domenica 26 marzo 2017

incontrare una fata

Un piccolo rito che vi aiuterà ad interaggire col mondo fatato, su internet se ne trovano tanti ma questo mi sembrava il più sensato con questo non voglio dire che non bisogna prendere tutto alla leggera le fate sono esseri liberi bisogna essere cauti e gentili in presenza di una creatura del regno fatato.

Se nel corso del rito senti di non riuscire a gestire tutto il potere è meglio chiudere tutto. Nel caso in cui accidentalmente si contatti un entità non propriamente benevola o dispettosa conviene concludere immediatamente la visita e questo può essere fatto sia usando le buone maniere ma se è necessario anche senza essere troppo cortesi.

Seguite alla lettere questi 12 passaggi per assicurarvi la riuscita dell'invocazione:

1) Concentrati sull'oscurità che si crea automaticamente chiudendo gli occhi.
2) Vedrai nell’oscurità, pian piano apparire come una sfera verde (questa è la luce del regno fatato)

3) Lasciati avvolgere da questa sfera magica, e abbandonati alla bellezza e alla magia che ti trasmette.

4) Assapora Questa magia per qualche minuto

5) Lascia che il potere delle fate ti rigeneri, ti purifichi e ti dia ciò di cui hai bisogno,lascia che la magia delle fate "lavori" in te.
6) Avvolta in quella nebbiolina verde carica di magia, invoca la fata; non domandare una visita (mai dare ordini a una fata!!) invitala gentilmente e con cortesia.
7) Accogli sempre con cortesia il tuo visitatore. Chiedi il suo nome e nel caso in cui non dovessi ricevere risposta, poni fine alla visita (in fondo quando incontri una persona nella vita di tutti i giorni e questa non ti dice il suo nome quando glielo chiedi è perchè ti nasconde qualcosa, giusto?)
8) Non fare mai promesse serie con le fate, loro prendono le promesse troppo seriamente, inoltre hanno un concetto completamente diverso di ciò che è giusto o sbagliato, bene o male per l'uomo.
9) Chiedile in modo chiaro e dettagliato ciò di cui hai bisogno

10) Ringrazia per la visita e per l’eventuale aiuto ricevuto. Non dimenticare di dire alla fata che lascerai fuori dalla finestra o dalla porta un dono per lei durante la notte(tra i doni più apprezzati ci sono: latte, miele, dolci, una pietra preziosa). A questo punto sarà la fata a decidere se diventare tua amica e soprattutto a decidere se lo sarà per un breve, un lungo periodo di tempo o addirittura per tutta la vita. Potrai usare questo rituale per incontrarla tutte le volte che vorrai.

11) Se nel corso del rito ti sei addormentata, lascia lo stesso un dono per la fata perchè tutto può essere accaduto a livello inconscio.
12) Al termine del rito ricordati di prendere contatto con la realtà perchè potresti essere in stati alterati di coscienza. Passa un pò di tempo a prendere contatto con il tuo corpo e se necessario fai un pò di esercizio fisico. Fai questo passo anche se ti senti super sveglia/o, al termine del rito. Le Fate, a qualunque classe appartengano e in qualunque dimensione vivano, sono indissolubilmente legate alla Natura e ai suoi Elementi, per cui tutto ciò che nuoce alla Natura in tutte le sue forme, nuoce anche agli Esseri Fatati.
In generale possiamo affermare che alcuni abitanti del Regno Feerico, più evoluti, sovraintendono al lavorìo costante di quegli “Spiriti” che operano in seno alla Natura (e, più in generale, in seno alla Materia), affinché avvengano quelle trasmutazioni che la rigenerano incessantemente.
Inoltre, spesso le creature del Regno Feerico, pur dimorando in una dimensione parallela a quella umana, proteggono e custodiscono certi siti terreni particolari, ovvero boschi, sorgenti, grotte, alberi secolari, rivestendo il ruolo di vere e proprie sovraintendenti ai beni Naturali di Madre Terra.
Pertanto, il più ovvio portale verso il mondo delle Fate è tutto attorno a noi, nella Natura. Ci sono erbe e piante che possono essere definite sacre alle Fate perché condividono una particolare affinità con i Regni Fatati, ma è importante ricordare che tutta la Natura è a loro sacra.
Le loro vite sono inseparabilmente, potentemente e poeticamente connesse con Madre Natura. La comprensione di questo profondo legame è il loro dono più prezioso per l’umanità.
Per le Fate gli arbusti assumono spesso un significato simbolico, e per questo motivo alcune di loro proteggono sia la singola pianta che l’intera foresta, anche a costo della loro stessa vita.
L’albero rappresenta per una fata o una ninfa una delle fonti da cui trarre preziose energie che consentiranno, a loro volta, sia lo sviluppo di alcuni poteri, che il continuo rinnovamento delle proprie forze. Si può ben comprendere a questo punto il forte legame che intercorre tra la Fata e gli alberi: essi possiedono una immensa energia vitale che solo le Fate sanno comprendere pienamente.

sabato 25 marzo 2017

Nietzsche e la psicoanalisi

L'eterno ritorno dell'uguale, più spesso detto soltanto eterno ritorno, in senso generale caratterizza tutte le ontologie circolari, come quella stoica, per cui l'universo rinasce e rimuore in base a cicli temporali fissati e necessari, ripetendo eternamente un certo corso e rimanendo sempre se stesso.
In senso più specifico l' eterno ritorno è uno dei capisaldi della filosofia di Friedrich Nietzsche. Il ragionamento che sta dietro al semplice - ma spesso incompreso - concetto di Nietzsche è il seguente:
In un sistema finito, con un tempo infinito, ogni combinazione può ripetersi infinite volte.
Ad esempio, tirando infinite volte tre dadi a sei facce, ognuna delle 216 combinazioni potrà comparire infinite volte.
Questa chiave di lettura risulta chiara dalla lettura di un passo dei Frammenti Postumi risalente al 1881, mentre è più criptico ed ermetico nei relativi riferimenti in La gaia scienza (1882) e in Così parlò Zarathustra (1885).
Nel caso specifico del discorso esistenziale, Nietzsche fa notare che (essendo le "cose del mondo" di numero finito, e il tempo infinito) anche nella vita umana questo concetto è applicabile: ogni evento che possiamo vivere, l'abbiamo già vissuto infinite volte nel passato, e lo vivremo infinite volte nel futuro. La nostra stessa vita è già accaduta, e in questo modo perde di senso ogni visione escatologica[2] della vita. In Così parlò Zarathustra Nietzsche mostra come il comprendere questo punto sia fondamentale nel processo di crescita spirituale che porta all'Oltreuomo. La caratteristica fondamentale dell'Oltreuomo sta proprio nella sua capacità di non pensare più in termini di passato e futuro, di principii da rispettare e scopi da raggiungere, ma vivere "qui e ora" nell'attimo presente.
L'eterno ritorno ne La gaia scienza
« Che accadrebbe se un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse: “Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione [...]. L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere!". Non ti rovesceresti a terra, digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato? Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immenso, in cui questa sarebbe stata la tua risposta: "Tu sei un dio e mai intesi cosa più divina"?[5]. Se quel pensiero ti prendesse in suo potere, a te, quale sei ora, farebbe subire una metamorfosi, e forse ti stritolerebbe; la domanda per qualsiasi cosa: "Vuoi tu questo ancora una volta e ancora innumerevoli volte?" graverebbe sul tuo agire come il pensiero più grande! Oppure, quanto dovresti amare te stesso e la vita, per non desiderare più alcun'altra cosa che questa ultima eterna sanzione, questo suggello? »
L'eterno ritorno nel Così parlò Zarathustra
« "[...] proprio dove ci eravamo fermati, era una porta carraia.
"Guarda questa porta carraia! Nano! continuai: essa ha due volti. Due sentieri convengono qui: nessuno li ha mai percorsi fino alla fine.
Questa lunga via fino alla porta e all'indietro: dura un'eternità. E quella lunga via fuori della porta e avanti è un'altra eternità.
Si contraddicono a vicenda, questi sentieri; sbattono la testa l'un contro l'altro: e qui, a questa porta carraia, essi convengono. In alto sta scritto il nome della porta: "attimo".
Ma, chi ne percorresse uno dei due sempre più avanti e sempre più lontano: credi tu, nano, che questi sentieri si contraddicano in eterno?".
"Tutte le cose diritte mentono, borbottò sprezzante il nano. Ogni verità è ricurva, il tempo stesso è un circolo".
[...] Ognuna delle cose che possono camminare, non dovrà forse avere già percorso una volta questa via? Non dovrà ognuna delle cose che possono accadere, già essere accaduta, fatta, trascorsa una volta?
E se tutto è già esistito: che pensi, o nano, di questo attimo? Non deve anche questa porta carraia esserci già stata? E tutte le cose non sono forse annodate saldamente l'una all'altra, in modo tale che questo attìmo trae dietro di sé tutte le cose avvenire? Dunque anche se stesso?
[...] E questo ragno che indugia strisciando al chiaro di luna, e persino questo chiaro di luna e io e tu bisbiglianti a questa porta, di cose eterne bisbiglianti non dobbiamo tutti esserci stati un'altra volta? e ritornare a camminare in quell'altra via al di fuori, davanti a noi, in questa lunga orrida via non dobbiamo ritornare in eterno?".
Così parlavo, sempre più flebile: perché avevo paura dei miei stessi pensieri e dei miei pensieri reconditi. E improvvisamente, ecco, udii un cane ululare.
Non avevo già udito una volta un cane ululare così? Il mio pensiero corse all'indietro. Sì! Quand'ero bambino, in infanzia remota: allora udii un cane ululare così. [...]
D'un tratto mi trovai in mezzo a orridi macigni, solo, desolato, al più desolato dei chiari di luna.
Ma qui giaceva un uomo! E proprio qui! il cane, che saltava, col pelo irto, guaiolante, adesso mi vide accorrere e allora ululò di nuovo, urlò: avevo mai sentito prima un cane urlare aiuto a quel modo?
E, davvero, ciò che vidi, non l'avevo mai visto. Vidi un giovane pastore rotolarsi, soffocato, convulso, stravolto in viso, cui un greve serpente nero penzolava dalla bocca.
Avevo mai visto tanto schifo e livido raccapriccio dipinto su di un volto? Forse, mentre dormiva, il serpente gli era strisciato dentro le fauci e lì si era abbarbicato mordendo.
La mia mano tirò con forza il serpente, tirava e tirava invano! Non riusciva a strappare il serpente dalle fauci. Allora un grido mi sfuggì dalla bocca: "Mordi! Mordi! Staccagli il capo! Mordi!", così gridò da dentro di me: il mio orrore, il mio odio, il mio schifo, la mia pietà, tutto quanto in me buono o cattivo gridava da dentro di me, fuso in un sol grido. [...]
Voi che amate gli enigmi!
Sciogliete dunque l'enigma che io allora contemplai, interpretatemi la visione del più solitario tra gli uomini!
Giacché era una visione e una previsione: che cosa vidi allora per similitudine? E chi è colui che un giorno non potrà non venire? Chi è il pastore, cui il serpente strisciò in tal modo entro le fauci? Chi è l'uomo, cui le più grevi e le più nere fra le cose strisceranno nelle fauci?
Il pastore, poi, morse così come gli consigliava il mio grido: e morse bene! Lontano da sé sputò la testa del serpente; e balzò in piedi.
Non più pastore, non più uomo, un trasformato, un circonfuso di luce, che rideva! Mai prima al mondo aveva riso un uomo, come lui rise!
Oh, fratelli, udii un riso che non era di uomo, e ora mi consuma una sete, un desiderio nostalgico, che mai si placa.La nostalgia di questo riso mi consuma: come sopporto di vivere ancora! Come sopporterei di morire ora! »
L'eterno ritorno nei Frammenti Postumi
« La misura della forza del cosmo è determinata, non è “infinita”: guardiamoci da questi eccessi del concetto! Conseguentemente, il numero delle posizioni, dei mutamenti, delle combinazioni e degli sviluppi di questa forza è certamente immane e in sostanza “non misurabile”; ma in ogni caso è anche determinato e non infinito. È vero che il tempo nel quale il cosmo esercita la sua forza è infinito[7], cioè la forza è eternamente uguale ed eternamente attiva: fino a questo attimo, è già trascorsa un’infinità, cioè tutti i possibili sviluppi debbono già essere esistiti. Conseguentemente, lo sviluppo momentaneo deve essere una ripetizione, e così quello che lo ha generato e quello che da esso nasce, e così via: in avanti e all’indietro! Tutto è esistito innumerevoli volte, in quanto la condizione complessiva di tutte le forze ritorna sempre »

