazionale Insegnanti di Kundalini Yoga, che è un’organizzazione “laica” e non religiosa, e questo vale ancor più per la Federazione Italiana Gatka, che organizza l’insegnamento dell’omonima tradizionale arte marziale sikh in collaborazione con diversi enti di promozione sportiva. Una terza branca – almeno percepita come tale da alcuni – che si rifà a Yogi Bhajan è il Sat Nam Rasayan. I sikh italiani di ispirazione 3HO, che si ritrovano mensilmente per un incontro religioso, sono meno di un centinaio, presenti soprattutto a Roma e a Bologna, mentre diverse migliaia di persone partecipano alle attività di kundalini yoga.
Della vita di Ravidas o Ravidass, un venerato santo indiano vissuto fra la fine del Medioevo e l’inizio dell’età moderna, si sa molto poco. Fonti diverse forniscono come date di nascita il 1376 o 1377 (il 1377 è la data generalmente accettata dai fedeli), il 1399 o i 1450. La data di morte si situerebbe per alcuni in un anno imprecisato del XV secolo, per altri nel 1520. Uguali incertezze circondano il luogo di nascita, probabilmente situato nella zona di Benares, dove quello che i fedeli considerano il luogo natale di Ravidas ospita oggi un grande santuario. Le sue attività s’inseriscono nella fioritura religiosa Sant Mat, da cui originano i Sikh e più tardi la religione radhasoami. Alcuni inni di Ravidas sono inclusi nel Guru Granth Sahib, il libro sacro dei Sikh che dunque considerano questi testi come canonici. Ravidas faceva però parte di una casta – i conciatori di pellame, detti chamar, mestiere considerato impuro – appartenente ai dalit, gli “intoccabili”, così che sia i bramini indù sia alcune autorità Sikh ritenevano di non potere avere contatti con lui. Dal canto suo Ravidas insegnava che la casta e l’origine non hanno importanza, ma solo il comportamento personale: un insegnamento profondamente sovversivo nell’India del tempo.
Ravidas è rimasto a lungo una bandiera della spiritualità dei dalit ma fino al XIX secolo non era chiaro se i suoi seguaci costituissero un gruppo religioso indipendente o una branca dei Sikh. Nel XIX secolo la comunità Ravidasi – che preferisce definirsi una tradizione piuttosto che una religione – comincia a dotarsi di strutture organizzative indipendenti e afferma la sua identità intorno a una struttura sacra, il Guru Sikhya Sahib, la cui base è il Guru Granth Sahib dei Sikh cui sono aggiunti ulteriori testi di Ravidas e di suoi discepoli. Gli insegnamenti sono simili a quelli Sikh, ma c’è una forte enfasi sul superamento delle caste e una minore insistenza sugli aspetti formali. Il tempio Ravidasi è chiamato bhawan e al suo esterno si trova sempre una bandiera nocciola con il simbolo Har, che è considerevolmente diversa dalla bandiera Nishan Sahib dei Sikh e simboleggia la visione dell’universo di Ravidas. Al centro del bhawan – che per altri versi assomiglia a un luogo di culto Sikh – c’è il libro Guru Sikhya Sahib. Le cerimonie sono in parte di derivazione Sikh, in parte sono influenzate dall’induismo e hanno come elemento distintivo i celebri inni scritti da Ravidas, i quali costituiscono un importante patrimonio della letteratura religiosa indiana.
Quanti siano i Ravidasi – le stime vanno da alcune centinaia di migliaia a alcuni milioni – è oggetto di ulteriori controversie, dal momento che ci sono Ravidasi che praticano – senza considerare contraddittorio il proprio comportamento – anche il culto Sikh, ancorché negli anni 1920 un buon numero di Sikh di casta chamar, considerandosi discriminati, abbiano abbandonato i templi Sikh dichiarandosi esclusivamente Ravidasi. Ne sono nati conflitti che durano ancora oggi, come è confermato dall’assassinio del secondo massimo dirigente dei Ravidasi, Sant Ramanand Ji (1952-2009), ucciso da estremisti Sikh nel bhawan di Vienna il 25 maggio 2009, in un attentato cui è invece scampato l’attuale leader della tradizione, Sant Niranjan Dass Ji.
L’attentato di Vienna ha dato luogo a spettacolari proteste in India, nonché in Gran Bretagna e negli altri Paesi di emigrazione dove si trovano numerosi Ravidasi. In Italia la comunità Ravidasi – pressoché interamente di etnia punjabi – risale alla prima metà degli anni 1990; essa conta alcune migliaia di fedeli, che si riuniscono in forma organizzata a Verona, Vicenza, Roma e nel bergamasco, dove – nella frazione Cividino di Castelli Calepio – dal 1995 si ritrovano circa 2.500 fedeli, provenienti anche dalla provincia di Brescia (sempre nel bergamasco, da febbraio 2010, oltre al luogo di culto di Cividino, ne è stato aperto un altro a Gorlago).