Volontà di potenza
Il concetto di volontà di potenza (Wille zur Macht in tedesco), insieme a quello di superuomo, a quello dell'eterno ritorno e a quello della trasvalutazione di tutti i valori, è un concetto caratteristico della filosofia di Nietzsche. Esso è stato teorizzato in particolare nell'opera La volontà di potenza. Saggio di una trasvalutazione di tutti i valori, raccolta postuma di frammenti riuniti in modo arbitrario dalla sorella di Nietzsche, la quale ne condizionò in tal modo l'interpretazione portando al fraintendimento di quest'opera in ottica razzista e autoritaria.
Il concetto, mutuato probabilmente da Spinoza e da alcuni saggi di Emerson, come "Potenza" (Power, 1860), viene menzionato per la prima volta in Così parlò Zarathustra, per poi essere ripreso, almeno a margine, in quasi tutte le opere successive. Esso si rifà inoltre alla centralità della volontà nella filosofia di Schopenhauer, intesa come volontà di vita che si afferma al di là e al di sopra di ogni rappresentazione, nei singoli viventi, e che va convertita in noluntas, o non-volontà, mediante una sorta di percorso ascetico ispirato allo spiritualismo orientale.
La volontà di potenza è la volontà che vuole sé stessa, ovvero la volontà come perpetua trascendenza e rinnovamento dei propri valori. La volontà di potenza non si afferma dunque come desiderio concreto di uno o più oggetti specifici, ma come il meccanismo del desiderio nel suo stesso funzionamento incessante: esso vuole, continuamente, senza sosta, il suo stesso accrescimento, ovvero è pulsione infinita di rinnovamento. È evidente in tal senso il nesso profondo che lega il tema della volontà di potenza con quello del superuomo e dell'eterno ritorno: è caratteristico del superuomo, infatti, poter assumere su di sé con leggerezza tutto il peso di questa volontà creatrice, accettando e affermando nel contempo l'inesorabile ripetizione dell'attimo creativo, che soggiace alla teoria dell'eterno ritorno.
Apollineo e dionisiaco
Nietzsche mostra di interpretare la civiltà greca non tradizionalmente sulla base della calma grandezza e della nobile semplicità, così come aveva predicato il padre putativo del neoclassicismo, Winckelmann; e tale suo approccio nei confronti della Grecità si rivela nell'ambito dell'interpretazione del fenomeno tragico, che per Nietzsche è il più emblematico nella prospettiva della cultura greca, da lui definito come un qualcosa che agli occhi degli Ateniesi assumeva il significato di una festa eccezionale e lungamente attesa.
Secondo Nietzsche, l'animo dell'ateniese che assisteva alla tragedia aveva in sé qualcosa di quell'elemento originario da cui la tragedia era scaturita, ossia la componente dionisiaca. Essa viene interpretata come una forza metafisica originaria della Natura, come un impulso primaverile, che porta con sé il gioco con l'ebbrezza e la soppressione del principium individuationis; il risultato è dunque un saldo legame tra uomo e uomo, e anche tra uomo e Natura, la cui forza plasmante fa sì che ogni individuo partecipi dell'Uno-Tutto e diventi esso stesso opera d'arte.
Il dramma attico appare dunque come un culto naturalistico che, presso i popoli dell'Asia aveva il senso del più crudo scatenamento di bassi istinti, configurandosi come vera esperienza orgiastica e animalesca, in grado di spezzare nel contingente tutti i vincoli sociali, ma che nell'arte greca assume uno sviluppo differente mediante l'interazione dell'artista apollineo.
L'apollineo nel merito della tragedia greca incarna la componente formale-razionale; egli è il dio del sogno e l'arte apollinea è il gioco con il sogno, è il momento della rappresentazione della realtà e come tale implica una sorta di limitazione misurata, una forma di libertà dagli impulsi più selvaggi, portando con sé quella saggezza e quella calma peculiarmente ascrivibili alla sua solarità e alla sua essenza di dio plastico: con tali caratteristiche Apollo interviene dunque sul suo oppositore con il suo intelligente senso della misura, in maniera tale che esso non si accorga di andare in giro semiprigioniero.
È l'impronta del dio di Delfi a serrare nelle catene della bellezza l'istinto dirompente della divinità dell'ebbrezza. L'estasi dello stato dionisiaco determinerebbe una momentanea fuga dal mondo della realtà consueta che, riemergendo nuovamente alla coscienza, verrebbe sentita come nausea.
Nella consapevolezza del risveglio dall'ebbrezza si vedrebbe, secondo Nietzsche, tutto l'orrore e l'assurdità dell'esistenza umana, verso la quale si nutrirebbe disgusto.
In tale contesto si chiarisce dunque il fine precipuo dell'apollineo, la cui intenzione non è quella di reprimere o soggiogare l'istanza dionisiaca, bensì di sublimarla trasformando le sensazioni di nausea e orrore per l'assurdità dell'esistenza umana in rappresentazioni con cui sia possibile convivere; il sublime diventa infatti la rappresentazione dell'orrore, mentre il comico si configura come liberazione artistica del disgusto per il carattere assurdo della vita umana.
La tragedia greca è dunque un gioco con l'ebbrezza, ma non l'essere completamente divorati da essa, e se è allora che nell'attore si riconosce l'uomo dionisiaco, è pur vero che esso viene riconosciuto come uomo dionisiaco messo in scena; è in merito a ciò dunque che Nietzsche coglie il fine più alto della cultura apollinea nell'esigenza etica della misura.
Il grande merito riconosciuto da Nietzsche al dramma attico è quello di far convivere l'uomo con la chiara consapevolezza della nullità della sua esistenza, mostrata così come essa è, ma all'interno di una sorta di specchio trasfigurante.
Oltreuomo
Il concetto di oltreuomo (in tedesco: Übermensch) viene introdotto dal filosofo Friedrich Nietzsche. Benché in italiano sia soprattutto noto con il termine superuomo, la traduzione più coerente con il concetto di übermensch è, secondo molti studiosi oltreuomo;[senza fonte] chiarificando, peraltro, la congettura per cui l'oltreuomo è un uomo potenziato, laddove egli rappresenta invece l'uomo che va oltre i propri limiti. È una figura ideale, capace di riconoscere i propri limiti, e che, attraverso l'uso della conoscenza e del pensiero filosofico, li trascende superando in questo modo se stesso.
Esistono alcune concezioni diffuse, ma ritenute inesatte, su questa figura: in particolare che corrisponda all'ideale di razza pura del nazismo, oppure che sia affine ai supereroi dei fumetti. In realtà l'oltreuomo di Nietzsche è un ideale traguardo evolutivo della specie umana, senza particolari connotazioni biologiche, né tantomeno soprannaturali. Il pensiero di Nietzsche mira alla creazione di valori liberamente scelti dall'uomo e non a un potere legato alla discriminazione razziale.
Il superomismo, ossia l'atteggiamento di attesa di tipi umani superiori, non è stata comunque una novità assoluta introdotta da Nietzsche. Per esempio, già un autore amato da Nietzsche, Ralph Waldo Emerson, ispirandosi al culto degli eroi di Thomas Carlyle, parlava di una variegata serie di figure umane idealizzate come i "grandi uomini", gli "uomini rappresentativi", "il Poeta", il "Pensatore" il "semidio" ma anche l'uomo della potenza e della sovrabbondanza vitale, che Emerson chiamava plus man nel saggio Potenza. Probabilmente l'übermensch nietzschiano è stato mutuato da quest'espressione.[senza fonte]
Nella sua opera Così parlò Zarathustra (Also sprach Zarathustra) Nietzsche spiega i tre passi che l'essere umano deve seguire per divenire superuomo (uomo del superamento):
possedere una volontà distruttiva, in grado di mettere in discussione gli ideali prestabiliti;
superare il nichilismo, attraverso la gioia tragica e il recupero della volontà di potenza;
perpetrare e promuovere eternamente il processo di creazione e rigenerazione dei valori sposando la nuova e disumana dimensione morale dell' "amor fati", che delinea un amore gioioso e salubre per l'eternità in ogni suo aspetto terribile, caotico e problematico.

Maschera
Nietzsche e la sua filosofia hanno accompagnato per mano tutto questo secolo, con le loro contraddizioni, ma anche con le loro acute disillusioni e intuizioni. Il suo aspetto critico del costume e delle ipocrisie della mentalità tradizionale ci pone di fronte ad un atteggiamento di smascheramento della realtà da parte del filosofo. Proprio per questo, buona parte del discorso nietzscheano riguarda implicitamente la maschera.  Durante la sua opera viene espressa sotto forma di finzione, illusione, verità divenuta favola, in generale, rapportarsi dell'uomo col mondo dei simboli.
La maschera può essere sostanziale filo conduttore, perché sin dalle opere giovanili, nell'elaborazione di questo problema, Nietzsche va delineando i teoremi della sua filosofia. Da sempre questo, rappresenta il problema tra essere e apparenza, l'impossibilità di raggiungere uno stato di coincidenza assoluta tra essenza e coscienza, tra natura e spirito.
Nietzsche si pone nei confronti di questo problema innanzitutto in qualità di filologo, realizzando pienamente gli obbiettivi della filologia nei confronti dell'antichità classica, assumendola dunque come modello in vista di una critica sul presente. L'equilibrio della classicità, la sua perfezione di forma, il bilanciamento dei suoi contenuti sono stati sempre simbolo di coincidenza tra interno ed esterno, tra cosa in sé e fenomeno. Proprio grazie al suo sguardo critico e ad un primo segno di accordo con le teorie Schopenhaueriane, il filologo trova che non solo non vi è adeguazione reciproca tra essere e apparire, ma oltretutto si fa strada in lui la convinzione che il classico stesso sia una forma di reazione difensiva all'impossibilità oggettiva di questa coincidenza. 
Così i caratteri di equilibrio ed armonia, compiutezza e perfezione formale, risultano essere soltanto una maschera, apparenza di una cosa in sè che soffre di profonde dilacerazioni, e cambia il suo ruolo diventando peculiare configurazione dell'inevitabile divergenza tra le due nature della realtà. Nasce così un modo di vedere il mondo classico scisso nei suoi due volti, apollineo e dionisiaco. Ne La nascita della tragedia Nietzsche comincia a considerare infatti anche la natura più oscura delle cose e, sempre nel contesto della classicità, individua gli elementi di squilibrio che si contrappongono alla perfezione ed al rigore ellenico. C'è l'introduzione di una chiave di lettura dualitaria della grecità, che N. scorge già in Natura, espressione di due impulsi dell'anima.
Il dionisiaco, dunque, che scaturisce dalla forza vitale e dal senso caotico del divenire, si esprime artisticamente nella musica. L'apollineo, che scaturisce da un atteggiamento di fuga di fronte al flusso imprevedibile degli eventi, si esprime artisticamente nelle linee armoniche dell'arte plastica e dell'epopea.
N. modifica profondamente il contenuto della nozione di classico, poiché riconosce l'apparente equilibrio nell'apollineo solo come una particolare forma di maschera che l'antica civiltà greca si era costruita per distrarre se stessa da un lato grigio e sempre presente che veniva formalmente rifiutato. Una maschera per nascondersi dall'origine dionisiaca della sensibilità greca, portata a scorgere ovunque il dramma della vita e della morte, e gli aspetti orribili e assurdi della crudele vicenda dell'essere. L'apollineo dunque nasce per N. nel tentativo di sublimare il caos nella forma, esorcizzare la mancanza di certezze e rendere accettabile la vita.
Gli stessi dèi olimpici nient'altro sono per lui, che una trasposizione degli uomini mitico-ideale, nata per superare la paura della dolorosa caducità dell'essere-uomo.
Divise inoltre secondo questa nuova chiave di lettura il mondo ellenico in tre periodi:
- la Grecia presocratica, nella quale dionisiaco e apollineo vissero separati ed opposti
- il periodo della tragedia attica, apollineo e dionisiaco, si armonizzarono fra di loro dando origine a capolavori sublimi, nella grande tragedia greca convissero infatti musicalità e forma
- ed infine un terzo periodo nel quale con l'avvento di Euripide scompare dal teatro la figura dell'eroe a favore dell'omuncolo, e con Socrate il mondo prende ad essere visto tramite il pallido ideale della ragione in una visione serena e misurata lasciando decadere il sentimento tragico. 
Come già detto, in qualità di studioso dell'antichità, si pone nei suoi confronti con un atteggiamento che sintetizza i tre da lui analizzati: monumentale, archeologico e critico, specialmente utilizzando il primo di questi, che tende a continuare a cercare esempi e modelli nel passato per la vita presente. E' di fronte a questi modelli, seppur criticati, che la vita presente si caratterizza come decadenza. Decadenza come mancanza di un'unità di stile. N. vede l'uomo del suo tempo avvolto da una globale incoerenza tra forma e contenuto, da cui ogni forma risulta poi a tale uomo e al filosofo che osserva nient'altro che travestimento.
Specificatamente nella Nascita della tragedia,  la maschera è attribuita al dolore e alla sofferenza stessa dell'uno primordiale, della volontà, in pieno accordo o quasi con la teoria di Schopenhauer.
Più avanti, il pensiero di questo travestimento verrà riformulato, esso non sarebbe qualcosa che ci appartiene naturalmente, ma si assumerebbe deliberatamente in vista di qualche scopo, o da qualche bisogno. Nell'uomo moderno il travestimento viene assunto per combattere uno stato di paura e di debolezza. La malattia storica, cioè la consapevolezza del carattere diveniente delle cose, ha reso l'uomo incapace di creare la storia, per via dell'insicurezza delle proprie decisioni e il terrore di assumersi responsabilità storica. 
Cristianesimo
Nietzsche si colloca fuori dai principali movimenti filosofici dell'epoca, quali il romanticismo e il positivismo, anche se nella sua opera si possono riscontrare elementi romantici. Egli sostiene di non essere un uomo ma una dinamite, poiche' si sentiva come il distruttore di tutto cio' che e' razionale e di tutti i valori. Quella di Nietzsche, va considerata una filosofia della crisi poiche', con la distruzione di tutti i valori egli vuole giungere ad un mondo senza trascendenza; egli infatti nei suoi scritti critica soprattutto Platone, che ha introdotto l'idea di trascendente.
Nietzsche, nella “Nascita della tragedia, parte dalla distinzione fra spirito Dionisiaco ed Apollineo ovvero il contrasto fra caos e forma ed istinto e ragione, ovvero le coordinate di fondo dello spirito Greco.
Il Dionisiaco, forza vitale e divenire, l'ebbrezza continua, si esprimeva nel mondo Greco nella musica, mentre l'Apollineo, atteggiamento di fuga di fronte agli eventi imprevedibili della vita, si esprimeva nella scultura e nell'epopea. Lo spirito apollineo e' rappresentato dalla figura di Socrate, mentre l'apollineo da quella di Calli. Nietzsche insiste sul carattere originariamente Dionisiaco dei Greci portati a scorgere ovunque il dramma della vita e della morte. Per Nietzsche la tragedia nasce appunto dalla fusione fra lo spirito Dionisiaco e Apollineo (Sofocle ed Eschilo) ma col passare degli anni, nell'arte successiva l'Apollineo trionfa sul Dionisiaco (Euripide). Particolarmente duro e' il giudizio di Nietzsche su Socrate visto come il campione dello spirito Apollineo, che con il suo intellettualismo astratto ha dato avvio alla decadenza del popolo greco. Per Nietzsche Dioniso e' il simbolo dell'esaltazione entusiastica della vita e del mondo. Non rappresenta, come lo spirito Apollineo, un atteggiamento di rassegnazione al dolore della vita ma, al contrario, un'accettazione totale di essa nell'insieme dei contrari che la caratterizzano il che, a detta di Nietzsche, puo' trasformare il dolore in gioia. Nell'accettare lo spirito Dionisiaco Nietzsche propone un rinnovo della tavola tradizionale dei valori. Non piu', infatti, valori di rinuncia, ma passioni che dicono si alla vita e al mondo. Da qui la polemica contro la morale ed il Cristianesimo. Nietzsche, infatti, mette in discussione la morale stessa cercandone in primo luogo la genesi psicologica. Secondo Nietzsche la morale discende dalla presenza in noi delle autorita' sociali. Nel mondo classico la morale di tipo cavalleresco e' improntata su valori vitali (la morale dei signori) ma con l'avvento del Cristianesimo si passa ai valori di antivitalita' ovvero di abnegazione e sacrificio (morale degli schiavi). Il passaggio da una morale all'altra si ha a causa della divisione in caste: la casta dei guerrieri (aristocratici) che coltivava le virtu' del corpo e la classe dei sacerdoti (i farisei) le virtu' dello spirito il risentimento dei sacerdoti porta all'inversione della tavola dei valori: al corpo e all'orgoglio si sostituiscono lo spirito e l'umilta'. Questo porta alla nascita del Cristianesimo che inibisce gli impulsi dell'esistenza con il peccato e il senso di colpa che porta l'uomo alla repressione e all'auto tormento.
Nietzsche a questo punto propone quindi una nuova tavola di valori a misura dell'esistenza terrena e di corpo dell'uomo, basata sull'accettazione totale dello spirito Dionisiaco della vita. A questo punto Nietzsche popone la sua teoria piu' famosa: la morte di Dio. Dio e' morto in quanto lo hanno ucciso gli uomini. Per Nietzsche, infatti dio e' il simbolo della prospettiva antivitale e antimondana dell'uomo, che pone il suo stesso essere fuori da se, personificando le certezze dare un senso alla sua vita. L'uomo costruisce quindi Dio per sopportare la durezza della vita, quindi esso non rappresenta altro che una fuga dal mondo e dalla vita stessa. Nietzsche non tenta di confutare filosoficamente la non esistenza di Dio, affermando che esso e' menzogna, mera espressione della paura dell'uomo di fronte alla vita. La morte di dio porta la perdita da parte dell'uomo, di ogni punto di riferimento, l'uomo si trova dunque solo. Cio' porta la nascita del Super uomo ( o altrimenti detto oltre uomo). Il super uomo rappresenta colui che e' in grado di accettare completamente lo spirito Dionisiaco della vita, un anticonformista capace di sopportare le conseguenze della morte di Dio. Il modo di essere del super uomo si esprime nella volonta' di potenza, il suo fine ultimo e' la terrestrita', i piaceri della vita. Nietzsche anche se critica il Cristianesimo, esalta la figura di Cristo che vede come un anticonformista che proprio per questo e' morto sulla croce. Questa teoria ha un carattere molto ambiguo. Il superuomo, infatti, puo' rappresentare una societa' liberata (secondo un'interpretazione di Sinistra) o un elite di uomini (interpretazione di Destra). Tipico modo di essere del super uomo e' la volonta' di potenza, che rappresenta il continuo superamento che la vita fa di se stessa.
Ma la teoria meno chiara di Nietzsche e' quella dell'eterno ritorno ovvero dell'eterna ripetizione dei fatti del mondo. Essa rappresenta un'ulteriore distinzione fra l'uomo e il super uomo. L'uomo, infatti viene assalito dalla paura e dall'angoscia, mentre il super uomo che ha accettato la vita e' investito dalla gioia. Questa teoria e' esplicitata in così parlo' Zarathustra ( il cui motto era vivi e fa quel che ti piace).
Critica i positivisti che vogliono ordinare la realta', che a volte, per Nietzsche, e' anche caos e disordine, ne critica inoltre la ragion quadra che guada il mondo come un ordine unitario.
Per Nietzsche non vale la regola L'arte per l'arte, in quanto il fine dell'arte non deve essere l'arte stessa, ma la felicita', la promessa di un esistenza, piena e compiuta. L'arte e' il mezzo per superare tutto cio' che intende deprimere l'uomo.
LO SPIRITO LIBERO
Vien detto spirito libero colui che pensa in modo diverso da come ci si aspetterebbe in base alle sue origini, al suo ambiente, al suo ceto sociale e al suo ufficio, o in base alle opinioni dominanti. Egli è l'eccezione, gli spiriti vincolati sono la regola; questi gli rimproverano che i suoi liberi principi derivano dalla smania di farsi notare, o addirittura che lasciano supporre azioni libere, azioni cioè incompatibili con la morale vincolata. Talvolta si dice altresì che questi o quei liberi principi sian da ricondurre a stravaganza o a ipertensione della mente; ma così parla solo la cattiveria, che non crede essa stessa a quanto dice ma pure vuole, in tal modo, nuocere: poiché la testimonianza della maggiore bontà e acutezza d'intelletto dello spirito libero gli sta normalmente scritta in viso, così leggibile che gli spiriti vincolati la capiscono benissimo.
Poiché consapevole della complessità delle motivazioni e della molteplicità dei punti di vista è avverso a ogni fanatismo di chi pretende possedere la verità assoluta, e cioè dell'uomo delle convinzioni, che è esponente dell'età arretrata dell'innocenza teoretica. Scegliere la libertà dello spirito comporta dunque abbandonare costantemente i nostri ideali, diventando traditori e commettendo infedeltà, ("per aver giurato fedeltà, forse a un essere del tutto immaginario come un dio, per aver dato il proprio cuore a un principe, a un partito, a una donna, a un ordine sacerdotale, a un artista, a un pensatore, in uno stato di cieca illusione che ci rapiva e ci faceva apparire quegli esseri come degni di ogni venerazione, di ogni sacrificio, si è ora indissolubilmente vincolati? Anzi, non abbiamo allora ingannato noi stessi? Non era quella una promessa ipotetica, con la seppur tacita presupposizione che quegli esseri, ai quali ci consacravamo, fossero realmente come apparivano alla nostra immaginazione? Siamo tenuti a restar fedeli ai nostri errori, anche rendendoci conto che con questa fedeltà danneggiamo il nostro io superiore? - No, non esiste nessuna legge, nessun dovere di questo tipo; noi dobbiamo diventare traditori, commettere infedeltà, sacrificare di continuo i nostri ideali"), e rinunciare senza rammarico e senza risentimento, a quasi tutto quello che ha importanza agli occhi degli altri per un sollevarsi libero e senza paura al di sopra di uomini, costumi, leggi e tradizionali valutazioni delle cose che consenta di superare i limiti dell'individualità comprendendo e vivendo in sé l'intera coscienza dell'umanità.
Lo spirito libero assume come obiettivo della propria vita la "conoscenza". Disprezza perciò l'attivismo dell'uomo contemporaneo, dominato dal capriccio di passioni mutevoli e prigioniero di convinzioni dogmatiche; sono forse i vantaggi dei nostri tempi a portar con sé una diminuzione, e talora una sottovalutazione, della vita contemplativa. All'uomo attivo manca il tempo per pensare e la calma nel pensare; non si prendono più in considerazione quelle idee che esulano dalla norma: ci si limita a odiarle. Nell'enorme acceleramento della vita, occhio e spirito si abituano a vedere e a giudicare a metà o in modo errato, e ognuno assomiglia a quei viaggiatori che fan la conoscenza di un paese o di un popolo dal treno. Agli uomini attivi di solito fa difetto l'attività più alta: voglio dire quella individuale. Essi sono attivi come funzionari, commercianti, dotti, cioè come esseri generici, non come uomini affatto determinati, singoli, unici; sotto questo punto di vista sono pigri. E' la disgrazia degli attivi, il fatto che la loro attività sia quasi sempre un po' insensata. Non si può ad esempio chiedere, al banchiere che ammucchia denaro, lo scopo di quella sua incessante attività: essa è insensata. Gli attivi rotolano come rotola la pietra, con meccanica stupidità. Tutti gli uomini si dividono, in ogni tempo e anche oggi, in schiavi e liberi: chi, infatti, non ha per sé i due terzi della sua giornata, è uno schiavo, qualunque cosa sia politico, commerciante, funzionario, dotto.
Su ogni cosa sulla quale sia possibile avere opinioni, ciascuno debba possedere un'opinione propria, in quanto egli stesso è qualcosa di particolare e di irrepetibile, che assume, rispetto a tutte le altre cose, una posizione nuova e mai esistita prima. Ma la pigrizia che giace in fondo all'anima dell'uomo attivo gli impedisce di macinar la farina del suo sacco.
La libertà da ogni certezza illusoria, acquisita mediante il sapere, condanna lo spirito libero alla solitudine, ma non alla tristezza e all'infelicità. Si allontana dunque dall'uomo attivo, e vive totalmente assorto in una solitudine da cui sa attingere letizia intellettuale. La solitudine renderà nobile la sua anima, e cioè capace non tanto di voli alti, quanto di vivere in un ambiente ricco di purezza, moderazione, mitezza, carattere, apportatore di felicità e irradiante felicità; gli consentirà di sperimentare una gioia nutrita da grandezza, calma, solarità, qualità intellettuali provenienti da pensieri che elevano, tranquillizzano e illuminano; e di procedere, nella ricerca della filosofia del mattino, con una passo lieve, quasi senza rumore, fiducioso e spedito, mentre la luce del sole gioca nel suo profondo.
Accortezza degli spiriti liberi. - Uomini di sentimenti liberi, che vivono solo della conoscenza, si troveranno presto ad aver raggiunto lo scopo esteriore della loro vita, la posizione definitiva nei confronti della società e dello Stato, e si sentiranno ad esempio ben soddisfatti di una piccola carica o di una sostanza che basti appunto a vivere; infatti essi regoleranno la propria esistenza in modo che nessun grande mutamento dei beni esterni né alcun sovvertimento dell'ordine politico possano coinvolgere la loro vita. In tutte queste cose essi spendono la minore energia possibile, per potersi immergere, con tutta la forza così risparmiata, e per cosi dire con un lungo respiro, nell'elemento del conoscere. Così possono sperare di immergersi in profondità e di guardare anche sul fondo. Di un avvenimento, un tale spirito prenderà solo un lembo: non ama le cose in tutta l'ampiezza e prolissità delle loro pieghe, poiché non vuole lasciarsene coinvolgere. - Anch'egli conosce i giorni feriali della mancanza di libertà, della dipendenza, dell'asservimento. Ma di tempo in tempo deve giungere anche per lui una domenica di libertà, altrimenti non sopporterà la vita. E possibile che anche il suo amore per gli uomini sia cauto e di breve respiro, perché egli vuole abbandonarsi al mondo delle inclinazioni e della cecità solo quel tanto necessario al fine della conoscenza. Deve confidare che il genio della giustizia dirà qualcosa a favore del suo discepolo e protetto, se voci accusatrici dovessero chiamarlo privo d'amore. - C'è, nel suo modo di vivere e di pensare, un raffinato eroismo, che disdegna di offrirsi alla grande ammirazione delle masse, come fa il suo più rozzo fratello e suole andare silenzioso per il mondo e via dal mondo. Quali che siano i labirinti che attraversa, gli scogli tra i quali si è talvolta tormentato il suo corso, se torna alla luce prosegue chiaro, lieve e quasi senza rumore per la sua via, e lascia che la luce del sole giochi sin nel suo profondo.