sabato 5 novembre 2016

Martinismo.

Il Consiglio Supremo dell'Ordine Martinista, depositario della Tradizione e pienamente edotto sulle cause prime che determinarono le presenti perturbazioni politiche e sociali, considera suo imperioso dovere il ricordare quanto in circostanze analoghe fu rivelato dai predecessori, e ciò che l'illustre H. Wronsky nel suo Apodittico Messianico confermò e dimostrò senza timore: - Una sola catena abbraccia tutta l'estesa rete di tutti i Gradi Segreti e di tutti i Sistemi dell'Universo, Gradi e Sistemi si riuniscono tutti nel Punto Centrale dell'Onnipotente. Non c'è che un Ordine solo ed i suoi segreti sono due: uno è il suo Scopo, l’altro la sua Esistenza ed i mezzi di cui dispone. Quello che vediamo oggi sul piano fisico non è che la conseguenza delle guerre che da oltre settecentocinque anni si svolgono nell'invisibile tra l’armata della Luce e quella delle tenebre. Nel 1914 suonò l'ora della conflagrazione generale sul piano terrestre, le lotte che si erano svolte nell’invisibile ebbero così la loro sanguinosa ripercussione sul piano fisico e da quel momento l'odio, figlio dell’egoismo, ha sostituito quell’amore del prossimo di cui si parla con tanto fervore nei Vangeli di tutte le Religioni. Sembra inoltre che, per colpa di certi uomini imperfettamente iniziati, la Catena Iniziatica si sia in alcuni punti spezzata, poichè in parecchie contrade le forze morali si sono divise e laddove l’unione doveva ripercuotersi sul piano fisico, non regna ormai che pericolosa discordia. Bisogna a tutti i costi far cessare questa situazione che potrebbe far capo a catastrofi incalcolabili. Perciò il Supremo Consiglio dell'Ordine Martinista, ispirandosi alle parole di cui sopra, raccomanda a tutti i Fratelli sparsi nel mondo di unirsi più strettamente che mai per raggiungere lo Scopo che, come ricordò Mazzini, è unico quali che siano le diverse apparenze. Lavorare a questo Scopo Unico è per tutti gli Adepti un sacro impegno e questo impegno è per loro tanto più preciso in quanto essi sanno che l'oggetto, i limiti e la misura dell'opera variano secondo i bisogni dei tempi, progrediscono in proporzione diretta alla evoluzione della Verità e si modificano gradualmente nel corso degli evi. Riflesso del Tempio Mistico, la società umana non riposa soltanto sulla colonna del Diritto, ma si appoggia anche su quella del Dovere. D’altronde non c'è manifestazione religiosa, o sociale, o morale che possa sfuggire alla fatale legge della evoluzione. Ogni epoca, che non è che un istante nella evoluzione universale, deve veder riuniti in uno stesso Pensiero e convergere verso lo stesso Scopo tutte le parti vitali del Corpo Sociale. Il presente Manifesto, vuol dunque ricordare a tutti i nostri Fratelli preposti alla costruzione del Gran Tempio Simbolico, che non bisogna lasciarsi fuorviare, ed operare acciocchè lo Scopo non venga sorpassato. Non dimentichiamo che la Verità è contenuta nel Sacro Monogramma JOD HE SCIN VAU HE che decora i nostri Templi. Oggi si può chiaramente vedere che il Nome Ineffabile Jod He Vau He, è stato spezzato in due, si può chiaramente vedere che il Sublime Quaternario è stato violentemente separato in due opposti binari, rotto l'Equilibrio, distrutto in parte il Tempio, minacciati di inutilità gli sforzi che gli Iniziati fanno da secoli per ristabilire l’Armonia tra le Diadi in contesa. Ebbene, consideriamo gli avvenimenti attuali alla luce della lniziazione. Ricordiamoci che il Cristo è rappresentato dalla lettera Scin e che questo Scin è e deve restare per noi il termine di Equilibrio, il termine Conciliatore ricongiungente i due binari opposti: il Bene e il Male, la Materia e lo Spirito, l’Ombra e la Luce.... Abbiano tutti i Fratelli coscienza del dovere che loro si impone nel mondo hilico l'Opera Sacra. Abbiano in ogni istante presente il simbolo della Fenice. Sulle tenebre che avvolgono il mondo brilli alfine la Stella Fiammeggiante: e sia il simbolo di quella Pace annunciata a tutti gli uomini di buona volontà, E ricordino sempre i nostri Fratelli che il dovere di ogni Martinista, doveri fissati dai nostri rituali, è quello di difendere oltre ogni possibilità gli insegnamenti morali e sociali del Martinismo per contribuire alla rigenerazione della famiglia umana ed instaurare sopra la Terra l'associazione di tutti gli interessi, la federazione di tutte le nazioni, l’alleanza di tutti i culti e la solidarietà universale.