Avanti. - con ciò, avanti sulla strada della saggezza, di buon passo e con fiducia! Comunque tu sia, servi a te stesso come fonte di esperienza! Sbarazzati del malcontento sul tuo essere, perdonati il tuo io, giacché in ogni caso hai in te una scala dai cento gradini, sulla quale puoi salire verso la conoscenza. L'epoca in cui con rincrescimento ti senti precipitato, ti chiama beato per questa fortuna; ti grida che sarai ancora partecipe di esperienze alle quali uomini di epoche più tarde dovranno forse rinunciare. Non disprezzare di essere stato ancora religioso; valuta appieno quale genuino accesso tu abbia ancora avuto all'arte. Forte appunto di queste esperienze, non puoi tu percorrere con maggior consapevolezza enormi tratti del cammino dell'umanità passata? Non sono forse cresciuti proprio su quel terreno che a volte tanto ti spiace, sul terreno del pensiero impuro, molti dei frutti più splendidi della vecchia cultura? Non si può diventar saggi, se non abbiamo amato arte e religione come madre e nutrice. Ma si deve guardare al di là di esse, sapersene svezzare; se si rimane in loro balia, non le si può comprendere. Così pure ti debbono essere familiari la storia e il cauto gioco con i piatti della bilancia: "da una parte - dall'altra". Torna indietro, calcando le orme sulle quali l'umanità fece il suo grande, doloroso cammino nel deserto del passato: così apprenderai nel modo più sicuro in quale direzione l'umanità futura non dovrà o non potrà più andare. E mentre con tutte le tue forze vorrai spiare in anticipo in quale nodo il futuro sarà ancora annodato, la tua vita acquisterà valore di strumento e mezzo per la conoscenza. E' in mano tua far sì che tutto quel che hai vissuto: tentativi, vie false, errori, illusioni, passione, amore e speranza, si dissolvano nel tuo fine senza resti. Questo fine è di diventare tu stesso una necessaria catena di anelli della cultura, e di concludere da questa necessità alla necessità del cammino della cultura universale. Quando il tuo sguardo sarà divenuto forte abbastanza da vedere il fondo dell'oscuro pozzo del tuo essere e delle tue conoscenze, allora forse, nel suo specchio, per te saranno visibili anche le lontane costellazioni delle culture di domani. Credi che una vita simile, con uno scopo simile, sia troppo faticosa e priva di vantaggi? Allora non hai ancora imparato che non esiste miele più dolce della conoscenza, e che le nubi minacciose della desolazione dovranno esser per te la mammella da cui mungere latte per il tuo ristoro. Solo quando sarà sopraggiunta la vecchiaia capirai veramente come tu abbia ascoltato la voce della natura, di quella natura che per mezzo del piacere domina il mondo: la stessa vita che ha il suo culmine nella vecchiaia, ha il suo culmine anche nella saggezza, in quel mite splendore solare di una costante letizia dello spirito: l'una e l'altra, vecchiaia e saggezza, tu le incontri su un solo versante della vita: così ha voluto la natura. Allora è tempo, né c'è motivo di adontarsene, che si avvicini la nebbia della morte. Verso la luce - il tuo ultimo movimento; un giubilo della conoscenza - il tuo ultimo grido.
Il viandante. - Chi sia giunto anche solo relativamente alla libertà della ragione, sulla terra non può sentirsi altro che un viandante, - anche se non un viaggiatore diretto verso un'ultima meta, che non c'è. Ma egli ben vuole guardare, e tener gli occhi aperti su tutto quel che veramente accade nel mondo; per questo non gli è consentito unire troppo strettamente il suo cuore a nessuna cosa particolare; dev'esserci in lui stesso qualcosa di nomade, che gioisca del mutamento e della provvisorietà. Certo, per un tale uomo giungeranno cattive notti, in cui sarà stanco e troverà chiusa la porta della città che dovrebbe offrirgli riposo; e forse, oltre a ciò, il deserto giungerà sino a quella porta, come in Oriente, e gli animali da preda urleranno ora lontano ora vicino, e si leverà un forte vento, e i ladri gli ruberanno le bestie da tiro. Allora la notte terribile calerà per lui sul deserto come un secondo deserto, e il suo cuore sarà stanco di peregrinare. Ma quando si leverà il sole del mattino, rosseggiante come una divinità della collera, la città si aprirà, e nel volto degli abitanti egli vedrà forse ancor più deserto, sporcizia, inganno, insicurezza che davanti alle porte - e il giorno sarà quasi peggiore della notte. Questo potrà ben succedere una volta al viandante; ma poi giungeranno a ricompensarlo i gioiosi mattini di altri paesi e di altri giorni, in cui già nel grigiore della luce egli vedrà passar danzando accanto a sé, nella nebbia dei monti, gli sciami delle Muse, e in cui poi, quando silenzioso, nell'armonia mattutina dell'anima, egli passeggerà sotto gli alberi, dalle vette e dai recessi delle fronde gli cadranno intorno solo cose belle e chiare, dono di tutti quegli spiriti liberi che stanno sul monte, nel bosco e nella solitudine e che, come lui, nel loro modo ora gioioso ora meditabondo, sono viandanti e filosofi. Nati dai misteri dell'alba, essi meditano come mai il giorno possa avere, tra il decimo e il dodicesimo tocco, un volto così puro, così trasparente, così serenamente radioso: - essi cercano la filosofia del mattino.
Il viandante sui monti a se stesso. - Ci sono segni sicuri del fatto che sei andato più avanti e più in alto: intorno a te c'è più spazio e la prospettiva è più ampia di prima, ti investe un'aria più fresca, ma anche più mite - infatti hai disimparato la stoltezza di scambiare mitezza e calore, il tuo passo si è fatto più vivace e fermo, coraggio e avvedutezza sono cresciuti insieme: - e per tutti questi motivi la tua strada potrà ora essere più solitaria, e in ogni caso più pericolosa di prima, benché, certo, non nella misura in cui credono coloro che ti vedono salire viandante dalla valle nebbiosa verso il monte.
IL CASO WAGNER
Dopo la Genealogia della Morale, s'inizia un periodo vivacemente polemico e genialmente paradossale in cui Nietzsche si fa il legislatore della propria profezia. La nudità psicologica si fa piú incisiva; la forma stilistica del pensiero nietzscheano diventa piú cruda e precisamente superba. Chi annuncia l'era tragica dell'Europa è compreso di una strana febbre di chiarezza e di orgoglio. Il celebre Caso Wagner, compiuto a Sils-Maria nel luglio del 1888, e apparso nelle librerie di Torino nel settembre dello scorso anno, riesce a far parlare le gazzette cosí squallidamente mute prima per Nietzsche, per il carattere pamphletaire di quest'opera del terribile specialista, per dirla alla Berthelot. Wagner è per Nietzsche artista moderno per eccellenza, senza natura, senza coltura, senza istinto. Ma Wagner ha saputo, con acutissima perspicacia, scoprire i bisogni, le necessità interiori, dell'anima de' suoi tempi. Wagner è un ciarlatano che ha suonato insieme tutte le campane: la brutalità, l'idiozia, l'artificio sono le sue armi. Il retore dell'arte massiccia, africanamente fantasioso, preziosamente orientale, informe, scompositore dello stile, col suo coraggio ha saputo teorizzare i propri difetti. Wagner, narcotizzatore misterioso, sbigottisce come un sogno cupo, come un incubo, le anime malate. Gli istinti nichilisti, la fatica, la morte sono glorificati dal Maestro che ha reso musicalmente l'antipotenza e l'antivolontà. Wagner è il decadente per eccellenza, quello che Nietzsche, nella "Volontà di potenza" definirà "un grande punto interrogativo del nostro secolo". La musica secondo Nietzsche é stata privata del suo carattere affermativo e trasfiguratore del mondo per diventare una vera e propria musica di decadenza e non più il flauto di Dioniso: in essa non é più insita una volontà di vivere che si estrinseca in ogni istante, bensì predominano i temi cupi di chi rifiuta la vita. Ed ecco che tutto "Il caso Wagner" non é altro che un enorme "problema musicale", come lo definisce Nietzsche stesso in "Ecce homo": e Nietzsche si proclama pronto a muover guerra contro Wagner, il suo grande amico del passato, schierando i campo i "pezzi più grossi della mia artiglieria". Nietzsche era particolarmente affascinato dalla musica in quanto forma artistica, per di più tipicamente dionisiaca ed egli arriva più volte a sostenere che l'arte sia più importante della verità (anche perchè, in fin dei conti, che cosa é la verità?). Il grande pensatore tedesco dice di disprezzare in Wagner l'eccessivo spirito religioso e l'antisemitismo sfrenato: e qui abbiamo la conferma decisiva dell'errata interpretazione nazista del pensiero nietzscheano che, indebitamente, lo ha sempre fatto passare per antisemita. Ma la critica aspra e polemica mossa al musicista tedesco non trova le sue radici in complessi edifici argomentativi, quanto piuttosto nel mettere in luce i danni arrecati da Wagner alla cultura tedesca: sì, perchè "Wagner non é un sillogismo, ma una malattia" che se non trattata con la giusta terapia può infettare l'intero mondo tedesco ed europeo. Ed ecco allora che troviamo Nietzsche nei panni di medico indaffarato a trovare un rimedio a questa malattia di nome "Wagner". Wagner secondo Nietzsche ha tutte le istanze dell'uomo moderno: il sovreccitamento e l'esaltazione, la pomposità delle rappresentazioni, il teatro rivolto alle masse, all' 'armento'. E strettamente congiunto alla decadenza wagneriana é l'idealismo stesso che caratteristica il musicista tedesco, il cercare in modo esasperato la redenzione dell'uomo (anche dalla donna!), la conoscenza. Wagner é poi imbevuto del pessimismo di Schopenhauer, da cui Nietzsche si é saggiamente distaccato. E poi non mancano le critiche all'ideale wagneriano secondo il quale la musica non sarebbe un punto di arrivo, ma solo un mezzo per arrivare oltre, a qualcosa di superiore: Nietzsche non può accettare questo, da grande estimatore dell'arte quale egli é: non vi é un "oltre la musica", non vi é una verità recondita cui l'uomo può accedere tramite le leggiadre sinfonie musicali: tutta la verità é insita nella musica stessa, massima espressione artistica di tipo dionisiaco. Certo, Wagner si può ammirare: è un seduttore in grande stile, convince gli incerti senza condurli alla consapevolezza di ciò che viene fatto loro credere, occulta il più nero oscurantismo nei luminosi involucri dell' "ideale". I giovani con Wagner diventano imbecilli, cioè "idealisti"; in questo senso Parsifal è un capolavoro. Dunque, l'adesione a Wagner deve far sì che la vita riesca in singoli individui, in singoli esemplari e non realizzi la felicità dei più, della maggior parte delle persone. Il "dramma di sè" deve essere "ritrovamento di sè". Occorre prendere potere su se stessi che significa anche prendere potere sui nostri "pro" e sui nostri "contro". Leggi ancora: "aver potere sul bene e sul male". Questo ci libera dall'obbligo di solidarizzare con gli altri i quali invece ostacolano proprio la formazione del super uomo. Nel 1854 Wagner si avvicina a Schopenhauer concependo il mito non solo come passato inverato dalla storia, ma come il presente che spiega il passato imperniando il dramma sull'azione negativa della volontà, poi supera Schopenhauer affermando la possibilità di un' azione redentrice. Rielaborando le antiche leggende dell' "Edda", del "Niebelungenlied", Wagner infonde nei personaggi uno spirito universale sì che l'angoscia degli dei antichi, le passioni dei nani e dei giganti, l'anima degli eroi si identificano con le nostre angosce, con le nostre passioni, con i nostri stessi ideali Due le idee madri in Wagner: l'idea di una caduta originale e quella di una redenzione. Il male entra nel mondo per una colpa, un fallo e fatalmente allarga il proprio influsso venefico fino a dominare tutti gli esseri viventi e persino gli stessi dei. La caduta da uno stato di innocenza e la coscienza della colpa spingono i personaggi wagneriani al bisogno di un riscatto: siamo alla vigilia dell'idea della redenzione. E poiché nessuno può essere nello stesso tempo colpevole e redentore, ecco allora profilarsi l'eroe redentore: l'uomo puro tra i puri potrà essere l'eroe degno della missione e riportare l'umanità alla purezza, perdonando e obliando la "caduta". Niente di più lontano da Nietzsche; il filosofo rifiuta decisamente l'equivalenza pena = colpa. E' vero che la sofferenza conferisce distinzione, virtù, valore e nobiltà, ma l'ascesi di Nietzsche ha un'altra direzione; ciò che è terribile è la mancanza di senso del dolore, è la sua gratuità che suscita ribellione. Occorre dunque trovarne una interpretazione. Poiché il senso del dolore ha varie interpretazioni, trovare il "senso in sé " è cosa che non esiste. E' compito rimesso a ciascuno di noi trovare l'interpretazione del nostro dolore personale. Solo così avrà "senso" per ciascuno di noi e ne renderà possibile l'accettazione. Dunque il dolore può assumere più forme perché di per sé non ha valore, ma riceve il valore di "riflesso", il valore che ogni uomo dà al proprio dolore. La sofferenza non deriva da colpa, c'è e basta; è la lotta titanica con il dolore che ci porta a rinascere alla vita. Morale, religione, metafisica sono solo giustificazioni. Il dolore ha senso nel preciso momento in cui io gliene do uno. Dice Nietzsche: "davanti al tiranno (dolore) io sono senza colpa". Profonde divergenze ideologiche e filosofiche allontanano quindi Nietzsche da Wagner, per quanto Nietzsche abbia indubbiamente sentito il fascino della musica wagneriana, e non solo. Già nel 1854 Nietzsche aveva composto al ginnasio alcuni brani musicali; nel 1860 aveva fondato l'associazione musicale e letteraria "Germania" per la quale il filosofo scriverà saggi, poesie, composizioni musicali. Dopo l'allontanamento da Wagner, Nietzsche farà l'elogio della Carmen di Bizet, dimostrando di amare un altro tipo di musica. Anche Wagner era stato grande ammiratore di Nietzsche fervente entusiasta allorché nel 1872 era uscita "la nascita della tragedia dallo spirito della musica". Persino Cosima Wagner riceve con gratitudine gli omaggi e le dediche letterarie e musicali che le indirizzò il filosofo. Ma già nel luglio 1876, quando esce la quarta "inattuale": "Richard Wagner a Bayreuth", il filosofo avverte il suo congedo da Wagner. Intanto le condizioni di salute di Nietzsche si aggravano sempre più e allorchè esce nel 1878 "umano, troppo umano", Cosima e Richard Wagner si chiudono in un silenzio ostile. Di lì a poco Wagner non esisterà più per Nietzsche se non nelle opere e nei brani che lo riguardano. Solo nel 1889, in piena crisi psichica e ormai prossimo al manicomio, Nietzsche ricorderà il nome Wagner, scrivendo a Cosima un biglietto "Arianna, io ti amo", paragonando Cosima ad Arianna. Si concluse erroneamente per un infelice amore di Nietzsche per Cosima Wagner; in realtà niente mostra tracce di un autentico amore ad eccezione di quel sentimento che legò Nietzsche al Lou Salomè, sua discepola e compagna dalla quale fu poi abbandonato.
Kant e Nietzsche
Tutta la critica di Nietzsche a Kant non è che una ripetizione, in nuce, della tesi fondamentale di Feuerbach, secondo cui il segreto della filosofia idealista è la religione cristiana. Nietzsche sarebbe dovuto oltre, equiparando p. es. la filosofia idealista alla filosofia borghese, ma non l'ha mai fatto. Non dobbiamo infatti dimenticare che se anche nella Prussia di Kant ed Hegel non si verificò una rivoluzione analoga a quella francese, i contenuti della loro filosofia erano sostanzialmente borghesi, non solo o non tanto perché influenzati dagli avvenimenti francesi e dall'avventura napoleonica, quanto perché le radici filosofiche dell'idealismo tedesco poggiavano su un avvenimento storico che fu caratterizzato soprattutto dal protagonismo della classe borghese: la riforma protestante.
Se avesse avuto più senso storico, Nietzsche si sarebbe facilmente accorto che in Prussia la filosofia aveva assunto una connotazione marcatamente idealistica proprio a motivo del fatto che la riforma protestante era stata tradita sul piano politico. Se non lo fosse stata, sarebbe non solo avvenuta molto tempo prima l'unificazione nazionale, ma molto probabilmente la filosofia tedesca, nell'800, avrebbe assunto una connotazione più politica, com'era appunto avvenuto in Francia.
Nietzsche riteneva che Kant avesse voluto ingiustamente ripristinare il primato della religione dal punto di vista della filosofia pratica, rendendosi conto che con la sola Ragion pura non si riusciva di fatto a superare la religione: tesi, questa, riscontrabile anche in Feuerbach e nella Sinistra hegeliana. Tuttavia Nietzsche non è mai riuscito a capire (diversamente da Marx, Bauer, Hess e altri ancora) che la realizzazione pratica della filosofia non poteva che essere quella politica e, in particolare (se si vuole superare la religione), solo quella rivoluzionaria.
La filosofia di Nietzsche rappresenta il tentativo, non riuscito, di superare i limiti dell'idealismo, ovvero l'astrattezza e il formalismo dei suoi valori, e soprattutto la pretesa illusoria di liberare l'uomo in virtù delle leggi della dialettica. Il tentativo non gli è riuscito proprio perché egli non ha mai considerato l'idea che il sistema sociale tedesco si servisse dell'idealismo proprio per mascherare le contraddizioni del capitalismo. ( Da questo punto di vista la filosofia inglese è sempre stata più coerente nel proprio cinismo; ha sempre cercato di riflettere nella maniera più adeguata possibile le caratteristiche della società borghese. Non è ricorsa a finzioni e inganni di matrice speculativa. Semmai l'ha fatto nell'economia politica, come Marx ha ben dimostrato).
Una filosofia che si presume rivoluzionaria come quella nicciana e che però non vuole legarsi alla politica, finisce con lo sposare la causa del mero individuo singolo e quindi con lo svolgersi in maniera del tutto irrazionale. In tal senso Nietzsche resta dentro l'alveo dell'idealismo, seppure in forma autodistruttiva.
Nietzsche è la testimonianza più eloquente di come una filosofia borghese che non voglia risolvere politicamente e in maniera rivoluzionaria (cioè in direzione del socialismo) le proprie contraddizioni antagonistiche, non possa che portare all'irrazionalismo.