Dato dalla sede del Gran Magistero Generale 10 Gennaio 1921

MARTINEZ DE PASQUALLY
Aveva 47 anni Martinez de Pasqually quando la morte lo colse nell'isola di Santo Domingo. Moriva lasciandosi alle spalle, al di là dell'Atlantico, nella vecchia Europa, una robusta eredità spirituale che, nella sua sostanza, è giunta integra nella sua poliedricità fino ai nostri giorni. Tale eredità spirituale è il Martinismo. Di lui, di Jacques de Livron Joachin de la Tour de la Case Martinez de Pasqually, poco si sa e parte di quel poco è circonfuso di un alone leggendario. Vediamo. Nato a Grenoble nel 1727 era un massone del quale si ignora la data di affiliazione. Di certo si sa che era in possesso di una patente massonica ereditaria che era stata concessa al padre da Carlo Edoardo Stuart nel 1738. Il documento autorizzava l'intestatario e i suoi legittimi discendenti ad iniziare profani alla massoneria e ad aprire templi. Per quanto più specificamente riguarda il Martinismo, si ignora se egli fu il reale fondatore dell'Ordine che propagandava o se agiva per conto di qualche suo maestro rimasto sconosciuto. Martinez parla, sì, di alcuni suoi maestri, ma tende a lasciare tutto nel vago. Comunque sia, per quanto ci è dato di sapere, l'Ordine dei Cavalieri Massoni Eletti Cohen dell'Universo (questa è la dizione integrale della creatura di Martinez) prosperò grazie all'infaticabile attività del suo fondatore. Ispirato dalla Cabala ebraica, il pensiero di Martinez propugna per l'uomo, decaduto dall'originario stato di grazia, la necessità della pratica assidua e meticolosa di culti e riti particolari al fine di potersi reintegrare nelle sue "qualità, virtù e potestà spirituali" e, nel reintegrare se stesso, contribuire attivamente al riscatto dell'universo intero. Nel suo Trattato sulla reintegrazione degli esseri, di schietta derivazione cabalistica, Martinez de Pasqually tenta un commentario esoterico dei primi libri della Bibbia: secondo Martinez, Dio emana, in primis, un gruppo di esseri spirituali che, desiderosi di diventare a loro volta creatori, si ribellano e precipitano nell'universo materiale creato per diventare la loro prigione. In seguito, Dio emana l'uomo originario, cui affida la missione di regnare sugli spiriti decaduti nella materia e su tutto l'universo. Ma l'uomo, credendosi a sua volta capace di creare, ripete il peccato degli angeli: Adamo perde così la sua forma gloriosa e precipita sulla terra, soggetto alla corruzione e alla morte. Adamo, tuttavia, si pente e Dio gli prospetta un cammino di "reintegrazione" attraverso una faticosa ascesi che permette di conseguire un "sacerdozio Coen" in cui si va a ricostituire l'Adamo originario. Una serie di giusti, da Abele a Mosè, a Salomone, hanno già raggiunto in passato lo stato di "Eletto Coen", rappresentato nella sua forma più perfetta da Gesù Cristo. Nel cammino della reintegrazione l'uomo impara a dominare gli spiriti negativi e a comunicare con quella parte degli spiriti che non si sono ribellati a Dio, gli angeli (le cui caratteristiche sono derivate dalla Cabala), nonché con i santi e con lo stesso Spirito Santo.
 

SAINT-MARTIN
È difficile, se non rarissimo, che nei testi di storia della filosofia relativi al XVIII secolo si trovi una sia pur labile traccia di Louis Claude de Saint-Martin, noto con l'appellativo di "Filosofo Incognito" ai suoi pochi posteri non dimentichi. Ed è strano, perché il Nostro si inserì attivamente e a pieno titolo in quella corrente di idee che, prendendo le mosse dall'Encyclopédie di Diderot e d'Alambert e passando per Voltaire, fu la feconda matrice dei princìpi di libertà, uguaglianza e fratellanza, i quali, nel bene e nel male, ispirarono la Rivoluzione e contribuirono non poco a consolidare e tramandare l'immagine, concisa e pertinente, di "secolo dei Lumi", quale, per l'appunto, oggi si suole attribuire al Settecento. È strano questo silenzio del mondo accademico su una delle più interessanti figure della cultura moderna, ma esso si può forse spiegare con la matrice squisitamente esoterica che caratterizzò la vasta opera letteraria e filosofica di Saint-Martin rendendola sospetta, se non addirittura invisa, ai tanti, troppi, che non sanno, o non osano, o non vogliono, o non possono andare oltre l'immediatezza dei messaggi che passano attraverso i sensi. Vediamo, dunque, la vita, le opere principali e il pensiero. Louis Claude de Saint-Martin nasce ad Amboise il 18 gennaio 1743, quarto figlio del nobile Claude-François. Rimasto orfano della madre a poco più di tre anni viene allevato dalla seconda moglie del padre. Studia al collegio di Point-Levoy, dedicandosi a letture di carattere meditativo e successivamente, per obbedire al padre, frequenta la facoltà di giurisprudenza di Parigi. Diventa avvocato, ma dopo sei soli mesi rinuncia alla professione per dedicarsi alla carriera militare come ufficiale nel reggimento di Foix di stanza a Bordeaux. Qui, nel 1769, conosce il suo maestro e iniziatore, Martinez de Pasqually, che aveva già dato vita al martinezismo. L'incontro con Martinez de Pasqually fu fondamentale per il giovane Saint-Martin. Nonostante le differenze profonde nell'approccio al sovrasensibile (Saint-Martin era e resterà sempre un mistico, decisamente orientato verso le pratiche devozionali, piuttosto che verso la magia cerimoniale e la teurgia codificate da Martinez) il Filosofo Incognito venerò Martinez come suo maestro e, in seguito, ne divenne il segretario. È anche attraverso il sodalizio con Martinez che si delinea nelle sue direttrici essenziali la filosofia di Saint-Martin : "Degli errori e della verità", pubblicato nel 1775, è il primo testo organico nel quale Saint-Martin pone i presupposti di una sua personale dottrina : secondo il Filosofo Incognito, dunque, nella natura dell'uomo risiede la conoscenza sensibile di una causa attiva e intelligente, sorgente di allegorie, misteri, istituzioni e leggi. Saint-Martin combatte l'ateismo filosofico, allo stesso modo che in futuro condannerà il materialismo rivoluzionario, confutando gli errori che la scienza profana, sin da allora, andava accumulando nel vano intento di dare risposte agli infiniti interrogativi che da sempre il mondo sensibile pone all'uomo. Nel 1789 dà alle stampe il suo "Ritratto storico e filosofico" che rappresenta una guida illuminante alla conoscenza del suo mondo spirituale e intellettuale. In quello stesso anno esplode la Rivoluzione Francese che il Nostro definisce "un'immagine in miniatura del giudizio universale". Sospettato per la sua corrispondenza con il colonnello Kirchberger del consiglio sovrano di Berna è colpito da mandato di cattura e costretto a fuggire da Parigi. Continua intanto la revisione de "L'uomo di desiderio", la sua opera capitale, la cui prima stesura risale al 1780 e la veste definitiva al 1802. "L'uomo di desiderio", un'opera strutturata in trecentouno "cantici" che nella forma riecheggiano i Salmi , ad una prima lettura appare ostica e di difficile discernimento ; se però il lettore non superficiale si impegna ad approfondirne i significati emerge in tutta la sua vasta complessità l'originalità di pensiero del Filosofo Incognito. Egli sottolinea l'intenso desiderio di rigenerazione che da sempre anima l'uomo, da così lungo tempo decaduto dal primitivo stato di grazia. La reintegrazione è possibile solo grazie ad una intensificazione della spiritualità : "dal momento in cui - scrive Saint-Martin - la vita spirituale ha inizio nell'uomo, tutta la sua esistenza si trasforma in un susseguirsi di azioni vive e consequenziali". Per raggiungere questo obiettivo, l'uomo ha bisogno dell'aiuto divino perché è continuamente esposto alle sollecitazioni più pericolose : "l'uomo - dice ancora il Filosofo Incognito - è un universo compiuto, in cui tutte le forze di tutti i mondi agiscono per ottenere la realizzazione della loro specifica legge". Ancora : "lo spirito deve discendere nell'uomo come un torrente facendogli violenza per purificarlo da tutto ciò che ne ostacola la rigenerazione". E lo strumento fondamentale della rigenerazione è la preghiera interiore unita a quella esteriore che si realizza con una serie di atti giornalieri indirizzati verso il mondo metafisico. "Nuota costantemente nella preghiera - dice Saint-Martin - come in un vasto oceano in cui non riesci ad individuare né la riva né il fondo e un cui l'infinita immensità delle acque ti consenta in ogni istante un'evoluzione libera e priva di turbamenti". Il filo rosso della reintegrazione corre anche all'interno de "Il coccodrillo, ovvero la guerra del bene contro il male", un poema epico-magico in centodue canti in prosa e in versi. La tesi sostenuta è che l'Adamo primordiale, essenza divina universale, rifletteva tutte le proprietà del Principio Primo, ma, a causa della caduta dello spirito, perdette la possibilità di una diretta comunicazione con Dio, al punto che l'uomo decaduto è ormai costretto a decifrare la verità attraverso ciò che lo circonda. Riprendere il contatto con il Principio Primo è possibile soltanto attraverso la reintegrazione : questo bisogno di unità si manifesta soprattutto per mezzo del desiderio e della vivificazione della volontà, i quali - ed è qui la novità rivoluzionaria della concezione saintmartiniana - possono portare l'uomo ad un ordine intellettuale superiore a quello che propriamente egli possiede per la sua origine. Il desiderio dunque è l'elemento che dà ali all'anima : del resto non aveva già scritto sant'Agostino che chi cerca il Signore lo ha già trovato ? Conoscere l'Altro, per Saint-Martin, non è un'intuizione intellettuale o metafisica, ma un mescolare la propria sostanza con quella dell'Oggetto desiderato.
Louis Claude de Saint-Martin morì ad Aunay, presso Sceaux, il 13 ottobre 1803.
 