Le critiche al positivismo
Karl Marx vede con lucidità i limiti del positivismo: se il progresso dell'umanità è assicurato da leggi scientifiche, esso è inevitabile e non necessita di una particolare attenzione da parte dei governi: il superficiale ottimismo sulle sorti del mondo ha dunque un ruolo politico e sociale sostanzialmente conservatore. La critica sociale, economica e politica di Marx è ben più incisiva, e individua nelle condizioni materiali della società i fattori che determinano il nostro modo di pensare. Il filosofo tedesco si fa interprete dei proletariato industriale, e dà una nuova dimensione alla filosofia: essa non può limitarsi a criticare il mondo, ma deve modificarlo.
L'ottocento si chiude con Friedrich Nietzsche: contro la pretesa del positivismo di dominare razionalmente la realtà, di spiegarla come progressione ordinata e lineare verso la perfezione, l'irrazionalismo di Nietzsche è l'espressione più compiuta dell'inquietudine e della crisi morale di tutta un'epoca.

Contro Socrate, Platone e il Cristianesimo
Secondo Nietzsche la decadenza è il rifiuto dell'amore per la vita e della creatività, della spontaneità del vivere naturale e nello stesso tempo "tragico", dunque dello spirito dionisiaco. Per lui colui che per primo ha condizionato negativamente la civiltà occidentale verso questo annullamento della vita è stato Socrate: il peccato di Socrate è di aver sostituito alla vita il pensare alla vita e la conseguenza di ciò è il non-vivere. Socrate ritiene che la ragione sia l'essenza dell'uomo e che le passioni, residuo di animalità, possano e debbano essere dominate. Per Socrate una vita fondata sulla ragione è una vita felice, mentre una vita dominata dalle passioni è destinata a dolorosi conflitti e turbamenti. Anche Platone ha indirizzato la vita verso un mondo astratto ed irreale, e in questo processo di decadenza si inserisce poi il Cristianesimo radicalizzandolo. Quest'ultimo ha prodotto un modello di uomo malato e represso, in preda a continui sensi di colpa che avvelenano la sua esistenza. Perciò l'uomo cristiano, al di là della propria maschera di serenità, è psichicamente tormentato, nasconde dentro di sé un'aggressività rabbiosa contro la vita ed è animato da risentimento contro il prossimo.
Più che contro la figura di Gesù Cristo (verso cui manifesta simpatia, considerandolo un "santo anarchico"), Nietzsche è polemico contro la Chiesa come istituzione politico-teocratica, sprezzante verso le sue regole e i suoi dogmi. Infatti in Così parlò Zarathustra egli dichiara: Vi scongiuro fratelli, rimanete fedeli alla terra e non credete a quelli che vi parlano di sovraterrene speranze, essi sono dispregiatori della vita, sono avvelenatori, che siano maledetti! Da ciò la proposta di Nietzsche di una trasmutazione o inversione dei valori. Si proclama egli stesso come il "primo immoralista" della storia; egli non intende tuttavia proporre l'abolizione di ogni valore o l'affermazione di un tipo di uomo in preda al gioco sfrenato degli istinti, ma contrappone ai valori antivitali della morale tradizionale una nuova tavola di valori a misura del carattere terreno dell'uomo. Il superuomo di Nietzsche è nato per vivere sulla Terra, la sua esistenza è interamente corpo, realtà sensibile. Infatti Zarathustra afferma io sono corpo tutto intero e nient'altro. L'anima, secondo Nietzsche, è solo una parola che indica qualcosa di interno al corpo, succube di questo, dominata e manovrata dalla ragione dello stesso: questa rivendicazione della natura terrestre dell'uomo è implicita nell'accettazione totale della vita che è propria dello spirito dionisiaco e del superuomo. La Terra non è più l'esilio e il deserto dell'uomo, ma la sua dimora gioiosa.