WILLERMOZ JEAN BAPTISTE
Willermoz (1730-1824) è il terzo personaggio di spicco del Martinismo delle origini. Commerciante di seta di Lione, nel 1753 è accolto in Massoneria e assume rapidamente un ruolo di primo piano in seno all'Ordine. Per l'innata capacità organizzativa viene chiamato alla riforma delle Logge Massoniche che conduce con costanza e fermezza, non disgiunte da grande abilità, pari a quelle impiegate, qualche anno dopo, per riordinare la dottrina segreta di Martinez. Il frutto della sua opera è il Rito Scozzese Rettificato, attualmente diffuso in tutta l'Europa, che si distingue dal Rito Scozzese Antico e Accettato per la chiara impronta cristiana (e per questa ragione Willermoz fu chiamato "il massone cristiano). Il 1767, a Versailles, Willermoz riceve, direttamente da Martinez, la prima iniziazione martinista e da questo momento in poi la sua vita sarà illuminata e sorretta dalla dottrina segreta del Maestro. Il 1778 lo vede impegnato nella Loggia di Lione per riorganizzare gli insegnamenti di Martinez ai quali aggiunge le proprie vaste conoscenze esoteriche e scientifiche, contribuendo alla completezza degli studi tradizionali dell'Ordine e alla sua diffusione nei paesi del nord Europa in generale e in Russia in particolare, dove, ancora oggi, sono presenti molte Logge Martiniste di chiara impronta willermozista. È il 1780 quando giunge in Italia al seguito di Saint-Martin per fondare le prime due logge delle quali i documenti dell'epoca dànno notizia: una a Torino e una a Napoli. Tuttavia, i divieti politici ispirati dal papato faranno sì che a partire dal 1790 ogni attività Martinista venga pubblicamente sospesa limitandosi a propagarsi nella clandestinità fino alla metà del 1800.Ma come vedeva la riconciliazione questo personaggio che era nel contempo cristiano, massone e martinista? Ce lo dice A. Yoly nel suo "Un mistico lionese":"...Willermotz insegna che l'uomo fu creato a immagine e somiglianza di Dio, superiore a tutta la natura spirituale, temporale e materiale, potente in tutta l'accezione del termine, per poter essere un 'mezzo di riconciliazione per il principio del male', ma che, avendo fallito la sua missione e per la sua prevaricazione, è stato punito con la morte spirituale. Dopo la sua caduta tuttavia non è divenuto un essere passivo e 'mostruoso' a causa dell'alleanza dello spirituale e del materiale che costituisce la sua natura degradata. Il suo crimine è la sorgente di tutti i mali che affliggono l'umanità. L'uomo non ha che uno scopo, quello di riconciliarsi. Questo scopo non è impossibile sia perché 'Adamo' ha ricevuto dei 'soccorsi potentissimi', sia perché successivamente l'opera del Cristo Divino Riparatore Universale e il suo insegnamento - il cui senso segreto è conosciuto dai soli discepoli - ci ha aperto la Via e ci promette il successo. Gli emblemi massonici si rapportano a questa mistica e debbono essere interpretati in questo senso. Il Tempio di Salomone, secondo il piano misterioso ricevuto da David, è eseguito da Salomone con l'aiuto di Hiram e dei primi Massoni. Esso è costruito ad immagine dell'uomo e dell'universo. Studiare i simboli del Tempio è studiare l'uno e l'altro".