Nietzsche e Schopenhauer
Euripide strappa la tragedia dalle sue radici dionisiache. Il razionalismo socratico dissolve, spiegandoli, il mistero, al complessità e la passione che sono la tragedia stessa. In questo senso uccide la tragedia. Forse Nietzsche è stato ingiusto nei confronti di Euripide. Opere come la Medea, l'Ippolito, le Troiane dimostrano semmai l'impotenza della ragione e della giustizia di fronte al potere intossicante della passione. La importanza della interpretazione nietzscheana della tragedia greca, assolutamente originale rispetto alla tradizione occidentale e rispetto anche allo stesso Schopenhauer, delle cui lenti pur Nietzsche si serve nella sua analisi, risiede nella rivelazione trionfante della essenza dionisiaca della cultura ellenica.
Quando Nietzsche scrive la Nascita della tragedia (1872), il suo pensiero è fortemente influenzato dalla lettura di Schopenhauer, e ciò è ben visibile nell'uso del lessico, di particolari termini e nella insistenza su tematiche quali il desiderio, soprattutto sessuale, e la rappresentazione. La filosofia schopenhaueriana pervade anche opere come Verità e menzogna (1873) e La filosofia nella età tragica dei Greci (1873), fino al definitivo allontanamento, profondamente critico, in Il caso Wagner (1888), Il crepuscolo degli idoli (1888), e nei frammenti poi raccolti nella postuma Volontà di potenza.
Secondo Schopenhauer, il mondo è pura rappresentazione, rappresentazione della mente, dei nervi ottici e sensoriali. Pensare è sognare, illusione, velo di Maya. Come per la tradizione vedanta, per Pindaro, Sofocle, Platone, Shakespeare e Calderon, vita e sogno sono le pagine dello stesso libro, e la vita, come per i poeti, non è altro che un sogno prolungato. Ma nessuno può vivere un sogno senza aver sonno. Senza prima aver addormentato qualcosa che pulsa, spinge, contrae, turba, soffre, vuole, sveglia e vive dentro il corpo di ogni essere vivente: il desiderio, la volontà. È solo eliminando la volontà, quella forza brutale, informe e inseparabile dal corpo, in sé priva di qualsiasi intelligenza, di individuazione, fonte di ogni dolore, colpa e male, e, soprattutto, inesauribile, inappagabile, se non per brevi illusioni, che l'individuo è libero di contemplare la propria rappresentazione, senza desiderare, senza soffrire.
La volontà è priva di capacità creativa, artistica (capacità che si colloca nel campo della rappresentazione). La affascinante teoria della volontà è ciò che dà forma al celebre pessimismo schopenhaueriano, imbottito di richiami ellenistici, cristiani e orientali.
È a questo punto che Nietzsche gli si avvicina, per poi allontanarsene, sdegnato e pentito, intonando il suo canto alla strategia artistica della volontà creatrice, danzando come un satiro, nella ebbrezza di Dioniso.
Per Schopenhauer l'arte è una alternativa alla vita ascetica, che consente di liberare: liberare l'individuo dalla sofferenza, dalla passione, sublimate nella pura e ascetica contemplazione della bellezza, della forma astratta, retaggio kantiano, nella incoscienza, nella perdita della individuazione, sollecitando al contempo la simpatia e l'attitudine sociale tra tutti gli individui, accomunati dalla medesima schiavitù. L'arte occulta lo sguardo assatanato e la voce da sirena della volontà; li occulta dietro le note della musica, rappresentazione della volontà in movimento. L'arte è il sogno e il sonno, e nell'arte l'individuo si confonde come puro soggetto di conoscenza. La tragedia, in particolare, è per Schopenhauer, quella forma d'arte che più di tutte suggerisce all'individuo di liberarsi dalla volontà, semplicemente presentando con le parole e i fatti, con il sangue prima alluso (nella tragedia greca) e poi esibito (da Seneca), la tragicità e lo stupore di una esistenza condannata al desiderio.
Il dionisiaco e l'apollineo, in Nietzsche, sono la volontà e la rappresentazione della cultura greca. L'artista, per Nietzsche, è un satiro che danza sulle note dell'ebbrezza, e crea ciò che Apollo deve trasformare in arte, per rendere possibile, sopportabile e giustificabile la vita. L'arte non nasce dalla rinuncia, dalla contemplazione rassegnata, ma dalla perdizione totale, vitale e consapevole nel desiderio, nel bisogno.
L'arte come trasfigurazione dell'ebbrezza. Arte e nient'altro che arte! L'arte è desiderio di vita, è avviluppata al desiderio e alla vita. L'arte per l'arte, l'arte astratta, priva di sofferenza o di piacere, di desiderio, è come un verme che insegue la propria coda. L'arte è sana menzogna, è tellurica illusione. L'arte svela il senso della esistenza con una bugia, salva l'esistenza rincorrendo il desiderio del corpo, della sensualità. I satiri danzanti non sono gli animali accecati di Schopenhauer, sono sognatori. E l'eroe tragico, schiavo della passione, che osa e soffre della insensatezza del mondo, del divenire che la stessa opera tragica mette in scena, non produce rassegnazione, quanto piuttosto un sacro e corroborante senso di rispetto universale e di amore verso una esistenza così mutevole e così bella, dove la gioia va afferrata e divorata all'istante. Dove l'amore è la prova più meravigliosa di quanto lontano possa ballare il potere trasfigurante dell'ebbrezza.
L'amore, soltanto l'amore, creatura intelligente e delirante, è l'ebbrezza che giustifica la vita. E l'arte senza amore e senza ebbrezza è un inutile e virtuoso gracidio di rane nella loro palude. Lo spettatore della tragedia, intossicato da Dioniso, diventa opera d'arte e artista. E Nietzsche, che dal 1872 scrive, pensa e forse vive nel nome di Dioniso, è il primo filosofo della storia occidentale a rivelare e amare il potere di un'arte e di una cultura, quelle greche, vissute sempre nel nome di Dioniso.

venerdì 24 marzo 2017

cos'è la dmt?


La N,N-dimetiltriptammina (N,N-DMT o DMT) è una triptammina psichedelica endogena, presente in molte piante e nel fluido cerebrospinale degli esseri umani, sintetizzata per la prima volta nel 1931 dal chimico Richard Manske.
La DMT è presente in alcune varietà di mimosa, acacia, Anadenanthera, Virola, Desmodium, graminacee del genere Phalaris e molte altre piante e funghi. L'estrazione è possibile con alcuni solventi quali alcool, gasolio, esano oppure per distillazione. Nel bacino amazzonico alcuni popoli tribali hanno una tradizione di uso di piante contenenti DMT (utilizzando la linfa degli alberi Virola, parente della noce moscata, o i semi macinati e tostati di Anadenanthera peregrina, un enorme albero della famiglia delle Leguminose).
Strutturalmente la DMT è analoga al neurotrasmettitore serotonina, all'ormone melatonina e ad altre triptammine psicoattive come psilocibina, psilocina e bufotenina, avendo rispettivamente formula chimica 4-fosforilossi-N,N-dimetil-triptammina (4-PO-DMT), 4-idrossi-N,N-dimetiltriptammina (4-HO-DMT) e 5-idrossi-N,N-dimetiltriptammina (5-HO-DMT) ed ha un effetto quasi del tutto simile a queste, anche se differente per intensità.
Secondo Rick Strassman, medico specializzato in psichiatria che condusse numerose ricerche sulla DMT, la ghiandola pineale situata nell'encefalo è in grado di produrre più o meno blande quantità di DMT, specialmente intorno alle ore 3, 4 del mattino, durante la fase REM dei sogni.  Il DMT o dimetiltriptamina è un allucinogeno naturale la cui struttura chimica assomiglia a quella della psilocibina e della serotonina; esso è ubiquitariamente presente nel regno vegetale ed animale.
Come altri allucinogeni i sui effetti sono principalmente dovuti all’azione sui recettori serotoninergici 5-HT2a.
Questo allucinogeno è tuttora in uso nelle popolazioni indigene del bacino del Rio delle Amazzoni e viene assunto, a scopi rituali e religiosi, attraverso una bevanda chiamata “ayahuasca”, traducibile come vino dell’anima”; per quanto poco conosciuto in occidente la sua popolarità ed utilizzo ricreazionale è in aumento.
L’allucinogeno è normalmente assunto con una bevanda (un infuso) preparata utilizzando le foglie di Psychotria viridis assieme con gli steli della vite Banisteriopsis caapi (McKenna, 2004).
L’associazione è dovuta la fatto che se assunto oralmente, e da solo, il DMT verrebbe reso inattivo perché metabolizzato dalle MAO (monoamino ossidasi) a livello epatico ed intestinale; la presenza al contrario di alcune alcaloidi contenuti nel Banisteriopsis caapi (beta-carboline, soprattutto armina, tetraidroarmalina e armalina) inibiscono le MAO e quindi consentono che il DMT possa raggiungere intatto il Sistema Nervoso Centrale e determinare i sui effetti.
Gli effetti della bevanda hanno inizio entro 1 ora e si mantengono per circa 4 ore.
Se invece il DMT viene fumato i suoi effetti compaiono immediatamente, con un picco entro pochi minuti e con una risoluzione entro 30 minuti.
Data la brevità dei suoi effetti, a differenza delle 8-12 ore dell’LSD, in gergo il DMT fumato viene chiamato “il viaggio del pranzo degli uomini d’affari” (businessman’s lunch trip)
Lo studio riportato riferisce, in 121 soggetti australiani, la modalità di consumo, gli effetti soggettivi, gli atteggiamenti verso questo allucinogeno, attraverso le risposte ottenute con un questionario online.
L’uso del DMT in Australia potrebbe essere di particolare interesse data l’esistenza dell’allucinogeno in diverse specie native di acacia come anche per la presenza di una cultura musicale elettronica detta “bush doof” che con tale sostanza è spesso associata.
Tutti i soggetti avevano sperimentato l’allucinogeno almeno 1 volta nella loro vita.
Il fumo è la via di somministrazione (98,3%) più comune, assieme ad una percentuale relativamente più esigua che riferiva di aver bevuto la ayahuasca (30,6%).
Le ragioni della loro prima assunzione DMT erano: l’interesse generale per gli allucinogeni (46,6%) la curiosità per gli effetti specifici del DMT (41,7%), mentre quasi un terzo (31,1%), indicava possibili benefici psicoterapeutici della sostanza.
Un aumento della conoscenza psicospirituale è stato l’effetto positivo più comunemente riportato sia se il DMT era fumato (75,5%) o assunto con la ayahuasca (46,7%);
tale risposta è coerente con altri studi l'esame l'uso rituale di ayahuasca in un contesto religioso.
Anche se studi precedenti sull’uso DMT hanno esaminato esclusivamente quello attraverso la ayahuasca, il presente studio dimostra come il fumo sia la modalità prevalente tra gli utilizzatori a fini ricreativi.
L’effetto negativo più citato era relativo proprio alla differente via di assunzione utilizzata; con l’ayahuasca più spesso si presentano nausea e vomito (tra gli utilizzatori tradizionali “la purga” è intesa nel suo significato catartico e rigenerativo) mentre la tosse ed un sapore tipo plastica. Non ultimo, l’esperienza può condurre, come per altri tipi di allucinogeni, a “viaggi” cattivi con elevato negativo impatto psicologico.
La maggioranza degli intervistati considera il DMT relativamente sicuro.

I problemi sociali della religione

LA RELIGIONE raggiunge il suo massimo ministero sociale quando ha la minima connessione con le istituzioni secolari della società. Nelle epoche passate, poiché le riforme sociali erano limitate in larga misura al campo morale, la religione non doveva adattare il suo atteggiamento agli estesi cambiamenti nei sistemi economico e politico. Il problema principale della religione era di tentare di sostituire il male con il bene all’interno dell’ordine sociale esistente della cultura politica ed economica. La religione ha così teso indirettamente a perpetuare l’ordine stabilito della società, a favorire il mantenimento del tipo di civiltà esistente.
(1086.2) 99:0.2 Ma la religione non dovrebbe occuparsi direttamente della creazione di nuovi ordini sociali o della conservazione dei vecchi. La vera religione si oppone alla violenza come tecnica di evoluzione sociale, ma non si oppone agli sforzi intelligenti della società per adattare le sue usanze ed aggiustare le sue istituzioni a nuove condizioni economiche e a nuove esigenze culturali.
(1086.3) 99:0.3 La religione approvò le occasionali riforme sociali dei secoli passati, ma nel ventesimo secolo essa è necessariamente chiamata ad affrontare l’adattamento ad una ricostruzione sociale estesa e continua. Le condizioni di vita cambiano così rapidamente che le modificazioni istituzionali devono essere grandemente accelerate, e la religione deve conseguentemente accelerare il suo adattamento a quest’ordine sociale nuovo ed in continuo cambiamento.
(1086.4) 99:1.1 Le invenzioni meccaniche e la diffusione della conoscenza stanno modificando la civiltà; certi aggiustamenti economici e cambiamenti sociali s’impongono se si vuole evitare un disastro culturale. Questo nuovo ordine sociale che si avvicina si stabilizzerà in maniera soddisfacente solo per un millennio. La razza umana deve rassegnarsi ad una serie di cambiamenti, di aggiustamenti e di riaggiustamenti. L’umanità è in cammino verso un nuovo destino planetario non rivelato.
(1086.5) 99:1.2 La religione deve diventare una forte influenza per la stabilità morale ed il progresso spirituale, operando dinamicamente in mezzo a queste condizioni in continuo cambiamento e a questi aggiustamenti economici incessanti.
(1086.6) 99:1.3 La società di Urantia non può assolutamente sperare di rimanere ferma come nelle ere passate. La nave sociale è salpata dalle baie riparate della tradizione stabilita ed ha cominciato la sua crociera nei mari aperti del destino evoluzionario. E l’anima dell’uomo, come mai prima nella storia del mondo, ha bisogno di scrutare attentamente le sue carte di moralità e di osservare accuratamente la bussola della guida religiosa. La missione suprema della religione come influenza sociale è quella di stabilizzare gli ideali dell’umanità durante questi periodi pericolosi di transizione da una fase di civiltà ad un’altra, da un livello di cultura ad un altro.
(1087.1) 99:1.4 La religione non ha nuovi doveri da compiere, ma è chiamata urgentemente ad operare da saggia guida e da esperta consigliera in tutte queste nuove situazioni umane in rapido mutamento. La società sta diventando più meccanica, più compatta, più complessa e più pericolosamente interdipendente. La religione deve operare per impedire che queste nuove e strette interassociazioni divengano reciprocamente degenerative o anche distruttive. La religione deve agire da sale cosmico che impedisce ai fermenti del progresso di distruggere il sapore culturale della civiltà. Queste nuove relazioni sociali e questi nuovi mutamenti economici possono portare ad una fratellanza duratura solo mediante il ministero della religione.
(1087.2) 99:1.5 Un umanitarismo ateo è, umanamente parlando, un nobile gesto, ma la vera religione è la sola forza che può accrescere in modo duraturo la risposta di un gruppo sociale ai bisogni e alle sofferenze di altri gruppi. Nel passato la religione istituzionale poteva rimanere passiva mentre le classi superiori della società facevano orecchie da mercante alle sofferenze e all’oppressione delle classi inferiori indifese, ma in tempi moderni questi ordini sociali inferiori non sono più così miseramente ignoranti né così politicamente impotenti.
(1087.3) 99:1.6 La religione non deve farsi coinvolgere organicamente nel lavoro laico di ricostruzione sociale e di riorganizzazione economica, ma deve attivamente restare al passo con tutti questi progressi della civiltà facendo precise e vigorose riaffermazioni dei suoi comandamenti morali e dei suoi precetti spirituali, la sua filosofia progressiva di vita umana e di sopravvivenza trascendente. Lo spirito della religione è eterno, ma la forma della sua espressione deve essere rimessa a punto ogni volta che il dizionario del linguaggio umano viene riveduto.
(1087.4) 99:2.1 La religione istituzionale non può offrire l’ispirazione ed essere di guida in questa ricostruzione sociale ed in questa riorganizzazione economica imminenti su scala mondiale, perché è disgraziatamente divenuta una parte più o meno organica dell’ordine sociale e del sistema economico che sono destinati ad essere ricostruiti. Solo la vera religione dell’esperienza spirituale personale può operare utilmente e creativamente nella crisi attuale della civiltà.
(1087.5) 99:2.2 La religione istituzionale è ora trattenuta nello stallo di un circolo vizioso. Essa non può ricostruire la società senza prima ricostruire se stessa; ed essendo una parte così integrante dell’ordine stabilito, non può ricostruire se stessa fino a che la società non sia stata radicalmente ricostruita.
(1087.6) 99:2.3 Le persone religiose devono operare nella società, nell’industria e nella politica come individui, non come gruppi, partiti o istituzioni. Un gruppo religioso che presume di agire come tale al di fuori delle sue attività religiose diventa immediatamente un partito politico, un’organizzazione economica o un’istituzione sociale. Il collettivismo religioso deve limitare i suoi sforzi al sostegno delle cause religiose.
(1087.7) 99:2.4 Le persone religiose non hanno maggior valore nei compiti di ricostruzione sociale di quelle non religiose, salvo nella misura in cui la loro religione ha conferito loro una maggiore percezione cosmica e le ha dotate di quella saggezza sociale superiore che è nata dal desiderio sincero di amare Dio supremamente e di amare ogni uomo come un fratello nel regno dei cieli. L’ordine sociale ideale è quello in cui ogni uomo ama il suo prossimo come ama se stesso.
(1087.8) 99:2.5 La Chiesa istituzionalizzata può sembrare che abbia servito la società nel passato glorificando l’ordine politico ed economico stabilito, ma essa deve cessare rapidamente una tale azione se vuole sopravvivere. Il suo solo atteggiamento appropriato consiste nell’insegnamento della non violenza, la dottrina dell’evoluzione pacifica, in luogo della rivoluzione violenta — pace sulla terra e buona volontà tra tutti gli uomini.
(1088.1) 99:2.6 La religione moderna trova difficoltà ad adattare il suo atteggiamento ai rapidi cambiamenti sociali solo perché ha consentito a se stessa di diventare così completamente tradizionalizzata, dogmatizzata ed istituzionalizzata. La religione dell’esperienza vivente non trova alcuna difficoltà a tenere testa a tutti questi sviluppi sociali e cambiamenti economici, tra i quali essa opera sempre come stabilizzatrice morale, guida sociale e pilota spirituale. La vera religione trasporta da un’era all’altra la cultura di valore e quella saggezza che è nata dall’esperienza di conoscere Dio e di sforzarsi di essere simili a lui.
(1088.2) 99:3.1 Il Cristianesimo primitivo era completamente libero da ogni implicazione civile, impegno sociale ed alleanza economica. Solo più tardi il Cristianesimo istituzionalizzato divenne una parte organica della struttura politica e sociale della civiltà occidentale.
(1088.3) 99:3.2 Il regno dei cieli non è né un ordine sociale né un ordine economico; esso è una fraternità esclusivamente spirituale d’individui che conoscono Dio. È tuttavia vero che una tale fraternità è in se stessa un nuovo e sorprendente fenomeno sociale accompagnato da stupefacenti ripercussioni politiche ed economiche.
(1088.4) 99:3.3 La persona religiosa non è né indifferente alla sofferenza sociale, né incurante dell’ingiustizia civile, né isolata dal pensiero economico, né insensibile alla tirannia politica. La religione influenza direttamente la ricostruzione sociale perché spiritualizza e idealizza il singolo cittadino. Indirettamente la civiltà culturale è influenzata dal comportamento di questi singoli credenti via via che essi divengono membri attivi ed influenti dei vari gruppi sociali, morali, economici e politici.
(1088.5) 99:3.4 Il raggiungimento di un’elevata civiltà culturale richiede in primo luogo il tipo ideale di cittadino, e poi dei meccanismi sociali ideali e adeguati con cui una tale cittadinanza possa controllare le istituzioni economiche e politiche di questa società umana evoluta.
(1088.6) 99:3.5 La Chiesa, per un eccesso di falso sentimento, ha portato a lungo il suo ministero ai derelitti e ai disgraziati, e questa è stata una cosa buona, ma questo stesso sentimento ha portato all’insensata perpetuazione delle linee razzialmente degenerate che hanno enormemente ritardato il progresso della civiltà.
(1088.7) 99:3.6 Molti singoli ricostruttori sociali, pur ripudiando con veemenza la religione istituzionalizzata sono, dopotutto, degli zelanti religiosi nella propagazione delle loro riforme sociali. Ed è così che la motivazione religiosa, personale e più o meno sconosciuta, sta svolgendo un ruolo importante nell’attuale programma di ricostruzione sociale.
(1088.8) 99:3.7 La grande debolezza di tutto questo tipo di attività religiosa sconosciuta ed inconscia è che essa non è in grado di beneficiare di un’aperta critica religiosa e di raggiungere in tal modo livelli proficui di autocorrezione. È un fatto che la religione non cresce se non è disciplinata da una critica costruttiva, ampliata dalla filosofia, purificata dalla scienza e nutrita da una leale comunione.
(1088.9) 99:3.8 C’è sempre il grande pericolo che la religione sia deformata e pervertita nel perseguimento di scopi sbagliati, come quando in tempo di guerra ogni nazione contendente prostituisce la sua religione nella propaganda militare. Lo zelo senza amore è sempre dannoso alla religione, mentre la persecuzione devia le attività religiose verso il conseguimento di una spinta sociologica o teologica.
(1089.1) 99:3.9 La religione può essere mantenuta libera da dannose alleanze secolari soltanto con:
(1089.2) 99:3.10 1. Una filosofia criticamente correttiva.
(1089.3) 99:3.11 2. L’indipendenza da ogni alleanza sociale, economica e politica.
(1089.4) 99:3.12 3. Comunità creative, confortanti e che sviluppano l’amore.
(1089.5) 99:3.13 4. Un accrescimento progressivo dell’intuizione spirituale e dell’apprezzamento dei valori cosmici.
(1089.6) 99:3.14 5. La prevenzione del fanatismo mediante la compensazione di un atteggiamento mentale scientifico.
(1089.7) 99:3.15 Le persone religiose, in quanto gruppo, non devono mai occuparsi d’altro che di religione, benché ciascuna di tali persone, come singolo cittadino, possa diventare il capo eminente di un movimento di ricostruzione sociale, economica o politica.
(1089.8) 99:3.16 Il compito della religione è di creare, sostenere ed ispirare una tale lealtà cosmica nel singolo cittadino in modo da orientarlo al raggiungimento del successo nella promozione di tutti questi difficili, ma desiderabili, servizi sociali.
(1089.9) 99:4.1 Una religione autentica rende la persona religiosa socialmente fragrante e crea discernimento nella comunità umana. Ma la formalizzazione dei gruppi religiosi distrugge molte volte i valori stessi per la promozione dei quali i gruppi erano stati organizzati. L’amicizia umana e la religione divina sono vicendevolmente utili e significativamente illuminanti se la crescita di ciascuna è equilibrata ed armonizzata. La religione introduce significati nuovi in tutte le associazioni di gruppo — famiglie, scuole e circoli. Essa assegna nuovi valori al gioco ed esalta tutto il vero umorismo.
(1089.10) 99:4.2 Il governo sociale viene trasformato dall’intuizione spirituale; la religione impedisce a tutti i movimenti collettivi di perdere di vista i loro veri obbiettivi. Insieme ai figli, la religione è il grande elemento unificatore della vita familiare, purché essa sia una fede vivente e crescente. Non può esservi vita di famiglia senza figli; essa può essere vissuta senza religione, ma una tale mancanza moltiplica enormemente le difficoltà di questa intima associazione umana. Durante i primi decenni del ventesimo secolo la vita di famiglia, dopo l’esperienza religiosa personale, è quella che ha sofferto maggiormente della decadenza conseguente alla transizione dalle vecchie devozioni religiose ai nuovi significati e valori emergenti.
(1089.11) 99:4.3 La vera religione è un modo significativo di vivere dinamicamente di fronte alle realtà ordinarie della vita quotidiana. Ma se la religione deve stimolare lo sviluppo individuale del carattere ed accrescere l’integrazione della personalità, non deve essere standardizzata. Se deve stimolare la valutazione dell’esperienza e servire da valido richiamo, non deve essere stereotipata. Se la religione deve promuovere devozioni supreme, non deve essere formalizzata.
(1089.12) 99:4.4 Indipendentemente dagli sconvolgimenti che possono accompagnare la crescita sociale ed economica della civiltà, la religione è autentica e valida se favorisce nell’individuo un’esperienza nella quale prevale la sovranità della verità, della bellezza e della bontà, perché questo è il vero concetto spirituale della realtà suprema. E per mezzo dell’amore e dell’adorazione essa diventa significativa in quanto comunione con l’uomo e filiazione con Dio.
(1090.1) 99:4.5 Dopotutto è ciò che si crede piuttosto che ciò che si conosce che determina la condotta e domina le prestazioni personali. La conoscenza puramente pratica esercita assai poca influenza sull’uomo medio se non è attivata emotivamente. Ma l’attivazione della religione è superemozionale; essa unifica l’intera esperienza umana su livelli trascendenti grazie al contatto con le energie spirituali nella vita mortale, e alla loro liberazione.
(1090.2) 99:4.6 Durante i tempi psicologicamente instabili del ventesimo secolo, tra gli sconvolgimenti economici, le tendenze morali controcorrente e le tumultuose correnti sociologiche delle cicloniche transizioni di un’era scientifica, migliaia e migliaia di uomini e di donne sono divenuti umanamente disorientati; sono ansiosi, agitati, timorosi, incerti ed instabili. Come mai prima nella storia del mondo essi hanno bisogno della consolazione e della stabilizzazione di una sana religione. A fronte di realizzazioni scientifiche e di sviluppi meccanici senza precedenti c’è una stagnazione spirituale ed un caos filosofico.
(1090.3) 99:4.7 Non c’è alcun pericolo nel fatto che la religione divenga sempre più una questione privata — un’esperienza personale — purché non perda la sua motivazione per un servizio sociale disinteressato ed amorevole. La religione ha subìto molte influenze secondarie: mescolanze improvvise di culture, fusioni di credenze, diminuzione di autorità ecclesiastica, mutamento di vita familiare, così come l’urbanizzazione e la meccanizzazione.
(1090.4) 99:4.8 Il più grande pericolo spirituale per l’uomo consiste nel progresso parziale, nella situazione spiacevole di una crescita incompleta: abbandonare le religioni evoluzionarie della paura senza comprendere immediatamente la religione rivelatrice dell’amore. La scienza moderna, in particolare la psicologia, ha indebolito solo quelle religioni che si fondano essenzialmente sulla paura, sulla superstizione e sull’emozione.
(1090.5) 99:4.9 Una transizione è sempre accompagnata da confusione, e non ci sarà tranquillità nel mondo religioso fino a che la grande battaglia tra le tre filosofie contendenti della religione non sarà finita:
(1090.6) 99:4.10 1. La credenza spiritistica (in una Deità provvidenziale) di molte religioni.
(1090.7) 99:4.11 2. La credenza umanistica ed idealistica di molte filosofie.
(1090.8) 99:4.12 3. Le concezioni meccanicistiche e naturalistiche di molte scienze.
(1090.9) 99:4.13 E questi tre approcci parziali alla realtà del cosmo devono alla fine essere armonizzati dalla presentazione rivelatrice della religione, della filosofia e della cosmologia che descrive l’esistenza trina dello spirito, della mente e dell’energia provenienti dalla Trinità del Paradiso e che raggiungono l’unificazione nel tempo-spazio nella Deità del Supremo.
(1090.10) 99:5.1 Anche se la religione è esclusivamente un’esperienza spirituale personale — conoscere Dio come un Padre — il corollario di questa esperienza — conoscere l’uomo come un fratello — comporta l’adattamento del sé ad altri sé, e ciò implica l’aspetto sociale o collettivo della vita religiosa. La religione è prima un aggiustamento interiore o personale, e poi diviene una questione di servizio sociale o di aggiustamento collettivo. Il fatto del carattere gregario dell’uomo determina necessariamente la nascita di gruppi religiosi. La sorte di questi gruppi religiosi dipende molto da una guida intelligente. Nella società primitiva il gruppo religioso non è sempre molto differente dai gruppi economici o politici. La religione è sempre stata una conservatrice della morale ed una stabilizzatrice della società. E questo è ancora vero, nonostante l’insegnamento contrario di molti socialisti ed umanisti moderni.
(1091.1) 99:5.2 Tenete sempre presente che la vera religione consiste nel conoscere Dio come vostro Padre e l’uomo come vostro fratello. La religione non è una credenza servile in minacce di punizione o in promesse magiche di future ricompense mistiche.
(1091.2) 99:5.3 La religione di Gesù è l’influenza più dinamica che abbia mai stimolato la razza umana. Gesù ha frantumato le tradizioni, distrutto i dogmi e chiamato l’umanità alla realizzazione dei suoi ideali più elevati nel tempo e nell’eternità — l’essere perfetta come il Padre che è nei cieli è perfetto.
(1091.3) 99:5.4 La religione ha poche possibilità di svolgere il proprio ruolo fino a che il gruppo religioso non si separa da tutti gli altri gruppi — non forma l’associazione sociale dei membri spirituali del regno dei cieli.
(1091.4) 99:5.5 La dottrina della depravazione totale dell’uomo ha distrutto gran parte del potenziale della religione per produrre ripercussioni sociali di natura elevatrice e di valore ispirante. Gesù cercò di ripristinare la dignità dell’uomo dichiarando che tutti gli uomini sono figli di Dio.
(1091.5) 99:5.6 Ogni credenza religiosa che spiritualizza efficacemente il credente avrà certamente potenti ripercussioni nella vita sociale di tale credente. L’esperienza religiosa produce infallibilmente i “frutti dello spirito” nella vita quotidiana del mortale guidato dallo spirito.
(1091.6) 99:5.7 Come gli uomini condividono certamente le loro credenze religiose, così essi creano un gruppo religioso di qualche sorta che alla fine crea scopi comuni. Un giorno le persone religiose si assoceranno e collaboreranno effettivamente sulla base dell’unità degli ideali e degli scopi piuttosto che tentare di fare ciò sulla base di opinioni psicologiche e di credenze teologiche. Gli scopi piuttosto che i credo dovrebbero unire le persone religiose. Poiché la vera religione è una questione di esperienza spirituale personale, è inevitabile che ogni singolo credente debba avere la propria interpretazione personale della realizzazione di questa esperienza spirituale. Il termine “fede” dovrebbe rappresentare la relazione dell’individuo con Dio piuttosto che la formulazione dottrinale di quello che un gruppo di mortali è riuscito a concordare come comportamento religioso comune. “Avete fede? Allora abbiatela per voi stessi.”
(1091.7) 99:5.8 Che la fede s’interessi soltanto di cogliere i valori ideali è evidenziato dalla definizione del Nuovo Testamento che dichiara che la fede è la sostanza delle cose sperate e la dimostrazione delle cose non viste.
(1091.8) 99:5.9 L’uomo primitivo faceva pochi sforzi per esprimere con parole le sue convinzioni religiose. La sua religione era espressa con la danza più che con il pensiero. Gli uomini moderni hanno ideato molte credenze ed hanno creato molte norme di fede religiosa. Le future persone religiose devono vivere esteriormente la loro religione, devono dedicare se stessi al servizio generoso della fratellanza dell’uomo. È giunta l’ora che l’uomo abbia un’esperienza religiosa così personale e così sublime da poter essere realizzata ed espressa solo con “sentimenti che siano troppo profondi per essere espressi con delle parole”.
(1091.9) 99:5.10 Gesù non chiedeva ai suoi discepoli di riunirsi periodicamente per recitare un insieme di parole indicative delle loro credenze comuni. Egli ordinò soltanto che si riunissero per fare qualcosa effettivamente — consumare insieme la cena del ricordo della sua vita di conferimento su Urantia.
(1091.10) 99:5.11 Quale errore commettono i Cristiani quando, presentando il Cristo come l’ideale supremo di guida spirituale, osano esigere che gli uomini e le donne coscienti di Dio respingano la guida storica degli uomini conoscenti Dio e che hanno contribuito ad illuminare la loro nazione o razza particolare durante le ere passate.