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Relazione spirituale.

Una relazione spirituale è una relazione in cui si aspira a vedere il divino nell’altra persona. A sperimentare l’unicità dell’uno attraverso l’unione di due. 
Diventiamo pronti per questo tipo di relazione sacra in un preciso momento della nostra vita cioè quando abbiamo risvegliato la spiritualità dentro di noi
Quando arrivi a realizzare che non sei solo un corpo, che sei, di fatto, l’essenza dell’amore e della verità, un profondo desiderio di conoscere te stesso come amore, di sperimentare l’amore nelle tue relazioni, si affaccia. E così, nasce il desiderio di un a relazione spirituale, sacra. 
Esistono quattro regole importanti su una relazione spirituale:

1. Una relazione spirituale non è ciò che ti aspetti che sia.

La sacralità non è un concetto, il che significa che ha poco a che fare con la mente analitica. In effetti, quando la razionalità cerca di comprendere ciò che è spirituale va facilmente in corto circuito. 
Ciò accade perché la mente funziona con dualità da un punto di vista di separazione. La spiritualià, d’altro canto, esiste oltre la separazione. Al di là della mente, al di là del pensiero razionale. 
La spiritualità ha a che vedere con ciò che si sente. E’ una conoscenza che vive nel profondo; la conoscenza intuitiva di chi davvero sei. 
Tutti i concetti sulle relazioni spirituali non sono appunto che questo: concetti. La mente ama categorizzare e definire cosa una buona e divina connessione spirituale sia ma lo fa attraverso il suo solito modo duale cioè distinguendo ciò che è buono da ciò che è cattivo. Così manca completamente l’obiettivo. 
Se c’è qualcosa che una relazione spirituale è, è tutto! Non si presenta in un certo preciso modo, è ciò che si sta manifestando davanti a te, qui ed ora! Non può essere più sacra di così! 
Nulla priva una relazione della sua carica spirituale più delle definizioni e delle etichette. Queste cose ti fanno sprofondare nel tuo ego, rendendoti cieca alla divinità del momento presente. La spiritualità emerge solo quando usciamo dalla nostra mente e ci tuffiamo nell’adesso. 