6. La religione istituzionale

(1092.1) 99:6.1 Il settarismo è una malattia della religione istituzionale ed il dogmatismo è una schiavitù della natura spirituale. È molto meglio avere una religione senza una Chiesa che una Chiesa senza religione. Il disordine religioso del ventesimo secolo non è in se stesso e per se stesso indice di decadenza spirituale. La confusione precede sia la crescita sia la distruzione.
(1092.2) 99:6.2 C’è uno scopo reale nella socializzazione della religione. Le attività religiose di gruppo hanno per scopo di mettere in scena le devozioni della religione; di magnificare le attrattive della verità, della bellezza e della bontà; di favorire il richiamo dei valori supremi; di accrescere il servizio di una fraternità disinteressata; di glorificare i potenziali della vita di famiglia; di promuovere l’istruzione religiosa; di fornire saggi consigli e direttive spirituali e d’incoraggiare il culto collettivo. Tutte le religioni viventi incoraggiano l’amicizia umana, preservano la moralità, promuovono il benessere della loro regione e facilitano la diffusione del vangelo essenziale dei loro rispettivi messaggi di salvezza eterna.
(1092.3) 99:6.3 Ma via via che la religione diviene istituzionalizzata, il suo potere di fare del bene diminuisce, mentre le possibilità di fare del male si accrescono considerevolmente. I pericoli della religione formalizzata sono: fissazione delle credenze e cristallizzazione dei sentimenti; accumulazione degli interessi acquisiti con accrescimento della secolarizzazione; tendenza a standardizzare e a fossilizzare la verità; deviazione della religione dal servizio di Dio al servizio della Chiesa; inclinazione dei capi a diventare amministratori invece che ministri; tendenza a formare delle sette e delle divisioni in concorrenza; istituzione di un’autorità ecclesiastica oppressiva; creazione dell’atteggiamento aristocratico di “popolo eletto”; insorgenza d’idee false ed esagerate sulla sacralità; abitudinarietà della religione e pietrificazione del culto; tendenza a venerare il passato ignorando i bisogni del presente; incapacità di dare delle interpretazioni moderne della religione; mescolanza con funzioni di istituzioni secolari. Essa crea inoltre la dannosa discriminazione delle caste religiose; diventa un giudice intollerante dell’ortodossia; non riesce a tenere avvinto l’interesse della gioventù avventurosa e perde gradualmente il messaggio salvifico del vangelo della salvezza eterna.
(1092.4) 99:6.4 La religione formale frena gli uomini nelle loro attività spirituali personali invece di liberarli per il servizio più elevato di costruttori del regno.
(1092.5) 99:7.1 Sebbene le Chiese e tutti gli altri gruppi religiosi debbano tenersi fuori di ogni attività secolare, allo stesso tempo la religione non deve fare niente per ostacolare o ritardare la coordinazione sociale delle istituzioni umane. La vita deve continuare a crescere in significati; l’uomo deve proseguire la sua riforma della filosofia e la sua chiarificazione della religione.
(1092.6) 99:7.2 La scienza politica deve effettuare la ricostruzione dell’economia e dell’industria mediante le tecniche che apprende dalle scienze sociali e con la percezione ed i motivi forniti dalla vita religiosa. In ogni ricostruzione sociale la religione apporta una devozione stabilizzante ad un oggetto trascendente, ad uno scopo consolidante situato al di là e al di sopra dell’obbiettivo temporale immediato. In mezzo alle confusioni di un ambiente in rapido cambiamento l’uomo mortale ha bisogno del sostegno di una vasta prospettiva cosmica.
(1093.1) 99:7.3 La religione ispira l’uomo a vivere coraggiosamente e gioiosamente sulla faccia della terra; essa unisce la pazienza alla passione, l’intuizione allo zelo, la simpatia al potere e gli ideali all’energia.
(1093.2) 99:7.4 Un uomo non può mai decidere saggiamente su questioni temporali né trascendere l’egoismo degli interessi personali se non medita in presenza della sovranità di Dio e non tiene conto delle realtà dei significati divini e dei valori spirituali.
(1093.3) 99:7.5 L’interdipendenza economica e la fraternità sociale condurranno alla fine alla fratellanza. L’uomo è per natura un sognatore, ma la scienza lo sta attualmente rinsavendo, cosicché la religione può attivarlo con molto minor pericolo di provocare delle reazioni fanatiche. Le necessità economiche legano l’uomo alla realtà, e l’esperienza religiosa personale porta questo stesso uomo faccia a faccia con le realtà eterne di una cittadinanza cosmica in continua espansione ed in costante progresso


fonte: http://www.urantia.org/it/il-libro-di-urantia/fascicolo-99-i-problemi-sociali-della-religione