2. Una relazione sacra non è sempre ciò che vuoi.

A volte diciamo sacro o spirituale per intendere esattamente ciò che voglio. E’ comprensibile che questo accada. Ovviamente tutti vogliamo che le cose siano esattamente ciò che vogliamo! Ma questo non c’entra con la spiritualità. La sacralità è sperimentare l’assenza di divisioni. Nessuna resistenza a ciò che è. Nessuna tensione. Piena accettazione.
Questa pace che va al di là di ogni comprensione arriva quando smettiamo di lottare contro ciò che è. In una relazione sacra “essere con ciò che è” è qualcosa di cui fai esperienza. Spesso. 
Questo significa eliminare ogni resistenza a qualsiasi cosa emerga nella relazione. Questo non significa che quella cosa dovrà piacerti o che ti ci troverai a tuo agio. Ma se comprendi l’essenza della sacralità, sai anche che nulla ti accade nella tua realtà se non sei tu ad invitare questa cosa. La sacralità emerge quando diventi curioso sui modelli, le energie, le emozioni, i pensieri e le esperienze che si affacciano quando ti leghi ad un’altra persona. Questo ti porta a comprendere te stesso più profondamente.
La sacralità emerge nella relazione quando la senti come qualcosa di positivo. Ed emerge dal fatto di comprendere che la relazione è un riflesso di te. 



3. Una relazione sacra riflette il fatto che tu incarni la sacralità.

Vediamo la sacralità quando la incarniamo. Vediamo completezza, amore, appagamento, completamento, quando noi stessi incarniamo queste qualità. E vediamo separazione, limitazione, competizione e disprezzo, quando incarniamo la separazione. 
Tu vedi attraverso ciò che sei.
Più ti impegni a sostenere la tua relazione interiore con la sacralità, più attrarrai e creerai sacralità nelle tue relazioni. Più il tuo amore cresce, più vedi l’amore manifestarsi nella tua vita. E’ una equazione molto semplice.
Chi cerca una relazione spirituale ma non riesce a trovarne una automaticamente vede il mondo attraverso gli occhi della separazione. Se non stai sperimentando sacralità, connessione e appagamento nella tua vita, per favore non cercarli in un’altra persona: sono dentro di te
Una volta che realizzi che la sacralità, innanzitutto e soprattutto, è dentro di te, a quel punto relazioni ricche d’amore iniziano ad affacciarsi nella tua vita. Vivendo la tua vera sacralità, realizzi che ciò che vedi fuori non è che un riflesso di te.

4. Tutte le relazioni sono sacre.

Penso che tutti abbiamo sentito questa affermazione prima. Tutte le relazioni sono spirituali. Ma come dicevamo all’inizio, questa non è una mera idea o teoria. E’ qualcosa che puoi comprendere usando la tua conoscenza più profonda. 
Ecco cosa vuol dire. Tutto ciò che esiste è una espressione, un passo, una manifestazione della Vita stessa. E’ la stessa cosa che dire che tutto sia espressione di una Fonte (di Dio, dello Spirito). Veniamo tutti dalla stessa fonte di energia. 
Questa Fonte, che coincide con noi, si esprime in molti modi diversi. In ogni modo, in effetti. Felice, triste, onesto, disonesto, connesso, distante, presente, assente. Sono tutte espressione della stessa Fonte, ciascuna sta danzando il suo proprio ballo. 
Un errore che spesso si fa è pensare che la sacralità sia qualcosa che fa stare sempre bene. Ma non è così. Sì, alcune espressioni della Fonte sono più consapevoli di altre; alcune sono più amorose, premurose. Ma ciò non le rende più sacre. La sacralità è il Tutto.
Proprio per questo, non può esistere una relazione che non sia sacra. O che sia un errore. Semplicemente, non sarebbe accaduta. 
Sono tutte sacre. Sono tutte un riflesso di te
Una relazione è sempre una opportunità unica di conoscerti attraverso una persona che ami. Puoi apprezzare ed accettare questa relazione esattamente per ciò che è. Gloriosa, dinamica, sfidante, bella, esaltante, ferita, e così umanar e quindi lasciarti trasportare dall’incredibile sacralità della natura che ogni relazione ha.